Particolato fine: ecco quanta gente muore ogni anno in Italia a causa del Pm2.5
Seguici su:
Una delle sfide più importanti nella lotta al cambiamento climatico è la riduzione dell’inquinamento atmosferico, particolarmente dannoso sia per l’ambiente che per la salute dell’essere umano. Delle diverse sostanze inquinanti che l’attività di matrice antropica emette nell’atmosfera, una particolare attenzione va rivolta al cosiddetto particolato fine o Pm2.5 (acronimo inglese di particulate matter), che secondo la European environmental agency e l’OMS è tra le più nocive. In particolare, ha un impatto molto forte sulla salute umana, e ogni anno causa migliaia di decessi prematuri.
Gli effetti del particolato fine sulla salute umana
Il Pm2.5 è una particella di diametro inferiore ai 2,5 millesimi di millimetro (o micron, μ). Data la sua dimensione estremamente ridotta, è capace di penetrare in profondità nel sistema respiratorio umano, raggiungendo non solo la trachea e le vie respiratorie superiori, quale è il caso del Pm10, ma anche gli alveoli polmonari.
Il particolato fine ha effetti nocivi sia sul sistema respiratorio che su quello circolatorio. Secondo le analisi dell’Oms, una esposizione prolungata ha comprovati legami con l’emergere di tumori e di altre patologie come l’obesità, il diabete, ma anche il morbo di Alzheimer e la demenza. Può inoltre causare arteriosclerosi e, secondo ricerche recenti, potrebbe incidere sullo sviluppo neurologico nei bambini e sulle funzioni cognitive negli adulti. Oltre a esacerbare problemi di salute preesistenti.
Come riporta l’Eea, si tratta della sostanza inquinante più dannosa per la nostra salute, insieme al biossido di azoto (No2) e all’ozono (O3), nonché quella che ogni anno causa il numero più elevato di morti premature. Negli ultimi anni, grazie all’innovazione tecnologica e al crescente utilizzo di carburanti meno inquinanti, nell’UE questa cifra ha registrato un graduale calo.
Si tratta comunque di cifre molto elevate. Soprattutto se consideriamo che sono distribuite in maniera fortemente diseguale non solo tra i vari paesi dell’Unione, ma anche all’interno dei singoli Stati, in particolare tra le diverse classi sociali di appartenenza.
Bambini, anziani e persone con condizioni di salute fragili o malattie pregresse sono infatti particolarmente esposte ai rischi del particolato fine. Ma in generale anche le persone che si trovano in condizioni di disagio socio-economico, che spesso vivono nelle aree più periferiche delle grandi città. Cioè zone fortemente industrializzate, con poco verde pubblico e abitazioni costruite a ridosso di strade trafficate – luoghi particolarmente esposti all’inquinamento atmosferico.
L’esposizione al Pm2.5 incide fortemente sull’aspettativa di vita
In questo senso è anche importante sottolineare che i dati riguardano solo i 27 paesi che fanno parte dell’Unione Europea, ma che a essere maggiormente colpiti dal problema dell’inquinamento da Pm2.5 sono paesi europei che non ne fanno parte, in maniera particolare l’area balcanica (Serbia, Macedonia del nord, Albania). Come evidenzia l’Eea, si tratta infatti di stati ancora largamente dipendenti da combustibili di qualità inferiore come il legno e il carbone, fortemente inquinanti.
La regione della capitale macedone Skopje, in particolare, è quella che riporta il numero più elevato di morti premature da Pm2.5 di tutto il continente (225 ogni 100mila abitanti nel 2019), seguita dalla provincia serba Podunavska oblast (205). Tra i paesi Ue invece è la Bulgaria a registrare le cifre più elevate, soprattutto, anche in questo caso, nella regione della capitale.
Le morti premature da Pm2.5 nella penisola italiana
A causa dell’alto tasso di industrializzazione, l’Italia è uno dei paesi UE che risultano maggiormente colpiti dal problema del particolato fine. Da questo punto di vista esistono però forti differenze a livello locale. Cremona è la provincia italiana che nel 2019 ha registrato il numero più elevato di decessi causati dall’esposizione al particolato fine. È la quarantesima provincia in UE da questo punto di vista. Si stima che in quell’anno 468 persone abbiano perso la vita per questo motivo. La seguono Brescia, Mantova e Padova con 123 decessi ogni 100mila abitanti.
In generale, a risultare maggiormente colpito è il nord della penisola e in particolare la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna, in corrispondenza della zona fortemente industrializzata della pianura padana. Mentre a riportare le cifre più contenute sono la provincia sarda di Sassari (con 49 decessi ogni 100mila abitanti), seguita da Olbia-Tempio nella stessa regione e dalla Valle d’Aosta, entrambe con 50 morti.
Va però sottolineato che, come è avvenuto a livello europeo, anche in Italia la situazione sta gradualmente migliorando. Come abbiamo raccontato in un altro recente approfondimento sul problema del particolato fine, negli ultimi 13 anni la concentrazione di questa sostanza nell’aria delle città italiane si è infatti dimezzata. Ma resta ancora molta strada da fare, considerando che l’Ocse raccomanda una concentrazione inferiore ai 10 µg/m3, mentre nel 2019 nelle città italiane questa si attestava, mediamente, intorno ai 15,5 µg/m3.
Clicca qui per l’articolo originale.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento