9 Feb 2022

Transizione ecologica VS conversione ecologica: proviamo a fare chiarezza

Scritto da: Paolo Piacentini

La differenza semantica e concettuale fra transizione ecologica e conversione rispecchia due filosofie diverse dell'ambientalismo. Da un lato quello legato alla diminuzione degli impatti negativi del nostro stile di vita attraverso l'impiego di soluzioni tecnologiche e dall'altro quello che auspica un cambiamento di quegli stessi stili di vita. Una distinzione pare dunque necessaria.

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Da qualche tempo le mie considerazioni più profonde riguardano il tema della cura che va dalla persona alla comunità, per approdare alla tutela del territorio. Dentro questa riflessione di carattere generale su cui ho scritto vari contributi pubblicati su testate on line, si inserisce il complesso dibattito sul significato della transizione ecologica. Non ho mai amato la transizione ecologica, mentre mi sento in sintonia con la conversione. Con questo articolo-riflessione proverò a dire il perché di questa mia posizione, niente affatto ideologica.

DEFINIAMO TRANSIZIONE ECOLOGICA

Questo neologismo, tra i più diffusi nel dibattito pubblico fino al punto da dare il nome a un nuovo Ministero, secondo la definizione della Treccani sarebbe il “processo tramite il quale le società umane si relazionano con l’ambiente fisico, puntando a relazioni più equilibrate e armoniose nell’ambito degli ecosistemi locali e globali.  In senso più limitato e concreto, processo di riconversione tecnologica finalizzato a produrre meno sostanze inquinanti“. Nella prima parte della definizione si possono intravedere i germi della conversione, anche se manca l’aspetto della spiritualità che è dentro alla tanta elogiata ma poco applicata “ecologia integrale”.

L’ambientalismo associativo e politico dovrebbe avviare con grande umiltà una riflessione profonda ed inclusiva su come il dominio della tecnica abbia determinato una mutazione antropologica del pensiero ecologista nel nostro Paese

Nella seconda parte della definizione, nel voler sintetizzare e concretizzare, si entra pienamente nello spirito della transizione ecologica per come viene declinata nelle istituzioni a ogni livello e dalla maggior parte del mondo ambientalista ed ecologista – sia esso rappresentato dall’associazionismo o dai partiti – e cioè “processo di riconversione tecnologica finalizzato a produrre meno sostanze inquinanti”.

Non posso dilungarmi troppo nell’affascinante dibattito filosofico e antropologico sul dominio della tecnica e do qui per scontate alcune riflessioni tra cui quelle di Galimberti, anche se all’improvviso sembra aver sconfessato nei fatti le sue profonde e illuminate considerazioni che avevano aperto il fronte ripreso poi da altri grandi pensatori. Vado dritto, ma tornerò in futuro sugli aspetti più generali, ad alcuni esempi concreti che tracciano il parallelismo tra le due opzioni che rischiano di non incontrarsi a danno della possibile costruzione di un nuovo modello sociale ed economico che dovrebbe puntare a una radicale trasformazione delle relazioni nell’ambito degli ecosistemi locali e globali di cui le società umane sono parte integrante.

Il dominio della tecnica e dell’intelligenza artificiale fortemente trasformate e virate al green con il supporto della finanza e le conseguenti ingenti risorse economiche sia pubbliche che private messe a disposizione, ad esempio con il PNRR, rischiano di determinare una transizione solo apparente perché non si vengono a modificare gli stili di vita individuali e collettivi capaci di trasformare radicalmente in modo armonico ed equilibrato le relazioni tra Uomo e Natura.

ALCUNI ESEMPI

Mobilità sostenibile

In base agli ultimi dati ufficiali (ISPRA ed altri Enti) ad esempio, la mobilità urbana ha un trend di crescita per quanto riguarda la circolazione delle auto e di conseguenza il vantaggio della presenza di mezzi più ecologici viene quasi azzerato.

Possiamo avere un parco auto completamente elettrificato e sempre più “smart” ma non avremo risolto il problema della congestione o dell’inquinamento globale e non avremo contribuito a limitare i danni di un’economia estrattiva se consideriamo seriamente il ciclo di vita del prodotto.

Fonti rinnovabili

La stessa logica è quella che riguarda lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Si parla solo delle soluzioni tecnologiche che permettono di realizzare impianti fotovoltaici o eolici più performanti per raggiungere una quota fissa di GW da qui al 2030, mentre sembrano sparite dal calcolo l’efficientamento energetico e soprattutto il risparmio.

La produzione e l’efficientamento hanno bisogno di soluzioni tecnologiche su cui si trovano opzioni sempre più avanzate e forse anche meno impattanti, ma nel posizionamento nei vari territori non si tiene conto di quelli che sono gli impatti sul paesaggio.

transizione ecosostenibile

QUALE TRANSIZIONE QUINDI?

La differenza di fondo quindi è tra una transizione che contempla solo il dominio della tecnica e una conversione che ingloba il paesaggio e la tutela della biodiversità come elementi fondanti per un inedito equilibrio tra umanità e natura: un nuovo umanesimo meno antropocentrico. Il risparmio energetico è di per se l’elemento più virtuoso e più sganciato dal dominio della tecnica perché presuppone nuovi modelli di vita più sobri e di conseguenza è in linea con quella conversione di cui abbiamo estremo bisogno.

In questo processo anche il ruolo fondamentale dell’economia circolare rischia di avere grandi limiti perché magari riesce a chiudere il cerchio attraverso le più innovative e quasi miracolose soluzioni tecnologiche, ma non incide nel recupero della circolarità antropologica a cui si legano modelli di vita che in, modo inedito, rimettono al centro la sobrietà, la spiritualità e la cura. Esempi di comunità che operano per una vera conversione ecologica ne abbiamo tanti anche in Italia.

UNA PROVOCAZIONE

Pensiamo che le due rette parallele della transizione ecologica tutta tecnocratica e la conversione che contempla come elementi essenziali l’aspetto umano, spirituale e naturale si possano e debbano incontrare? Se così è – e anzi, proprio così dovrebbe essere – l’ambientalismo associativo e politico dovrebbe avviare con grande umiltà una riflessione profonda e inclusiva su come il dominio della tecnica abbia determinato una mutazione antropologica del pensiero ecologista nel nostro Paese. Vogliamo avviare una riflessione profonda laica e senza paletti. Tornerò con ulteriori approfondimenti

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