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Cinque anni fa scrissi un editoriale auspicando che due fazioni opposte deponessero le armi, si guardassero in faccia e si parlassero. L’occasione era il decreto Lorenzin, che in maniera repentina e molto contestata impose l’obbligo vaccinale per i minori di 16 anni.
L’articolo si intitolava “Vaccini obbligatori: genitori favorevoli e contrari, unitevi!” e rileggendolo adesso provo un profondo sconforto, poiché ciò che al tempo mi sembrava uno strappo già difficile da sopportare nel tessuto sociale del nostro paese oggi si presenta come una voragine che inghiotte tutto.
Ciò che più mi addolora come persona, cittadino, giornalista è leggere odio e rabbia sui volti di persone vicine e lontane, aizzate le une contro le altre in una feroce lotta che ha ormai superato i confini della scienza, della ricerca, della salute pubblica, della ragionevolezza, della costituzionalità. Del rispetto. Siamo stati investiti contemporaneamente da una pandemia e da una infodemia, in una combinazione letale che ha letteralmente sbriciolato le coscienze di molti e molte di noi, il nostro spirito critico, la nostra empatia.
Non credo nei grandi burattinai né nei complotti, ma credo che la gestione di questa emergenza sanitaria abbia generato – e al tempo stesso sia frutto di – un letale mix di equilibri politici, interessi personali, giochi di potere e incompetenza, una potentissima miccia che ha fatto detonare una carica di odio e intolleranza che da troppo tempo riposava, silente ma pronta a esplodere, nelle pieghe dei nostri cuori.
Ci viene ripetuto come un mantra di affidarci alla scienza, ci viene più o meno implicitamente detto di abdicare al nostro spirito critico, preferendo l’imposizione al convincimento, al dialogo e al libero arbitrio. Viene chiamata sempre in causa la responsabilità verso la collettività, una virtù che però latita da anni nel nostro paese: latita quando si decide di utilizzare l’auto anche laddove se ne potrebbe fare a meno, latita quando si alza il riscaldamento per avere un clima più confortevole in casa o in azienda, latita quando si fanno scelte di consumo dal fortissimo impatto ecologico.
Forse l’inquinamento atmosferico che ogni anno causa circa 60000 morti solo nel nostro paese non è determinato da comportamenti riconducibili alle nostre scelte come individui e come collettività? E dire che l’OMS sostiene che il 55% di questi decessi potrebbero essere evitati se solo rispettassimo i limiti stabiliti per le emissioni inquinanti e climalteranti.
Quale fiducia possiamo riporre in un Governo che ha rinviato ulteriormente l’applicazione di due imposte – la plastic tax e la sugar tax – che andrebbero a intervenire su settori che oggi hanno un impatto fortissimo sulla salute pubblica? E quale fiducia possiamo riporre in un Governo – inteso come istituzione – che la cui politica sanitaria ha portato alla perdita di 173 strutture ospedaliere, 43000 posti letto e 46000 operatori nel decennio 2010-2019?
La paura è per sua natura irrazionale, ma esistono modalità specifiche per scatenarla. La comunicazione italiana ha una trista storia di sensazionalismo, terrorismo mediatico, esaltazione del macabro e altri aspetti che scatenano sentimenti forti nell’audience – e, diciamolo, anche cospicui aumenti di pubblico e fatturati.
Questa tendenza si conferma anche in epoca Covid: in un momento in cui i dati presentano un’emergenza il cui problema principale non è più il numero fuori controllo di decessi ma la pressione sul sistema sanitario, si insiste nel presentare un quadro catastrofico, eliminando dalla narrazione quotidiana le “buone notizie”, come la ridotta aggressività della variante Omicron, che per molti virologi potrebbe essere proprio la via d’uscita dallo stato emergenziale.
Stato emergenziale che ha dato luogo a un incessante susseguirsi di decreti legge – strumento che, giova ricordarlo, può essere utilizzato soltanto in casi straordinari di necessità e urgenza, ma che è stato adottato ben otto volte a partire da settembre scorso – con una serie di misure spesso contraddittorie e spiegate male, la cui applicazione è stata troppo sovente demandata a soggetti privi delle competenze e delle possibilità necessarie per farsene carico.
Per sottolineare l’inadeguatezza della gestione operata da chi ci governa mi rifaccio alle parole di Vittorio Agnoletto, inserito dalla rivista Sanità Informazione fra i dieci professionisti della scienza che nel 2021 hanno avuto un impatto nella lotta alla pandemia: “A prevalere non sono state le considerazioni sanitarie ma le ragioni dell’economia o meglio dei padroni dell’economia e il rischio di veder crescere ulteriormente i positivi e di conseguenza i ricoverati e i deceduti è concreto“.
“Il comitato tecnico-scientifico – prosegue Agnoletto, intervistato da Pressenza – conosce queste evidenze e avrebbe dovuto considerarle; chi governa deve compiere delle scelte e assumersene le responsabilità senza però piegare la scienza ai suoi obiettivi. Ma soprattutto è sbagliato pensare una strategia centrata solo sui vaccini: i vaccini svolgono un ruolo fondamentale, ma per bloccare o limitare la diffusione del virus da soli non sono sufficienti”.
Concludo questo sfogo con un appello che – me ne rendo conto – è ancora più disperato di quello che lanciai nell’articolo citato in apertura ormai più di quattro anni fa. E lo faccio da vaccinato e possessore di green pass, che però rispetta, senza discriminarla, la scelta di colleghi e colleghe, amici e amiche che hanno deciso di seguire un’altra strada.
Aprite gli occhi, analizzate le informazioni, abbiate la capacità di comprendere non solo le scelte delle altre persone, ma anche le vostre – troppe volte ho sentito dire “mi sono vaccinato solo perché mi hanno detto di farlo”. Rendetevi conto che la pandemia passerà, ma le ferite che sta inferendo al nostro tessuto sociale, alle relazioni fra di noi, alla psiche dei nostri figli privati senza alcuna giustificazione di istruzione e socialità… beh, quelle ferite non si rimargineranno mai e se non le curiamo ora – lasciatemelo dire, anche se non sono un medico – ci porteranno alla morte.
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