Ambulanze Veterinarie: “Al confine con l’Ucraina abbiamo visto bambini e anziani catapultati in qualcosa di assurdo”
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Savona, Torino - «Quello che abbiamo visto è terribile, vederlo in foto è un cosa, dal vero è tutt’altro». A parlare è Jimmy Dotti, il presidente di Ambulanze Veterinarie Italia (lo abbiamo intervistato qui) che lo scorso giovedì è partito per Zàhony, in Ungheria, al confine con l’Ucraina, insieme a 15 volontari provenienti da Torino, Biella, Milano, Monza, Varese e varie parti della Liguria.
L’idea di attivarsi è arrivata durante una notte insonne. «Era lunedì 28 febbraio», racconta Dotti. «All’indomani ho convocato una riunione d’emergenza con i responsabili delle altre sedi di Ambulanze Veterinarie, chiedendo di fare tutto il possibile per partire tre giorni dopo». E così hanno fatto.
IL VIAGGIO
In tre giorni iniziano e concludono una raccolta lampo di medicinali, cibo, coperte e sacchi a pelo. Con otto ambulanze cariche di materiali – 40 quintali di alimenti per umani e animali – venerdì sera, il 4 marzo, i volontari di Ambulanze Veterinarie partono e si incontrano tutti a Brescia. E dopo dodici ore di viaggio arrivano in Ungheria.
«A parte una gomma scoppiata in autostrada e nonostante la fretta di partire, devo dire che è andato tutto bene», continua Dotti. «Una volta arrivati abbiamo scaricato il materiale e tutto si è incastrato al meglio». La squadra di Ambulanze Veterinarie è rientrata in Italia con diverse persone in fuga e con un cane che vagava vicino alla stazione da giorni.
«Era affamato e pieno di pulci e zecche. Lo abbiamo portato qui e abbiamo già trovato una famiglia che lo adotterà a breve. Anche le famiglie a cui abbiamo dato un passaggio sono già al sicuro, accolte da amici e parenti liguri che sono venuti a prenderle nella nostra sede».
LE IMPRESSIONI
«Quello che vedete in tv è vero», aggiunge Dotti, a caldo. «Personalmente sono rimasto scioccato da quello che ho visto: bambini, donne, anziani tutti ammassati. E noi siamo stati in una città poco battuta perché è scomoda per arrivi e partenze in treno. La maggior parte dei profughi è in Polonia. Abbiamo scelto la destinazione sapendo che a Zàhony c’è un centro accoglienza, ma lì la situazione non è tragica come in altri posti. Parlando di numeri: in stazione abbiamo trovato un migliaio di persone, mentre in Polonia ne arrivano 20/30 mila».
«Alla stazione ferroviaria di Zàhony, a 13 minuti dal territorio ucraino, abbiamo visto bambini e anziani catapultati in qualcosa di assurdo», spiega un volontario di Ambulanze Veterinarie. «Mi ha colpito una ragazza che stringeva il suo piccolo tra le braccia, con una bimba al suo fianco, e prima di partire ha regalato la carrozzina a una famiglia lì vicino che ne aveva bisogno».
Il carico di adrenalina che Jimmy e i volontari avevano in corpo all’andata si è trasformata in profonda tristezza al ritorno. «Al rientro non parlavamo più, in tante ore ci siamo detti poche parole, lo stretto indispensabile. Ora siamo disposti a partire di nuovo, ma abbiamo bisogno di un pochino di tempo per riprenderci e soprattutto per ottimizzare l’operazione».
L’intenzione è fare le cose meglio, con meno fretta e per rendere di più. «In questo primo viaggio siamo partiti guidati dall’istinto, mossi dalla voglia di non restare con le mani in mano. D’altronde, se ci si mette troppo a pensare, sono dell’idea che nella vita poi non si fa nulla».
LA TESTIMONIANZA DI UNA VOLONTARIA UCRAINA
Mi racconta la sua esperienza anche Svetlana, una volontaria ucraina di Ambulanze Veterinarie, da vent’anni in Italia e ora residente a Torino, che ha preso parte alla missione e ha fatto da interprete per lo staff dell’associazione: «In stazione, all’arrivo dei treni, mi avvicinavo alle persone, mostrando il mio cartellino, spiegavo chi siamo e il nostro lavoro. Non tutti parlavano inglese, quindi è stata importante la mia presenza».
Svetlana è di poche parole, sembra sfuggente, ma poi piano piano lascia fluire: «Strada facendo chiedevo a tutti di cosa avessero bisogno. Le persone che scendevano dal treno erano spaesate, appena arrivate in un paese nuovo e partite così, da un momento all’altro. Avevano lo sguardo perso ed erano, come dire, impreparate». Mi racconta anche che moralmente ci vorrà del tempo per riprendersi da questa esperienza, ma se ci sarà da ripartire, lo farà senza esitazione.
In Ucraina Svetlana ha un figlio e diversi familiari. «Anche se loro si trovano in una zona abbastanza tranquilla, appena mi sveglio telefono a tutti e nel resto della giornata seguo le notifiche su gruppi Telegram, per restare informata. Si può dire che ora le mie giornate inizino e finiscano con gli aggiornamenti da parte di amici e parenti. Sto costantemente con il telefono in mano». E conclude: «Pensavamo tutti che sarebbero riusciti ad accordarsi senza arrivare a questo estremo. Non capiamo davvero perché stia succedendo, nessuno si aspettava una cosa del genere».
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