Centro Documentazione Handicap: cultura e azione per portare la disabilità fra la gente
Seguici su:
La bellezza questo mese ve la racconto parlandovi di una realtà fondata più di vent’anni fa nel bolognese che quotidianamente rende la parola diversità sempre più… “contenta”. Si tratta dell’Associazione Centro Documentazione Handicap (CDH).
Nata nel 1996, gestisce un centro di documentazione – attivo già dal 1981 per iniziativa di A.I.A.S. Bologna – sui temi dell’ handicap, del disagio sociale, del volontariato e del terzo settore. L’associazione è un progetto della Cooperativa Sociale Accaparlante Onlus, che esiste dal 2004 per iniziativa dello stesso gruppo di lavoro del Centro Documentazione Handicap. Alla Cooperativa si deve anche il Progetto Calamaio.
Il Calamaio è infatti frutto di un’idea felice e “scandalosa”, uscita quasi per caso delle chiacchierate di Claudio Imprudente, Alberto Fazzioli, Michele Morritti e Andrea Tinti, quattro ragazzi con disabilità che all’epoca ruotavano attorno all’Associazione AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici) di Bologna e che si chiedevano che cosa avrebbero fatto della loro vita dopo l’esame di maturità.
Insieme a loro altri giovani obiettori di coscienza che, al di là della disabilità, si ponevano le stesse domande. Se grazie alla Legge sull’Integrazione Scolastica del 1977 la società aveva poi cominciato a occuparsi della persona con disabilità, cominciava a diventare importante anche ribaltare la prospettiva e chiedersi: come può una persona con disabilità rendersi utile alla società?
I ragazzi insomma volevano un loro posto nel mondo, ma per farlo era necessario cambiare l’immagine della persona disabile nella società, un’immagine ancora legata al pietismo e alla sofferenza, a termini opprimenti come cura e malattia. Si cominciò a lavorare a partire dall’informazione, dando vita alla Biblioteca del Centro Dcoumentazione Handicap, grazie al supporto scientifico di Andrea Canevaro.
Da lì al primo incontro che Claudio – oggi giornalista e scrittore – improvvisò in una scuola elementare di Finale Emilia (MO) nel 1982 il passo fu breve e fu così che cominciò a strutturarsi il gruppo di lavoro che conosciamo ancora oggi e di cui i componenti attuali stanno proseguendo la missione dentro e fuori dalla scuola. Lucia Cominoli, Sandra Negri e Luca Cenci, storiche presenze all’interno dell’Associazione e della Cooperativa, mi hanno accompagnata più in profondità alla scoperta dei luoghi che vivono quotidianamente e che valorizzano le diversità di ognuno coltivandone bellezza.
Di che cosa si occupa il Progetto Calamaio?
Il Progetto Calamaio è oggi formato da un gruppo di persone, educatori e animatori con disabilità motorie e cognitive e sensoriali, che lavora sull’incontro e la valorizzazione delle diversità. Lo fa a scuola e in Università, nel campo dell’informazione, nei luoghi della cultura e del sociale, in quelli dello sport, del turismo e del tempo libero, attraverso laboratori, formazione, giochi, animazioni e percorsi sulla relazione con la disabilità e le differenze rivolti a tutte le età, pensati secondo diversi livelli di approfondimento o a supporto di esigenze specifiche.
Il Calamaio non esisterebbe senza i suoi conduttori, gli “animatori con disabilità” per l’appunto, che con i loro colleghi assumono il ruolo attivo di educatori e mettono la propria disabilità al centro delle attività proposte, trasformando così creativamente la difficoltà in risorsa e accompagnando i partecipanti alla scoperta e alla relazione con l’altro da sé.
Come dialoga il progetto con le altre realtà del territorio?
Negli anni le nostre proposte si sono aperte anche a molte contaminazioni e alla collaborazione con numerose associazioni, enti e istituzioni, a Bologna come sul territorio nazionale e all’estero. Musei, teatri, festival, progetti europei, convegni e giornate di studio ci hanno messo di volta in volta in moto su temi come l’accessibilità la cultura e la lettura, l’intercultura e il viaggio, l’outdoor education e lo sport inclusivo, coinvolgendoci sempre in primo piano.
Il nostro è un gruppo aperto all’incontro e, quando possibile, itinerante, che offre la possibilità sia di aprire la propria sede – quella del Centro Documentazione Handicap di Bologna, che attualmente resta ancora la prima biblioteca specializzata nel paese sui temi della disabilità – sia di recarsi dove viene “chiamato” ad agire, a lasciare cioè la sua indelebile macchia, come ci piace dire.
Il Centro Documentazione Handicap è anche il riconoscimento di una casa, di un luogo di lavoro dove discutere, creare, progettare, cercando di non escludere mai nessuno anche in questi processi. La sede abita nel Quartiere Pilastro, la storica periferia del capoluogo emiliano che oggi ospita associazioni, scuole, fattorie didattiche, biblioteche e teatri che sempre più lavorano insieme a favore dell’inclusione.
Mi raccontate meglio dei vostri laboratori?
Il lavoro del Progetto Calamaio, benché si sviluppi e sia finalizzato soprattutto all’esterno, ha fatto e continua a fare un ricco percorso anche al suo interno, partendo proprio dalle persone che lo compongono: gli animatori con disabilità, educatori/educatrici e le persone che condividono con noi pezzi della loro vita formativa, come tirocinanti universitari e volontari del servizio civile. Ognuno di noi infatti è entrato a far parte di questa realtà, portando con sé un bagaglio di esperienze e di vissuti che, come è normale, condiziona il modo di relazionarsi con sé stessi e con gli altri.
Entrare a far parte del gruppo del Progetto Calamaio significa perciò per ciascuno intraprendere un percorso inesplorato, fatto di umorismo, di scambio e di una profonda rimessa in discussione di sé, del proprio corpo, della propria immagine ma anche dei propri desideri, in direzione di una più completa accettazione dei propri limiti quanto delle proprie autonomie e risorse. Corpo, benessere e percezione di sé, autonomie, sessualità, viaggio e tempo libero sono stati e sono ancora al centro delle nostre riflessioni.
Come si traduce tutto ciò nella quotidianità del vostro lavoro?
Quando si entra in classe, soprattutto davanti ai bambini più piccoli, le persone con disabilità devono essere pronte a rispondere a domande molto dirette: “Perché non cammini?”, “sei nato così?”, “come fai a mangiare?”, “perché sbavi?”. In questo contesto si inserisce inoltre un laboratorio di lavoro permanente, quello del gruppo Librarsi, che ogni settimana lavora alla traduzione nei simboli della CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) per la collana Parimenti di Edizioni la meridiana, destinata alla fascia preadolescenziale, con cui è da anni attiva una vivace collaborazione.
Oltre ai laboratori interni, proponete e seguite dei percorsi anche nelle scuole per sensibilizzare alla diversità. Com’è l’accoglienza e la risposta di bambini e ragazzi alle attività?
Sia i bambini che i ragazzi alla fine dei nostri percorsi tendono spesso a scriverci, a inviarci delle restituzioni, desiderano mantenere un contatto con noi e soprattutto con gli animatori con disabilità con cui hanno condiviso l’esperienza laboratoriale. Ciò vale anche per le insegnanti e i genitori, con cui cerchiamo sempre, quando la scuola ce lo concede, di lavorare insieme.
Detto ciò, questo è sempre il risultato di un percorso, la punta di un iceberg; non è detto, anzi è raro, che non ci sia inizialmente smarrimento e stupore davanti a una persona che magari non deambula o non parla chiaramente oppure davanti al mezzo carrozzina o altri ausili di cui non si conoscono utilizzo e funzione e che possono lasciare in un primo momento spiazzati o addirittura spaventati.
Ed è proprio qui, sulle paure e i pregiudizi che ruotano attorno alla disabilità, che si inserisce il lavoro del Progetto Calamaio. Sono infatti i deficit e gli ausili il centro delle attività e dei giochi che proponiamo, in un’ottica prima di tutto di condivisione e divertimento, dove la disabilità passa in secondo piano e al suo posto vengono favoriti il gioco, il contatto e la relazione. Solo dopo esserci conosciuti e aver condiviso insieme un’esperienza sarà possibile parlare davvero di disabilità.
Il nostro nasce come un progetto culturale, cioè con l’ambizione di contribuire a una sempre più forte cultura dell’inclusione di tutte le differenze
Secondo voi la percezione della disabilità è cambiata negli ultimi anni, in cui le generazioni sono sempre più smart? C’è meno discriminazione rispetto alle diversità di ognuno?
In questi quasi quarant’anni fortunatamente molte cose sono cambiate e la maggior parte delle persone con disabilità ha accesso a tutti gli aspetti della vita sociale, dall’istruzione, allo svago, dalla sessualità alla politica e al lavoro. I media hanno fatto la loro parte, personaggi come Bebe Vio o Ezio Bosso, per esempio, sono stati e sono noti a tutti. Non mancano anche i film o le serie televisive pensate per i giovani che trattano la disabilità in maniera ironica e divertente e sono interpretate da attori con disabilità, riferendosi magari a situazioni e contesti più ordinari, in cui tutti possono facilmente riconoscersi.
Sappiamo però che vedere qualcosa o viverlo da vicino sono due cose molto diverse. È nell’esperienza corporea che l’incontro con la disabilità fa sì che, a livello di immagine prima e di interazione poi, le cose cambiano davvero e su cui, credo, dobbiamo ancora lavorare, soprattutto quando, nel caso dei ragazzi più grandi, la conoscenza del reale è sempre più mediata da altri supporti.
Nel caso dei bambini e dei più piccoli, invece, molto è in mano alla scuola e alla famiglia, che hanno ancora una grossa responsabilità nell’educazione alle differenze. La nostra, benché forte e coinvolgente, è infatti un’esperienza singola, che va coltivata e fatta crescere per potersi trasformare in un cambiamento culturale a lungo termine che sia parte della vita e del pensiero comune delle nuove generazioni.
Idee nuove per il futuro?
Il nostro nasce come un progetto culturale, cioè con l’ambizione di contribuire a una sempre più forte cultura dell’inclusione di tutte le differenze. È un progetto che non si rivolge alle persone con disabilità e ai loro contesti di vita. Al contrario. Si rivolge alla collettività, e le persone con disabilità hanno un ruolo attivo nel progetto e in tutto ciò che esso comporta. Da qualche tempo, però, siamo particolarmente incuriositi e interessati dalle infinite possibilità che possono esistere per creare contesti inclusivi per tutti e tutte, a partire dalle realtà del territorio che abbiamo fuori dalla porta.
Crediamo che in questa fase le persone con disabilità debbano sempre di più abitare il territorio, la cultura, la politica, la movida, il mondo del lavoro, dell’arte, della cultura, del divertimento, dello sport… e dell’abitare autonomo. Sentendoci tutti corresponsabili nella costruzione di contesti inclusivi e creativi, fluidi e flessibili, dove ognuno possa trovare posto con il proprio modo di viverli. Ecco, questa è la nostra ambizione per il prossimo futuro. Sperimentare concretezza creando occasioni di vita autonoma e accessibile in mezzo al mondo di tutti.
È un progetto ambizioso che richiede una fitta rete di collaborazioni fra i diversi mondi della nostra società. Dove l’associazionismo deve sempre più spostarsi ai margini per lasciare spazio agli altri attori della collettività. Da qualche tempo siamo sempre più interessati e stimolati a creare occasioni di vita autonoma delle persone con disabilità attraverso la cura di ambiti ben precisi, quali il lavoro, il tempo libero, l’abitare autonomo, i viaggi e altro e stiamo creando alleanze per inventarci qualcosa.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento