Luciana delle Donne di Made in carcere: “L’economia del futuro è donarsi al prossimo” – Dove eravamo rimasti #5
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«Dedico questo grandissimo progetto a mia madre, che non c’è più, ma che ha insegnato a vivere con generosità, con un senso dell’ironia e con una leggerezza che noi figli ci siamo portati dietro e che stiamo trasferendo a tutti quanti. Lei è la mamma di tutto questo progetto e sono felicissima di averla incontrata e di aver vissuto con lei quasi sessant’anni».
Conosciamo da anni Luciana delle Donne: l’abbiamo incontrata di nuovo il 4 dicembre 2021 a Torino, in occasione dell’Ashoka Changemaker Summit. Il suo carattere vulcanico, istrionico e trascinatore è stavolta velato dalla tristezza: da poche settimane la sua mamma non è più tra noi.
Ovunque sia, può però essere orgogliosa di sua figlia (che non si perde mai d’animo): il suo progetto Made in carcere, nato nel 2007 per dare una seconda opportunità alle donne detenute, procede a gonfie vele. E grazie al recupero dei tessuti di scarto per produrre i propri capi, si pone sempre più come uno dei progetti simbolo dell’economia circolare che tiene a cuore anche la sostenibilità umana.
Dal nostro ultimo incontro risalente al 2017, Made in carcere ha stretto collaborazioni in diverse città italiane, allargando il proprio raggio di azione non solo alle donne, ma anche ai minori e agli uomini: «Oltre a Lecce e a Trani, abbiamo aperto tanti altri laboratori nelle carceri. Oggi siamo a Matera e a Bari, dove produciamo anche biscotti vegani certificati biologici, mentre a Napoli supportiamo l’iniziativa della Pasticceria Di Nisida, che lavora con i minori. Stiamo aprendo nel frattempo anche a Taranto», ci racconta Luciana.
Oltre ai laboratori all’interno del carcere, il progetto sta investendo creando diverse reti di collaborazioni nei territori che raggiunge: «Grazie a Fondazione Con Il Sud stiamo portando avanti un progetto che coinvolge oltre sette cooperative e sessantacinque detenuti con un contratto di lavoro. Ma oltre questo stiamo sostenendo lo sviluppo di diverse sartorie sociali di periferia: a loro doniamo il tessuto in esubero di cui hanno bisogno e li aiutiamo a crearsi un brand, un’identità, in modo tale che poi possano viaggiare in autonomia. Per questo tipo di progetto siamo attivi a Verona, Grosseto, Lecce, Taranto e Bari. A Catanzaro invece abbiamo donato delle macchine da cucire per attivare una sartoria all’interno del carcere».
Le cifre della recidiva tra le centinaia di persone con cui siamo venute e venuti a contatto sono praticamente nulle
Non mancano collaborazioni con l’estero: l’Università della Repubblica Dominicana ha coinvolto Made in carcere in un progetto di formazione, svoltosi on line a causa della pandemia, che ha visto l’organizzazione formare diverse persone e fornire un know-how riguardo l’utilizzo del materiale tessile recuperato: «Questa iniziativa va nella direzione del nostro desiderio di aprire una Social Academy che permetta ad altre realtà di formarsi e di replicare il nostro modello».
Per Luciana vale infatti il detto “vietato non copiare”: «Rendere replicabile il modello di Made in carcere vuol dire che tutti possono fare qualcosa di buon senso come facciamo noi. Noi lavoriamo con un modello semplice: recuperiamo i tessuti, li cataloghiamo, li tagliamo, li cuciamo e poi vendiamo il prodotto. Sono tutti tessuti che, altrimenti, sarebbero finiti al macero, avrebbero contribuito ad emettere ulteriore CO2 in atmosfera, dunque avrebbero inquinato o riempito inutilmente magazzini e depositi. Invece così sono diventati la nostra materia prima».
Altro importante traguardo raggiunto dal progetto, secondo Luciana, è “l’indipendenza” raggiunta dalla sua fondatrice: «Sono molto felice oggi di poter dire che Made in carcere procede al di là della mia persona. Abbiamo infatti delle persone fantastiche che portano avanti l’iniziativa anche senza la mia presenza costante. Sono riuscita a trasferire l’approccio di essere al servizio, con umiltà, e a disposizione degli altri, rispettando la natura e mettendo il pianeta al centro delle nostre scelte: di riflesso tutto questo diventa fonte di benessere anche e soprattutto per le persone».
Un benessere che da sempre, ma soprattutto negli ultimi anni, sembra essere il fulcro dell’azione dell’imprenditrice Changemaker Ashoka: «Penso che ormai i tempi siano maturi per parlare di Benessere Interno Lordo. Le caratteristiche di questo nuovo indicatore? Corrispondono al nostro lavoro! Valori come l’economia rigenerativa, riparativa e trasformativa, oltre che sulla carta producono benessere soprattutto nella vita delle persone».
«Ci abbiamo fatto caso in questi anni guardando le cifre della recidiva tra le centinaia di persone con cui siamo venute e venuti a contatto tramite Made in carcere: sono praticamente nulle», conclude Luciana. «Le persone che hanno un’opportunità, se questa è piena di senso, rispondono mettendosi in gioco e cambiando loro stesse: valori intangibili che ci fanno capire quanto il donarsi al prossimo sia davvero la nuova forma di economia sana del futuro».
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