17 Feb 2022

Sabrina Negro racconta il suo viaggio lento: 3000 chilometri di bellezza e meraviglia

Scritto da: Sabrina Negro

3000 chilometri in solitaria, da Torino a Tirana, accompagnata solo dal silenzioso incedere della sua bicicletta. Sabrina racconta un viaggio che non solo le ha cambiato la vita, ma le ha fatto scoprire tanta bellezza laddove la storia recente ha raccontato solo tragedie. Inoltre, grazie a questo viaggio, Sabrina ha potuto conoscere molte persone che stanno cambiando la loro vita e quella della comunità in cui vivono.

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Torino - “Ma non hai paura?”. Questa è una domanda che mi sono spesso sentita fare da chi ho incontrato con la mia bici sulla Torino-Tirana. Di solito abbozzavo qualche cosa su come tanti anni in viaggio mi abbiano insegnato che il mondo è meno peggio di quello che sembra in televisione, mentre dentro di me partivano gli scongiuri e mi interrogavo sul labile confine tra ingenuità e sprovvedutezza.

Ho avuto paura durante i 3.000 chilometri che in quasi quattro mesi mi hanno portata da Torino a Tirana e ritorno? Sì, ne ho avuta: tutte le volte che sentivo lo spostamento d’aria di camion da venti tonnellate che mi passavano troppo vicino, quando vedevo un cane in lontananza in qualche strada isolata, quella mattina in cui bivaccando lungo un fiume in Albania mi ha svegliata l’urlo di un cacciatore o la notte che ho dormito con il coltello sotto il cuscino perché non ero sicura di aver fatto bene a fidarmi di una persona che non conoscevo.

Non avere paura è da incoscienti. Ma bisogna avere il coraggio di vincere la paura per fare le cose che si ritiene valgano la pena. Lo facciamo tutti, ogni giorno. Per me viaggiare, come ha raccontato bene qui Brunella Bonetti, è una di quelle cose: è uno strumento potente per esercitare la presenza, la fiducia verso gli altri e la capacità di meravigliarsi, oltre a essere la maniera più veloce per imparare cose nuove.

È un imparare strano, che non ha a che fare solo con nozioni da sapere, ma anche con l’acquisire consapevolezza, il realizzare che non sempre capire è possibile perché la realtà è ben più complessa delle nostre opinioni. Voglio provare a condividere con voi quattro delle tante cose che mi sono portata a casa dal viaggio nei Balcani.

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UN VIAGGIO DI TREMILA CHILOMETRI COMINCIA SEMPRE CON LA PRIMA PEDALATA

Il 21 novembre sono arrivata a destinazione. Non facevo una doccia né dormivo in un vero letto da cinque giorni e mi ero appena ferita un dito con la corona della bici per tirare su la catena. Ero euforica, manco a dirlo. Due mesi e tre settimane prima ero partita da Torino, senza alcuna esperienza in quanto a viaggi in bicicletta, senza aver avuto molto tempo per allenarmi, senza sapere se ce l’avrei fatta a raggiungere Tirana. Forse la rivelazione più grande di questo viaggio ce l’ho avuta lì, in una sconfinata piazza stile comunista: che a piccoli passi, una pedalata alla volta, anche cose che appaiono a prima vista enormi sono in realtà fattibili.

Con la meta in mente, senza neppure accorgermene sono arrivata a percorrere migliaia di chilometri e ad affrontare anche mille metri di dislivello in un solo giorno. Per me non si è mai trattato di un impresa sportiva e non credo di aver fatto nulla di sovraumano ed è proprio qui il punto e l’insegnamento che sto cercando di custodire anche nella vita “normale”. Diventare bravi in qualcosa è una questione di impegno giornaliero e di piccoli miglioramenti incrementali. Piccolo e lento, come dice la permacultura. Senza dimenticare di godersi il viaggio, perché tanto una volta arrivati a destinazione… comincia un altro viaggio.

GLI INCONTRI CHE CAMBIANO

Una delle cose che più mi piace al mondo è ascoltare le storie di persone che amano quello che fanno. Durante la Torino-Tirana ne ho incontrate un sacco, persone di ogni età che vivono la vita con passione, che si rimboccano le maniche per rendere il mondo un posto un po’ migliore. 5000 battute non mi basterebbero, non dico per raccontare, ma neppure per elencare tutte le persone straordinarie che ho incontrato sul mio cammino e che mi hanno trasmesso qualcosa di prezioso.

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Ci sono stati Annie a Hvar e Marko nei pressi di Dubrovnik, 70 e 83 anni rispettivamente, che mi hanno fatto capire che mettersi al servizio degli altri e fare progetti sono i migliori antidoti alla morte; gli abitanti della Valle degli Elfi, nei boschi dell’appennino pistoiese, che da tanti anni dimostrano che un’alternativa è possibile; Mile in Croazia, che con determinazione e duro lavoro sta cercando di riportare in vita tutto da solo i 30 ettari di terre del nonno, abbandonate dalle generazioni successive per dedicarsi al ben più redditizio turismo.

Gli amici di Rizomi che si sono messi in testa di comprare un bosco a Conversano per preservarlo dalla monocoltura; Ensar, mio coetaneo, che ha avviato un progetto di permacultura in Bosnia e sta creando un videogioco post-apocalittico per insegnarne i principi a un pubblico più ampio; Elizabeth e Giuseppe che hanno deciso di dare quattro fratelli etiopi adottati ai loro tre figli naturali. E vi assicuro che potrei andare avanti per pagine e pagine a raccontare di persone che si definiscono per quello che amano e non per quello a cui si oppongono.

E SE FOSSI NATA A TIRANA? UN PRIVILEGIO CHE NON MI SONO MERITATA

In un suo discorso Barack Obama ha detto: «Se doveste scegliere un momento della storia in cui nascere e non sapeste in anticipo se sarete maschio o femmina, in quale paese nascerete, quale sarà il vostro status, scegliereste proprio ora». Ha ragione e credo sia importante riconoscere i progressi fatti dall’umanità anche quando la tentazione di lamentarsi è grande. D’altro canto penso sia dovuto ricordare che anche al giorno d’oggi ci sarebbero ancora buone probabilità di nascere in un luogo in cui le libertà e le opportunità a cui siamo abituati noi italiani sarebbero una chimera. Tipo dall’altra parte dell’Adriatico.

Tra i momenti più belli del viaggio vi sono infiniti e apparentemente trascurabili dettagli

Ho conosciuto ragazzi della mia età che hanno vissuto parte della loro infanzia in una Sarajevo assediata dai cecchini e ho visto le ferite ancora aperte di un conflitto devastante; ho pedalato per chilometri e chilometri in posti meravigliosi senza incontrare anima viva (ve lo immaginate qui da noi?) perché la gente è costretta a emigrare da paesi in cui non riescono a immaginare un futuro per sé e i propri figli; in Albania ho condiviso strade a dir poco dissestate con contadini su carretti trainati da asini. Non è pietismo, sia chiaro, né i Balcani sono solo questo, ma certe situazioni mi hanno aperto gli occhi sulla mia immensa e immeritata fortuna.

In Albania perfetti sconosciuti mi hanno offerto da mangiare e mi hanno invitata a dormire a casa loro: tanti mi hanno ringraziato – in corretto italiano – per quello che noi italiani abbiamo fatto per loro. Io non sapevo neppure il nome del dittatore che ha oppresso il paese per oltre 40 anni. Però mi ricordavo bene la paura collettiva quando i primi albanesi cominciarono ad arrivare su barconi precari negli anni ’90 come conseguenza di quella feroce dittatura. Avere un’idea di dove vengono gli altri e capire di non potersi prendere del tutto il merito per quello che si è e si ha è è un buon esercizio di umiltà e di empatia, oltre che a un atto indispensabile di onestà intellettuale.

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LA BELLEZZA DOVE MENO TE L’ASPETTI

La bellezza degli incontri di cui sopra e delle storie della gente, quella ovvia di città come Dubrovnik, Mostar o Ostuni e di paesaggi incantevoli come le bocche di Cattaro, il lago di Scutari o le cascate di Kravice. Ma anche e soprattutto quella di luoghi inaspettati: una stradina lungo stazioni ferroviarie abbandonate e boschi accesi di colori autunnali nella campagna bosniaca, uno scorcio improvviso sul lago di Komani dopo un tornante in montagna, campi di ulivi centenari tra muretti a secco… con la bicicletta si è costantemente esposti, più vulnerabili da una parte, ma anche più aperti all’esperienza, alla natura, all’essenziale.

Tra i momenti più belli del viaggio vi sono infiniti e apparentemente trascurabili dettagli, come il sorriso di un’anziana con una grossa fascina di legna sulle spalle quando i nostri sguardi si sono incrociati, uno smiley disegnato sull’asfalto nel punto in cui la salita volgeva in discesa, il ragazzo che mi ha sporto un mandarino dal finestrino dell’auto, mangiare un panino con autentica fame guardando il mare. Le piccole cose che a volte andiamo troppo veloce per notare, ma che a passo di bici si vedono benissimo.

Insomma, queste sono appena quattro delle tante ragioni per cui è valsa la pena affrontare camion, cani randagi e pericoli reali e immaginari. Di certo non occorre caricarsi 25 chili su una bici e partire per territori sconosciuti per arrivare alle stesse conclusioni. Ognuno ha il suo cammino: il mio passava per Tirana e vi assicuro che è stato bellissimo!

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