Antonella Petricone: il femminismo letterario per contrastare la violenza di genere
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Roma, Lazio - Per Antonella Petricone la letteratura diventa uno strumento di conoscenza e di consapevolezza politica femminista, uno spazio di incontro e di confronto proficuo, un luogo di rivelazione del mondo attraverso uno sguardo di genere. Se l’8 marzo è un giorno speciale per le donne, i suoi studi, il lavoro e il impegno quotidiano di Antonella in favore delle donne testimoniano un significato che va oltre la celebrazione di un giorno di festa.
Nel suo passato recente e nel suo presente non c’è però solo lo studio, ma anche l’azione: dopo l’università diventa operatrice antiviolenza e inizia a lavorare all’interno della Cooperativa sociale Befree, di cui è socia fondatrice. Ma è anche attraverso l’insegnamento che ha occasione di portare nelle scuole temi come il contrasto alla violenza e alle discriminazioni di genere.
Parlaci del tuo percorso di studi e di accrescimento della consapevolezza
Ho conosciuto il femminismo attraverso la scrittura delle donne, durante un corso di letteratura dedicato ad alcune autrici del ‘900 presso l’Università di Roma La Sapienza, dove mi sono laureata e poi dottorata in Storia delle scritture femminili. Grazie ai miei studi sulle donne ho iniziato a prendere atto dell’esistenza di una scrittura che veicolava contenuti e immaginari a cui non ero mai approdata, che ha aperto conoscenze a me ignote, saperi e relazioni nuovi, decostruendo quelli su cui mi ero adagiata fino ad allora pensando che fossero l’unico paradigma possibile attraverso cui leggere e interpretare la realtà dentro e fuori di me.
Il mio lavoro è teso a contrastare stereotipi e pregiudizi che ancora dominano la maggior parte dei nostri scenari didattici – dai libri, ai manuali, al linguaggio sessista che purtroppo campeggia e che a fatica si riesce a riconoscere – e che compromettono ancora fortemente, condizionandole, le scelte di vita e di libertà di molti alunni e alunne, all’interno di un contenitore storico e sociale ancora dominato da un orizzonte patriarcale. Il mio lavoro di decostruzione finalizzato alla promozione di una parità tra i generi lo porto avanti insieme alle colleghe del gruppo Indici paritari, per poter contare su una grande forza, quella della rete.
C’è stato un momento nella tua vita in cui hai capito quanto fosse importante attivarsi a favore dei diritti delle donne? E quali passi hai compiuto in questo senso?
Terminato il percorso universitario ho sentito che dovevo fare qualcosa di concreto. Così ho cercato delle realtà di donne che si occupassero di lavorare nel terzo settore, in particolare con donne vittime di violenza, e sono diventata un’attivista nel contrasto alla violenza di genere. Posso definire questo momento come una svolta, perché mi ha portato a BeFree, cooperativa sociale contro tratta, violenze, discriminazioni. Questa realtà nasce da un sogno: lavorare come operatrici nei centri antiviolenza, stare accanto alle donne sopravvissute alla violenza e stare nei luoghi del dolore ma anche della rinascita. Starci insieme, formate, preparate, consapevoli.
Cosa è cambiato dopo aver attraversato questo processo?
Ho imparato a indossare degli occhiali le cui lenti hanno reso tutto molto più chiaro e nitido. Lenti che, una volta indossate, non si possono più togliere. Ho scoperto di aver introiettato io stessa una cultura sessista, di essere figlia di quel patriarcato da cui pensavo di prendere distanza in maniera troppo semplice, sottovalutandone la pervasività, e ho faticato molto per mettere in discussione antiche certezze che rappresentavano per me “false” rassicurazioni, in nome di qualcosa che non mi corrispondeva più.
Partendo da questa spinta vitale ho iniziato a cercarmi e a pensarmi in modo diverso. Molto importanti per me sono state le esperienze vissute in relazione con altre donne, divenute negli anni il mio punto di riferimento privilegiato, le scuole estive, i collettivi, luoghi dirompenti, luoghi di libertà che mi hanno consentito di posizionarmi e di riconoscere i miei desideri e le mie scelte, libere da condizionamenti sociali.
Ti consideri una femminista? Se sì, in che senso?
Il femminismo per me è stato innanzitutto un femminismo letterario. Poi con gli anni è diventata pratica politica ed oggi è vita ed essenza di ciò che sono: per me è la dimensione dell’esistenza pura e semplice, ma anche il luogo della scelta e della relazione. Il prezzo che ho pagato, come in tutte le rivoluzioni personali, è stato una continua mediazione tra chi mi additava come femminista ideologica, in senso a volte dispregiativo, e chi riusciva a cogliere da questa mia esperienza e pratica di vita, una risorsa e un punto di luce sul mondo.
A me il femminismo ha salvato la vita. Perciò a tutte le donne consiglio di credere nel potere del cambiamento, della trasformazione, dell’amore per sé stesse
In anni passati ho spesso dovuto lavorare sulla rabbia che mi suscitava ogni minima provocazione indirizzata a colpirmi, nel privato, in quanto femminista. Ho anche affrontato separazioni e abbandoni in nome di una fedeltà a me stessa a cui non rinuncerei per nulla al mondo. Oggi, chi mi conosce e mi riconosce, sa che il mio essere femminista è per me fonte di orgoglio e di sicurezza, grazie a cui ho imparato a volermi bene.
Cosa ne pensi del femminismo moderno e come vedi oggi le donne impegnarsi sul fronte di genere?
Oggi il femminismo è frutto di tante e differenti battaglie che si giocano su molti fronti: in politica e nel proprio quotidiano. I femminismi che oggi vedo, vivo e sento, sono pratiche di vita e di resistenza che mettono in gioco tutto. Sono femminismi forti, potenti. Sono grida e gesti che cambiano la vita di tantissime donne e di tutte le soggettività che in essi si riconoscono.
Trovi ci sia coesione oggi tra le donne, oppure ancora troppe disuguaglianze, disforie e contrasti ci sono nel mondo femminile?
Nella mia esperienza di vita – non posso generalizzare – la relazione tra donne mi ha salvato la vita. I contrasti ci sono, come in tutte le relazioni di qualsiasi natura, ma l’aver imparato a nominare ciò che mi ferisce e che mi fa stare male, mi ha insegnato a prendermi il mio spazio e a capire meglio lo spazio dell’altra/o. Il confronto più che il conflitto ha fatto per me la differenza. Le disuguaglianze sono la conseguenza di una disparità secolare e di una cultura misogina che ci riguarda tutt*. Imparare a riconoscerla e combatterla ci restituisce forza e di questo abbiamo bisogno.
Oggi è un giorno speciale per le donne: che significato ha per te la festa delle donne?
L’8 marzo è un giorno di lotta, prima ancora che di festa. Ci ricorda la strada percorsa e la strada ancora da percorrere, i successi e le fatiche. Ma anche le cadute, la capacità di rialzarsi e di continuare a credere nel cambiamento a favore dei diritti delle donne.
Come credi sia opportuno ricordare quanto è successo, onorarlo e attivarsi in chiave moderna?
La storia della conquista dei diritti politici, economici, sociali, identitari, è una storia che appartiene a tutt*. Nel mio lavoro di insegnante cerco di trasmettere questa consapevolezza attraversando ogni epoca e ogni angolo del sapere dando voce a chi non l’ha mai avuta, disseminando dalle macerie storie e narrazioni rimaste nell’ombra. Far comprendere che la storia è fatta di voci differenti e che tutte sono importanti porta il senso di ciò che si è e di ciò che si è conquistato con sudore, fatica e impegno. Tutte le donne che hanno pagato il prezzo dell’invisibilità, sono una responsabilità collettiva che va agita, non solo ricordata.
Cosa consiglieresti alle Moderne Persefone, in particolare alle eroine di oggi che vogliono impegnarsi a portare avanti la lotta per le donne, ma anche a coloro che non hanno a cuore queste tematiche?
A me il femminismo ha salvato la vita. Perciò a tutte le donne consiglio di credere nel potere del cambiamento, della trasformazione, dell’amore per sé stesse. Questo per me è, ancora oggi, davvero rivoluzionario. Consiglio di pensarsi come delle donne, ragazze, bambine che hanno diritto ad abitare qualsiasi luogo, senza per questo dover dimostrare di essere eccezionali. E di liberarsi da queste convenzioni, aspettative sociali scegliendo di essere liber* sempre.
L’8 marzo non è solo un giorno di festa né solo un giorno di lotta. L’8 marzo è ogni giorno. Perché ogni giorno bisogna ricordare la forza delle donne, le battaglie, i diritti, ma anche i pregiudizi e le violenze che continuano a subire. Viviamo l’8 marzo come un’opportunità, quella di far sentire la propria voce e di unirla alla rete di tutte le donne del mondo.
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