Seguici su:
Torino - Negli ultimi mesi alcune sconcertanti immagini stanno facendo il giro del web. Riguardano le montagne di vestiti che giacciono nel deserto dell’Atacama, in Cile, provenienti dall’Europa, dall’Asia e dagli Stati Uniti. Rifiuti tessili che ci metteranno secoli a degradarsi. La verità è che queste immagini non stupiscono affatto coloro che lavorano quotidianamente nel settore perché potrebbero essere state scattate in uno qualunque dei Paesi in situazioni di povertà, in primis il Ghana, verso cui vengono esportati i rifiuti tessili dei “paesi ricchi”, proprio come il nostro.
Ormai è chiaro: l’impatto ambientale dell’industria della moda deriva principalmente dal suo modello lineare, caratterizzato da iperproduzione e spreco. Ogni anno vengono prodotti più di 100 miliardi di nuovi capi d’abbigliamento che vengono indossati per un tempo sempre più breve (in media tre anni), dopodiché vengono dismessi.
Questo è un problema che interessa soprattutto la fast fashion, ossia la moda veloce, a basso costo, che in poco tempo si trasforma in rifiuto. Ma proprio su queste criticità si concentra il progetto di due giovani ragazze e imprenditrici piemontesi, Elena Ferrero e Sara Secondo, nonché fondatrici di Atelier Riforma.
Ogni capo ha caratteristiche diverse che, se valorizzate, possono essere utili a un differente tipo di riutilizzo. Da questa convinzione è nato tre anni fa Atelier Riforma, grazie all’enorme e virtuoso lavoro di Sara ed Elena che, partendo da Torino e arrivando in molte altre città italiane, stanno riformando il nostro modo di produrre e consumare passando da una moda lineare a una moda circolare. Come vi abbiamo raccontato qui e qui, Atelier Riforma si è occupata in questi anni di raccogliere vestiti usati e affidarli a una rete di sarti affinché ne rimuovessero i difetti, per renderli nuovamente indossabili.
In questi ultimi due anni Elena e Sara non si sono lasciate scoraggiare dal periodo complicato della pandemia e giorno dopo giorno hanno creato una rete di più di 25 realtà sartoriali in tutta Italia, tra cui diverse sartorie sociali che promuovono l’inclusione lavorativa di persone svantaggiate come migranti, ex-detenute e donne vittime di violenza.
ATELIER RIFORMA AL GREEN ALLEY AWARD 2022: IL PREMIO DEDICATO ALL’ECONOMIA CIRCOLARE
Negli ultimi giorni Elena e Sara hanno ricevuto un’importante notizia: il loro progetto è stato selezionato come semi-finalista del Green Alley Award, il più prestigioso premio europeo dedicato all’economia circolare e alle soluzioni sostenibili in vari campi.
Sono 177 i progetti che inizialmente hanno aderito al contest, i cui finalisti risultano a oggi 20. Per decretare le 6 startup che accederanno alla finale è stata aperta una votazione pubblica, attiva fino al 15 febbraio e tra queste c’è anche Atelier Riforma. Al suo fianco, altri due progetti italiani: Agree, che intende contrastare il food waste attraverso imballaggi sostenibili e commestibili per la frutta e la verdura e Nazena, che grazie al riciclo delle fibre tessili trasforma scarti tessili industriali e vestiti usati in nuovi prodotti come packaging, allestimenti e molto altro ancora.
RE4CIRCULAR: UNA TECNOLOGIA PER INDIRIZZARE I CAPI USATI VERSO IMPIEGHI SOSTENIBILI
«Una notizia che ci rende felici è che dal 1° gennaio 2022 in Italia è stata resa obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti tessili, come si fa attualmente per altri tipi di rifiuti come carta, plastica o vetro. Questo è un importante passo avanti ma bisogna essere cauti a esultare: un conto è raccogliere adeguatamente un rifiuto, un altro è avviarlo al riciclo. Ad oggi infatti meno dell’1% di tutto il materiale tessile prodotto viene riciclato, alla fine della sua vita, in nuovi capi d’abbigliamento».
Per favorire buone pratiche di riciclo e riuso Sara ed Elena stanno ora lavorando a una tecnologia che permetta di applicare il modello circolare a una più ampia scala: hanno appena fatto partire lo sviluppo della prima tecnologia di Intelligenza Artificiale per la catalogazione e smistamento dei rifiuti tessili. Il progetto verrà chiamato “Re4Circular” e il suo obiettivo sarà quello di indirizzare quanti più capi usati possibile verso impieghi sostenibili come il riuso, il riciclo e l’upcycling, facendo in modo che gli abiti non finiscano in discarica.
«Entro il 2025 in tutta l’UE sarà obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti tessili e questa tecnologia potrebbe rendere l’Italia pioniera nell’imminente cambiamento di normativa nel settore». In questo modo le fondatrici di Atelier Riforma stanno facendo in modo che nessun vestito dopo essere stato utilizzato si trasformi in rifiuto, adoperandosi affinché venga continuamente recuperato, trasformato e rimesso in circolazione, creando valore economico e nuovi posti di lavoro.
SE LE SOLUZIONI CI SONO, PERCHÉ IL TASSO DI RICICLO DEI VESTITI È COSÌ BASSO?
Come ci viene spiegato, «le ragioni sono soprattutto da ricercare nell’arretratezza, nella rigidità e nella poca trasparenza dell’attuale filiera dei rifiuti tessili, oltre che in una poca lungimiranza durante il processo di selezione e smistamento del materiale raccolto».
Il riciclo meccanico del materiale tessile (quindi il processo per il quale il tessuto viene frantumato per poi ricomporre la fibra per farne un filato rigenerato da cui creare nuovi tessuti) può essere effettuato solo su determinate tipologie di materiali: in primis cotone, cachemere, nylon e poliestere. Un primo problema è che il capo di partenza non può essere a composizione mista, deve essere fatto per il 100% dello stesso materiale. Condizione non molto frequente nei vestiti di oggi.
Se il riciclo meccanico non si può realizzare con tutti i vestiti, allora cos’altro può essere fatto? «Se il capo dismesso non presenta difetti ed è in buono stato, soprattutto se di buona qualità, a differenza di molti prodotti della fast fashion può essere rivenduto come vestito usato e per fortuna i negozi vintage e dell’usato sono sempre più numerosi e frequentati soprattutto dai giovani».
«Da ogni scarto, una risorsa: questo è il nostro motto!».
Purtroppo nel campo della moda basta che ci sia anche solo un piccolo difetto (uno strappo, un bottone mancante, una macchia) e un capo non è più adeguato alla rivendita diretta. Per questo motivo si sta diffondendo sempre di più un’arte che le nonne e le bisnonne praticavano già da tempo immemore: il refashioning creativo o upcycling.
«In altre parole il recupero del vestito attraverso la trasformazione sartoriale, che lo rende nuovamente privo di difetti e indossabile». Tale pratica di recupero sta prendendo sempre più piede tra sarti, designer o brand di alta moda. Elena e Sara, con il loro Atelier Riforma, fanno proprio questo: sono parte fondamentale di un sistema interconnesso che ci sa mostrare un’alternativa verso una nuova transizione circolare della moda.
Se anche voi intendete contribuire a questa transizione circolare potete votare Atelier Riforma al Green Alley Award 2022, chissà che quest’anno una startup italiana possa vincere il premio!
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento