La nuova vita di Pamela, rinata nella semplicità selvaggia del Madagascar
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Parlo con Pamela mentre sullo sfondo, dietro le sue spalle, si intravvedono piscine naturali – dimora di tartarughe giganti – foreste di Baobab e piante acquatiche e montagne sacre, dimora di spiriti e divinità. Parlo con lei e i suoi occhi commossi dall’inizio alla fine della nostra conversazione: non posso fare a meno di fissarli, di perdermici e di commuovermi insieme a lei.
Le chiedo di scrivere per raccontarsi e raccontare la sua storia incredibile di cambiamento. «Mora mora, piano piano. I tempi qua sono dilatati, molto dilatati: tutto quello che in Europa abbiamo a portata di mano, in Madagascar dobbiamo procurarcelo e spesso l’intera giornata vola via solo per le necessità. Perciò scrivere é un lusso, pensare e dedicarsi a sé stessi uguale, riuscire a stabilire una sana solitudine da dedicare a noi é un sacrosanto bisogno, é ossigeno, ma è anche molto difficile qua».
Allora parliamo: è un privilegio per me come stare con lei tra i baobab, le capanne e i profumi maturi della terra malgascia. Cominciamo dalle cose brutte, perché sono talmente meravigliosi il contesto e l’energia di Pamela da attutirne la sofferenza: «Anni fa ho avuto un’esperienza di morte, ero ufficialmente “morta”», mi racconta. «Poi fino a 36 anni sono stata sterile e ho sempre condotto una vita scapestrata, in preda agli istinti e alle voglie del momento, almeno fino alla nascita dei miei figli, che mi hanno permesso di fermarmi e di riflettere».
Chi era Pamela
«Ero un art-director e mi occupavo di marketing e comunicazione aziendale. Viaggiavo nelle capitali del mondo e mi divertivo tantissimo conducendo una vita fuori dalle righe a contatto con persone votate all’eccesso. Ma dopo tanti anni di carriera ho sentito il desiderio di spogliarmi di tutto ciò che mi appesantiva, di liberarmi dalle forzature lavorative che mi impedivano di essere veramente creativa. Non sopportavo più la falsità intorno a me. Così ho deciso di staccare la spina per un po’ andandomene in Sardegna: lì c’era il mare, mio fedele amore di sempre».
Mentre era da amici, ha fatto pratica per diventare istruttrice subacquea: «Allora mi sono sentita davvero libera. Ero adrenalinica e finalmente connessa con la Pamela più profonda. Nel frattempo ho studiato biologia marina e ho cominciato a mandare il mio curriculum in giro per il mondo». Il Madagascar l’ha letteralmente chiamata: «Mi volevano come istruttrice subacquea e così sono partita… pensa il mondo da che parte va!».
Pamela si apre e, nutrendo se stessa, il mondo le restituisce ciò di cui ha davvero bisogno. Così il Madagascar le viene letteralmente addosso: «Mi ci sono scontrata come contro un treno e io che ero incofanata dalle pesantezze europee, ho dovuto alleggerirmene per forza».
La nuova vita sull’isola
Pamela in Madagascar lavora nel mare e con il mare, impara la lingua e le usanze malgasce, litiga con i pescatori e si innamora di uno di loro con cui, oltre a litigare, fa due figli. Decide di rimanere sull’isola. Inizia così un viaggio per l’oceano navigando in piroga con la sua famiglia e scendendo a terra solo per montare la tenda, procurarsi cibo, accendere i fuochi per scaldarsi e cucinare. «Nel tempo trascorso da nomade ho imparato tanto: a bere nelle pozze, a orientarmi nella foresta, a navigare con la piroga e soprattutto a capire ciò che puoi e non puoi fare, a comprendere i propri limiti e possibilità».
La vita prosegue così per due anni, poi la coppia si stabilisce in una minuscola isola e dopo solo un anno Pamela conquista il “passaggio del fuoco” diventando ufficialmente parte della comunità: «In Madagascar il fuoco è sacro, fonte e risorsa di vita. Nel momento in cui una persona del villaggio ti passa dentro una noce di cocco forata nel mezzo, un pezzo di carbone acceso da usare per accendere il tuo fuoco, significa che sei ufficialmente parte della comunità!».
Chi è adesso
«Ho 46 anni, due figli e sono in Madagascar dal 2008, parlo italiano e malgascio, entrambe come madrelingua. Qua ho partorito e vissuto, sull’isola dell’isola dell’isola – Nosy Sakatia, isola sacra delle orchidee e tartarughe marine giganti –, tra le tradizioni ancestrali e la “selvaggitudine” Tribale della vera vita malgascia».
«Mi occupo di turismo eco-sostenibile e solidale e custodisco i segreti tribali di un popolo ancora legato alle radici dell’anima del mondo. Nel progetto sono attualmente impegnate undici famiglie locali. Sono l’unica malgascia bianca della guest-house composta da cinque bungalow e un ristorante tropical bar nel bel mezzo della foresta tropicale, con vista sull’oceano!».
Pamela ha molte cose da raccontare: «Sakatia è magia pura. È il panorama a 360° gradi in cima alla vetta all’ora del tramonto, è il tuffo fresco nell’acqua trasparente del mattino quando ancora il villaggio dorme e le piscine naturali sotto la montagna sacra pullulano di tartarughe giganti. È un bimbo vestito di niente che mangia un mango. È una piroga traballante con la vela tutta stropicciata e rammendata».
«È l’odore e il bagliore dei fuochi accesi mentre scende la sera e non c’è corrente, ma solo stelle. È un bagno nel fiume per lavarsi, è un profumo di olio di cocco, il canto di un uccello, una farfalla gialla con le code, un’orchidea, il caffè tostato sulle braci. È sorpresa, come nella notte, all’improvviso, i tonfi delle balene che saltano nell’acqua. È riso. È lo sguardo sul mare dei vecchi che aspettano il rientro dei pescatori, è il rumore dei tamburi tribali e i canti la notte, è l’insieme dei tantissimi rituali di devozione agli antenati».
«Sakatia è sacralità, è superbia negli occhi dei suoi abitanti, è la prosperità delle donne incinta. Sakatia è la severità delle sue leggi, luogo di antichi re e regine, è tabù e fady da rispettare. È vita malgascia. Quella vera, incontaminata. Ed è anche la nostra casa. È l’uomo che naviga in piroga, lavora il legno e pulisce il pesce, è mia figlia che fa le treccine, è la torta cucinata nella pentola con il carbone sotto e sopra al coperchio! Sakatia è anche la nostra isola».
Pamela si racconta
A volte Pamela si chiede chi sia veramente: la donna che raccoglie la legna nei boschi, che procaccia da mangiare per i figli, che sfida la notte e i pericoli della natura. La mamma che si alza alle 4 di mattina, accende il fuoco, prepara la cartella per i suoi figli e li accompagna con la piroga e poi l’auto alla scuola della città sull’isola vicino. La responsabile di un’attività ricettiva e turistica che porta avanti con le sue instancabili energie e la sua creatività.
Nel raccontarsi, mi mostra una collana con un corallo antichissimo che reca un piccolo foro in mezzo: si narra che chi ha la fortuna di trovarlo e guarda nel buco può accedere ad altri mondi. Io e Pamela ci guardiamo insieme e ci promettiamo che appena finiranno le chiusure e gli impedimenti per la pandemia, andrò a trovarla in Madagascar e «io ti accoglierò per insegnarti la lingua, gli usi e i costumi di questo meraviglioso popolo».
E nel fissare quel buco nel corallo Pamela lancia un appello a tutte le moderne Persefone: «Più che mai in questo momento, sentiamo il bisogno di sodalizi emotivi ed empatici di spessore tra noi donne eroine del presente!». Vorrei che tutte le donne come me fossero già qua! Come mie ospiti ovviamente e come collaboratrici chissà! Mesi e mesi senza turismo infatti hanno bloccato economicamente qualsiasi iniziativa del mio progetto e io sento il bisogno di condividere il tesoro che c’è qui e il patrimonio che ho costruito in anni di lavoro.
Veloma a tutti!
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