5 Gen 2022

Rizomi: i cittadini si auto-organizzano per comprare un bosco e restituirlo alla comunità

Scritto da: Redazione

Tonio Totaro ci racconta una storia. È quella di un'associazione di cui è vice-presidente e di un gruppo di cittadini che si sono attivati per compiere un'impresa: acquistare un bosco allo scopo di difendere il territorio dall'agribusiness e restituirlo alla comunità locale, facendolo diventare un bene comune.

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Bari, Puglia - C’era una volta un paese dell’immediato entroterra adriatico, un paese pugliese di quell’assolato sud-est barese i cui cittadini decisero che qualcosa doveva iniziare a cambiare. In quel grazioso borgo – per secoli asservito al connubio del potere feudale con quello ecclesiastico e pure da sempre celebrato dai più svariati cronisti delle epoche passate come la “nobile Conversano” in virtù del suo tessuto storico, artistico – a un certo punto della sua storia, nel novembre 2021, qualcuno decise di intraprendere una forte azione di attivismo civico nel segno della rinaturazione.

A dare avvio a questa impresa fu un solido tessuto sociale fiorito dal basso intorno ai fili dell’ecologia, dell’ambientalismo antiretorico, dell’urbanistica buona, del paesaggismo concreto, dell’agronomia dissidente. Un reticolo organico reattivo a cui abbiamo dato per nome Rizomi e come obiettivo a breve termine l’acquisto collettivo di un pezzo di territorio agricolo dei più rari ancora esistenti nel circondario. Si, perché il nodo forte intorno al quale si sviluppa il nostro tessuto sociale è quello del paesaggio rurale.

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La geomorfologia e le condizioni pedoclimatiche di questa porzione di bassa Murgia del sud est eleggevano l’intera zona a elevata vocazione agricola e sin dai primordi dell’agricoltura moderna facevano di Conversano e del suo agro una collezione di giardini fruttiferi, di orti variegati, di “chiusure “di olivi che si aprivano verso i bassi vigneti del primitivo, dell’antinello e di carrubi, sui terreni verso il mare e campi di grano e prati foraggeri sui terreni più alti.

Tutto questo in completa sintonia con i modi tipici di quell’”umanesimo della pietra” che faceva dell’elemento minerale sovrabbondante una vera e propria risorsa: sorgevano le masserie, gli iazzi i palmenti e le cisterne; i banchi rocciosi affioranti, se divelti dal terreno, venivano sagomati e sistemati a secco prendendo le forme di muretti, specchie, trulli, caselle pagliai.

Ci fu un tempo in cui anche il patrimonio boschivo di Conversano era consistente: si possono ricordare i due nuclei principali e cioè i 1700 ettari di terreno forestale detto Macchione e i 600 ettari del bosco di masseria San Pietro. Ma tra la fine del ‘700 e la prima parte dell’800 la maggior parte di questo tesoro veniva drasticamente impoverito e avviato a coltura, per effetto di vicende giudiziarie, espropriazioni, frazionamenti e vendite che colpirono i nobili proprietari al tramonto della feudalità.

Si apriva così la stagione delle grandi trasformazioni fondiarie portate avanti dalla pletora di coloni e mezzadri, ma soprattutto dalla figura del piccolo proprietario contadino, e facilitate dalle superfici poco acclivi e per lo più in piano che in complesso caratterizzano il territorio comunale. A questo intenso processo si deve la irrisorietà della percentuale a “bosco” all’interno dei catasti e delle statistiche che descrivevano gli ordinamenti colturali durante l’intero secolo passato.

Con l’avvento della meccanizzazione e sotto le direttive della rivoluzione verde, quell’agricoltura fatta di piccoli spazi, di margini di vegetazione selvatica e di ricerca di quell’autonomia contadina che si traduceva in un’estesa diversificazione colturale ha smesso di essere tale, prendendo la via dell’agroindustria capitalistica basata sulle leggi del più grande, più forte e più veloce. A farne le spese è stato – e lo è tutt’ora – il paesaggio rurale con tutti gli elementi antropici di cui è disseminato.

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La necessità di spazi sempre maggiori per raggiungere economie di scala ha portato e porta attualmente ad accorpamenti fondiari e livellazioni superficiali che fagocitano ogni bordura, ogni angolo selvatico, ogni muretto a secco, in profondo sfregio al recente riconoscimento degli stessi, e dell’arte costruttiva, patrimonio culturale immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco. Complice una legislazione regionale in materia agricola votata all’agribusiness, si riconducono a coltura anche quei terreni più impervi della gariga murgiana, gli arbusteti della macchia mediterranea, i pascoli aridi e con una semplice dichiarazione di miglioramento fondiario si è in regola per cancellare interi uliveti e svellere piante secolari.

Questa è la riflessione di fondo che sostanzia l’agire degli attivisti di Rizomi e non avremmo potuto scegliere nome migliore che ci identificasse. La figura dei rizomi, sotterranei reticoli radicali che si sviluppano orizzontalmente con una crescita indefinita e capaci di connettere ma anche di scalzare pavimenti duri, si presta del tutto come significante di questo primo atto: l’acquisto di un bosco.

È già stata avviata una raccolta fondi che permette di partecipare a questa compravendita simbolica ma performante, politica nel vero senso della parola. Un bosco che resiste ancora, di fianco a estensioni di ettari ed ettari di vite coperta con plastica; un bosco che è l’ultima parte di una intera collina delinquenzialmente spogliata e violentata nella sacralità di un vincolo archeologico e paesaggistico; un bosco in virtù del quale il legislatore regionale prescriveva e segnava in cartografia un’area di rispetto che è stata anch’essa illegalmente usurpata ai fini dell’industria dell’uva da tavola.

In un certo senso l’acquisto collettivo di un bosco vuol dire che la comunità si fa carico della protezione di un luogo naturale più e meglio di quanto potrebbe fare un vincolo legislativo o un’indicazione di tutela urbanistica. Ed è la stessa comunità che reagisce a quegli ordinamenti di politica economica che vorrebbero fare di Conversano l’avamposto della monocoltura dell’uva da tavola del sud est barese, che già oggi rappresenta più del 20% della superficie agricola utilizzata.

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Ma è anche la reazione all’immobilismo dispotico di un’amministrazione locale ultradecennale comodamente assisa su posizioni agro-liberiste, che preferisce lasciare le sue campagne al libero gioco (giogo) del mercato. La stessa che non ha volontà di istituire l’Ente che gestisca la sua Riserva Regionale Orientata dei Laghi e Gravina di Monsignore, in cui ad oggi sono disattesi tutti gli obiettivi di tutela.

Un’amministrazione che non ha alcuna intenzione di adeguare i suoi strumenti urbanistici, in merito al territorio rurale, al sovraordinato piano regionale. La stessa amministrazione che conosce ma ignora un “Regolamento agro forestale”, redatto da più di vent’anni, ostacolato nella sua attuazione e finito smarrito tra gli scaffali comunali. Un’amministrazione che ignora anche un “Regolamento per le attività di trasformazione nel territorio agricolo”, approvato con una delibera del 1993, il quale prescrive il divieto assoluto di abbattimento e frantumazione delle pareti a secco lungo le strade di campagna, misura semplice ma efficace per scongiurare molte trasformazioni colturali impattanti.

La conversione di un bosco da bene privato a bene comune diventa allora una presa di posizione della comunità civile che si auto-organizza per salvare un luogo importante del suo territorio e definire il suo futuro. Pensare che un tempo i boschi erano interdetti all’utilizzo popolare se non appartenenti al demanio e che il bosco in oggetto ricade all’interno di quello che un tempo era il “feudo di Monteferraro”, estesa proprietà dei conti Aquaviva D’aragona, ha il sapore quasi di un riscatto e questa riconduzione al pubblico equivale a voler ristabilire, in chiave moderna, quegli usi civici, quel diritto all’uso popolare di una risorsa locale, diritto sempre incerto e instabile, legato alla dialettica feudo-demanio.

Con questo acquisto più che assecondare la richiesta di utilizzare un bosco c’è la voglia di far vivere il bosco, nei due sensi: quello di preservarne la sua evoluzione ecosistemica e di permettere alla gente di fare esperienza del bosco, del selvatico. Con l’obiettivo ultimo di provocare la nascita di connessioni naturali, di visioni condivise, di vie di fuga per il desiderio che solo un approccio rizomatico, a detta della geofilosofia di Deleuze e Guattari, saprebbe farci appiedare nella nuova visione del mondo che vogliamo, senza riprodurre ma creando.

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Allora non resta che scoprire questo luogo: il bosco si apre a noi con una radura occupata, nella parte più bassa, da una grande cisterna in pietra che ancora raccoglie l’acqua di scorrimento superficiale della zona circostante e si ha già di fronte l’imponente immagine di una quercia maestosa. È un fragno ultracentenario che proprio in dicembre cambia il colore al suo mantello fogliare offrendo sfumature cromatiche sensazionali, prima di abbandonarlo quasi del tutto nei mesi a venire, essendo una semi-caducifoglia.

Il bosco inizia di qui e, forte della protezione di questo “nume tutelare”, va a uniformarsi su una superficie di circa sei ettari, gran parte dei quali un intrico di vegetazione che reclama il suo “please do not disturb”. Con rispetto e curiosità, meraviglia e leggerezza percorriamo i due sentieri che ci portano davvero a contatto con questo mondo umbratile, silenzioso ma perennemente in divenire.

Per chi volesse contribuire al progetto, queste sono le informazioni per effettuare un versamento:
Codice IBAN: IT96A0501804000000017119231
Ragione sociale e indirizzo del ricevente: Ass. Rizomi O.D.V.
Causale: Donazione per bosco bene comune + Nome Cognome
Istituto bancario del beneficiario del bonifico: Banca Etica Filiale di Bari, Via Ottavio Serena, 30, 70126 Bari BA
Info: rizomipuglia@gmail.com

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