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Nel momento in cui mi trovo a scrivere questo articolo le previsioni meteo ci danno notizie “rassicuranti” sulle possibili piogge miste a neve che oggi torneranno a farsi sentire in diverse aree del Piemonte. Qualcuno potrebbe dire: “Niente di nuovo, è febbraio. Che saranno mai un po’ di pioggia o un po’ di neve in inverno!”. Eppure, nella nostra regione, a parte qualche sporadica eccezione, ormai non piove da mesi.
Maggior inquinamento dell’aria in città, scarsità di neve in alta quota, siccità e crisi idrica sono tra i principali e più chiari effetti dell’assenza prolungata di piogge, dovute alla presenza quasi ininterrotta di un blocco anticiclonico sull’Atlantico che ha determinato temperature superiori alla norma sul Piemonte. Effetti che, al di là del singolo evento, destano ancor più preoccupazioni se ci concentriamo sulla scarsa frequenza di questi avvenimenti rispetto al passato.
FIUMI SENZ’ACQUA: DALLA PIANURA ALLA MONTAGNA
Riguardo alla presenza di fiumi e corsi d’acqua, in Piemonte siamo fortunati e lo sappiamo bene. Proprio all’interno dei suoi confini nasce e scorre il più lungo fiume italiano, il Po, oltre che alcuni fra i suoi iniziali affluenti come Tanaro, Ticino e Dora Baltea. Per non parlare della presenza dell’imponente arco alpino e delle centinaia di laghi sparsi in tutte le province, primo fra tutti il Lago Maggiore che, al confine con la Lombardia è il secondo per estensione in Italia. La mancanza di piogge è critica per i corsi d’acqua, come riportato dall’assessore regionale all’Ambiente Matteo Marnati in un incontro online che ha coinvolto le province per la diffusione delle informazioni sulla situazione attuale.
In Piemonte, «i dati più allarmanti arrivano dal fiume Sesia che mostra quasi l’80% in meno di acqua, oltre che dal Tanaro con il 65% in meno. La portata del Po è quasi dimezzata mentre il lago Maggiore invasa solo il 35% della capacità massima teorica». Accanto a ciò vi sono anche situazioni confinate nelle aree montane e collinari: «preoccupa l’uso di acqua per scopi potabili e, se questa situazione dovesse perdurare, a rischio è anche l’approvvigionamento di acqua per uso agricolo».
Quella degli agricoltori è una preoccupazione diffusa che testimonia il collegamento diretto tra la pianura e la montagna: se i mesi primaverili dovessero continuare a mostrare una carenza di piogge, il rischio è che l’attuale quantitativo di neve in montagna non sia in grado di assicurare la necessaria capacità di irrigazione nei mesi più caldi, importantissimi per l’agricoltura. Come hanno spiegano Roberto Moncalvo, Presidente di Coldiretti Piemonte e Bruno Rivarossa Delegato Confederale, infatti «a preoccupare è anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell’arco alpino. Soprattutto nel nord Italia tra Piemonte e Lombardia si registra un -57.6%».
Insomma, Il Piemonte deve fare i conti con una siccità diffusa in tutto il territorio, che risulta “severa” nella parte centrale secondo l’indice sui sei mesi calcolato da Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale). Da quanto riportato, mancano due terzi dell’acqua normalmente invasata in questo periodo nel lago Maggiore e il deficit delle risorse idriche accumulate nella neve è del 60%: rispetto a 1.600 milioni di metri cubi ce ne sono appena 620.
LE PIANTE, TRA SPECIE AUTOCTONE E SPECIE “ALIENE”
Tra i testimoni diretti di questi cambiamenti, già sotto gli occhi di tutti, c’è l’Ente che gestisce il Parco naturale del Po piemontese, un sistema di fiumi, boschi, pianure e aree naturalistiche che si estendono per oltre 200 chilometri, fino ai confini con la Lombardia. L’ente sta analizzando gli effetti concreti di questa siccità: come racconta, «non piove da giorni e giorni, fiumi e torrenti sono in forte deficit e anche la falda freatica, le acque libere che si accumulano nel terreno a una certa profondità, è in sofferenza e di conseguenza anche le piante e gli animali lo sono».
L’Ente ci informa che nelle zone di pianura si sta verificando una grande moria di querce: il fenomeno, che si verifica da qualche anno in maniera diffusa ben oltre il perimetro delle Aree protette, si sta via via intensificando. «Anche gli ontani non vengono risparmiati: in particolare gli ontani neri affondano le loro radici nell’acqua, ma l’acqua si sta ritirando così entrano in gioco specie che vivono su suoli meno bagnati» proprio come i frassini e altre specie frugali.
Teniamo presente che anche le piante si muovono, non solo gli animali.
Questa situazione favorisce infatti anche la diffusione delle specie esotiche considerate da molti “opportuniste” a scapito di quelle autoctone di maggior valore ecologico. Ad esempio, «il Parco naturale della Collina di Superga è sempre più popolato di palme, una tra le tante specie esotiche invasive».
L’evolversi della situazione è costantemente monitorata dall’Ente e come risultato anche le attività di riforestazione vengono adattate per far fronte alle nuove condizioni ecologiche come la creazione di ambienti sempre più resistenti alle variazioni climatiche. Non per altro, il termine “adattamento” rientra proprio nelle strategie sovranazionali di contrasto ai cambiamenti climatici.
GLI EFFETTI SUGLI ANIMALI
Tra gli animali in una situazione di forte stress ci sono innanzitutto gli anfibi, che per natura sono legati alle aree umide. Secondo l’Ente «si rileva un’importante riduzione del loro successo riproduttivo: da qualche anno le prime ovature primaverili vanno in secca e tutte le uova sono perse». Un esempio sono i siti riproduttivi del Meisino a Torino, in cui lo scorso anno nessun anfibio ha avuto successo nella riproduzione. «Ma lo stesso si può dire di molti altri siti lungo l’intero corso del Po che erano asciutti già lo scorso anno come alla Lanca di San Michele a Carmagnola, al Po Morto a Carignano, alla confluenza dell’Orco con il Malone a Chivasso, ma anche nel Parco naturale della Collina di Superga o nella Riserva naturale del bosco del Vaj».
In questo modo diverse specie devono misurarsi con la siccità: in passato durante l’autunno e l’inverno era più facile il mantenimento di un’umidità costante e a queste stesse condizioni continuano a fare riferimento alcune specie come il pelobate fosco insubrico (chiamato “Rospo della vanga”) nonostante il clima sia cambiato: possiamo considerare questa una “trappola ecologica” che spinge gli animali a comportarsi come hanno sempre fatto ma a fronte della minore quantità di acqua disponibile il loro successo riproduttivo risulta fortemente ridotto.
L’Ente ha osservato come la natura in una qualche misura stia cercando di rispondere alla maggior siccità e si sta osservando un microadattamento: alcuni esemplari riescono ad approfittare delle piogge che arrivano sempre più tardi e quindi riescono a garantire la sopravvivenza della specie anche se con un successo riproduttivo affievolito.
Oltre agli anfibi, «i corsi d’acqua quasi in secca nel periodo invernale provocano anche la moria di un gran numero pesci. Patiscono in particolare le specie autoctone, più esigenti dal punto di vista ecologico, come lo scazzone, la trota marmorata e la lasca, a vantaggio delle specie esotiche più adattabili tra le quali il siluro e il cobite asiatico». Il controllo dell’Ente-Parco è continuo e i prossimi monitoraggi che contribuiranno a verificare gli effetti di questo altro anno di siccità si terranno tra i mesi di marzo e giugno, per intercettare il maggior numero di specie possibile: rane verdi e rane rosse, raganelle, tritoni, pelobati e rospi.
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