Kiloveste: abiti al chilo per favorire riuso ed economia circolare
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Prato, Toscana - I racconti di un’amica durante il primo lockdown con tutte le difficoltà a reperire vestiti per il figlio piccolo che cresceva in fretta, anche quelli acquistati online che arrivavano quando ormai la taglia era stata già superata, sono stati l’incentivo per la nascita di Kiloveste, lo shop online di abbigliamento di seconda mano per i bambini.
Un’intuizione trasformata in realtà grazie a Thomas Gargano e alla sorella Nadia. «Io non vengo dal mondo dell’abbigliamento – racconta Thomas –, vengo dal giornalismo, ma mia mamma da sempre ha un’azienda che si occupa di abbigliamento di seconda mano. Da circa tre anni mi occupo della ditta e mi sto rendendo conto dello spreco e dei rifiuti prodotti dal mercato degli abiti usati».
A Prato si smaltiscono, proprio perché considerati rifiuti, tonnellate e tonnellate di vestiti: «L’abbigliamento usato da bambino è abbastanza semplice, si distingue in due categorie: completamente esausto perché usurato e buono solo per recuperare la fibra – Prato è la patria del riciclo tessile – oppure nuovo, in condizioni eccellenti», aggiunge.
L’industria della moda è la seconda più inquinante al mondo. Dietro le realizzazioni di capi di abbigliamento si nascondono leggi di mercato e di sfruttamento davvero folli. Nel caso specifico dei bambini si aggiunge un’ulteriore problematicità dettata dalla velocità con cui un capo smette di essere utilizzato per la loro continua crescita.
Thomas e il team di Kiloveste si trovano a gestire grandi quantità di vestiti quasi nuovi e di buona qualità. Da qui anche il nome dell’azienda, che può essere letto in chiave interrogativa – “chi lo veste il mio bambino?” – facendo riferimento al mercato di seconda mano, incentivando così un minore spreco ambientale e di portafoglio.
«Il concetto della vendita al chilo è difficile da far passare, non si ha la percezione di ciò che si è acquistato. Chiediamo uno sforzo davvero importante, ovvero affidarsi a qualcuno, ma anche se le cifre che chiediamo non sono elevate – 24,99 euro + 4,99 costo di spedizione – non è semplice. Tante persone ci chiedono di spedirci i loro vestiti in cambio di denaro o di altri capi. Questa sarebbe la nostra idea iniziale, speriamo di arrivarci. Il nostro obiettivo ha una finalità commerciale, ma anche quella di chiudere un cerchio: hai usato il chilo che ti ho mandato due mesi fa, non va più bene, me lo rimandi e ti invio, come una sorta di contratto, altri vestiti».
Stiamo studiando un modo per chiudere il cerchio e contribuire il più possibile a diffondere una mentalità più sostenibile con una massiccia riduzione degli sprechi
In Europa e in Italia non esiste una vendita al chilogrammo. Le difficoltà iniziali di Kiloveste sono state diverse anche perché non esistono realtà a cui ispirarsi. In tutta Europa la gestione degli abiti usati viene regolata da determinate discipline e i fornitori di Kiloveste sono prevalentemente in Belgio e in Danimarca per la qualità della materia prima. All’occorrenza si forniscono anche nel distretto di Prato.
«Noi vendiamo al chilo, ma non diamo la possibilità di scegliere, i clienti ci danno delle indicazioni di massima», spiega Thomas. «Questa modalità ci ha posto di fronte a sfide importanti: come incontrare il gusto del cliente, come fare politiche di reso coerenti con la normativa. In alcuni casi i clienti restano insoddisfatti per un solo capo, cerchiamo di capire il problema – che può essere legato a taglia, colore, modello o altro – e facciamo un piccolo buono sconto sull’ordine successivo, evitando di fare resi per un solo caso».
Grazie a un contributo economico fornito dalla Camera di Commercio di Prato per la digitalizzazione delle imprese, Kiloveste ha potuto realizzare un sito internet e da settembre 2021. Dopo qualche mese complicato, gli ordini continuano ad aumentare e tantissimi clienti sono tornati ad acquistare.
In Italia l’usato è sempre stato associato a ristrettezze economiche, a parte una nicchia innamorata della moda vintage. Per uscire da questa logica Kiloveste ha inventato una maniera diversa per impacchettare i vestiti da spedire. La Kilo bag ha la forma di una caramella ed è realizzata con materiale di riuso come lenzuola vecchie che sarebbero destinate al macero perché non più di moda. All’interno l’equivalente di un chilo di vestiti: t-shirt a manica lunga o corta, maglione, giubbotto, pantaloni, salopette, vestitini, calze, scarpe.
La Kilo bag cambia a seconda dell’età e della stagione: «A volte le richieste sono bizzarre, ci chiedono capi firmati, creazioni in vari colori; noi cerchiamo sempre, nei limiti del possibile, di esaudire le richieste dei clienti. Dietro ogni caramella non c’è niente di automatizzato, è tutto fatto a mano. Mia sorella e altre persone guardano e selezionano ogni singolo capo, la taglia, l’usura». Un lavoro minuzioso.
«Il consumo estremo di vestiti raggiunge le 450 mila tonnellate di CO2 e uno spreco di acqua di oltre 460 miliardi di litri», conclude Thomas. «Risorse ed energie vengono consumate fino all’estremo. Cosa si può fare? Con Kiloveste stiamo studiando un modo per chiudere il cerchio e contribuire il più possibile a diffondere una mentalità più sostenibile con una massiccia riduzione degli sprechi».
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