App di tracciamento dei contatti Covid: ecco come (non) hanno funzionato
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Nonostante le molte speranze riposte in questa nuova tecnologia, le app di tracciamento dei contatti per fronteggiare la pandemia hanno avuto scarso successo. Dalla loro introduzione in Ue, sono riuscite a tracciare solo il 5% dei casi registrati. La mancanza di fiducia dei cittadini ha infatti rappresentato una barriera insormontabile.
Le applicazioni di tracciamento, strumenti dalle potenzialità promettenti
Dallo scoppio della pandemia, si è subito parlato delle app di tracciamento come di uno strumento essenziale per prevenire la trasmissione del virus e gli Stati membri dell’Unione europea hanno investito cifre considerevoli nel loro sviluppo. Eppure, dopo appena un anno, un’analisi statistica sul loro utilizzo mostra risultati poco rassicuranti.
In un primo momento, i cittadini hanno accolto il consiglio di Governi e istituzioni di scaricare questi strumenti sui loro dispositivi. La tedesca Corona-warn-app ad esempio è stata scaricata 15,8 milioni di volte nel primo mese (una cifra pari al 20% della popolazione). Mentre 2,5 milioni di finlandesi (il 45% del totale) hanno scaricato Kronavikku nei primi due. Solo più tardi gli utenti hanno smesso di usarle.
Quando questi programmi sono stati lanciati, le autorità sanitarie hanno dichiarato che per garantire un impatto reale e duraturo il 60% della popolazione avrebbe dovuto scaricarle. Ma l’Irlanda è stata l’unico stato Ue a raggiungere tale obiettivo. Alla fine del mese di novembre 2021, l’irlandese Covid tracker aveva registrato 3,75 milioni di download, che corrispondono al 75% della popolazione.
Studi condotti più recentemente hanno invece dimostrato che già un tasso di download pari al 20% sarebbe stato capace di rallentare i contagi. Una quota che molti paesi sono riusciti a raggiungere.
Gli investimenti degli stati membri
Sono stati pochi i cittadini europei che hanno riportato la positività tramite queste applicazioni. Purtroppo, l’assenza di analisi e verifica dei dati a disposizione rende difficile capire quanto utili questi strumenti siano effettivamente stati nella lotta contro il virus.
Nell’aprile 2020, la Commissione europea ha incluso tra le sue raccomandazioni per affrontare la pandemia lo sviluppo di applicazioni per facilitare il distanziamento fisico e il tracciamento dei contatti. In risposta a tali raccomandazioni, l’eHealth network, un network online formato dalle autorità sanitarie pubbliche degli stati membri, ha pubblicato un toolbox comune per facilitarne e armonizzarne la creazione.
È stato a partire da questa piattaforma che i Governi europei hanno cominciato a lanciare le loro app di tracciamento, spesso con considerevoli costi, generalmente legati a contratti con il settore privato. La Germania, la cui applicazione ad oggi è costata 67,45 milioni di euro, è quella che ha compiuto i maggiori investimenti. Molti paesi hanno utilizzato direttamente l’app tedesca, applicandola al proprio contesto nazionale. È stato questo il caso di Belgio, Lituania e Slovenia.
Degno di nota è stato anche il caso dell’olandese CoronaMelder, in cui il governo ha investito 18,7 milioni di euro, accanto ai 4,3 milioni spesi per la campagna di sensibilizzazione. A volte la pubblicizzazione ha ecceduto i costi di sviluppo e mantenimento del servizio. In Francia ed Estonia ad esempio la pubblicità è costata rispettivamente 4,78 milioni e 200mila euro a fronte di 2,27 milioni e 102mila euro per sviluppo e mantenimento.
Escludendo i costi relativi alla pubblicità, gli Stati membri hanno speso in totale poco meno di 106 milioni di euro solo per il design dell’app. Questi dati, raccolti da El orden mundial a partire da una varietà di fonti, escludono Cipro, Repubblica Ceca e Malta, per cui i dati economici sulle applicazioni non erano disponibili. In Austria, la fondazione Uniqa ha contribuito con 2 dei 3 milioni di euro richiesti per sviluppare Stopp Corona. Mentre Bulgaria, Grecia, Lussemburgo, Svezia, Ungheria, Slovacchia e Romania non hanno né sviluppato né promosso una specifica app di tracciamento dei contatti.
Inoltre è importante sottolineare che Bruxelles ha riservato 3 milioni di euro dell’Emergency support instrument per aiutare gli Stati membri ad adattare le loro app di tracciamento nazionali allo standard europeo. Secondo informazioni date a El orden mundial dalla Commissione europea, Austria, Croazia, Cipro, Germania, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia e Slovenia sono ricorsi a questi fondi. Questi stati hanno richiesto all’Ue un totale di circa 2 milioni di euro, con il pacchetto più consistente pari a 150mila euro.
Meno di 2 milioni di casi notificati digitalmente
Qual è stato il risultato di tutti questi sforzi? A parte alcune eccezioni, un risultato abbastanza modesto rispetto alle aspettative iniziali. Le applicazioni hanno tracciato appena il 5% dei casi confermati di Covid-19 nel periodo in cui erano attive, nei paesi in cui si sono potuti raccogliere questi dati (escludendo quindi Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Malta e Portogallo).
Ci sono state alcune storie di successo, soprattutto nella parte settentrionale del continente. La Danimarca ad esempio grazie alla sua app di tracciamento è riuscita ad allertare i contatti stretti del 26% dei casi, la Finlandia del 16%, la Germania del 14% e i Paesi Bassi del 10%. Possono sembrare quote ridotte, ma hanno contribuito a prevenire migliaia di nuovi casi. Il problema è che mancano ancora studi che possano indicarci l’impatto di questa tecnologia sullo sviluppo della pandemia. Nel Regno Unito ad esempio l’università di Oxford ha stimato che a un aumento dell’1% degli utenti di queste app, corrisponderebbe un calo dei casi tra il -0,8% e il -2,3%.
Inoltre, poche amministrazioni hanno condiviso i loro dati attivamente e in maniera accessibile o fornito aggiornamenti sui dati delle loro app di tracciamento – in questo senso, Spagna, Francia e Italia sono stati esempi positivi. È quindi scarsa la responsabilizzazione in questo senso.
La paura dei cittadini di perdere la propria privacy
Nonostante gli sforzi europei per garantire un uso decentralizzato e anonimizzato dei dati, si è diffusa nel dibattito la percezione di questi strumenti come mezzi di sorveglianza e controllo. Bisogna anche tenere in considerazione il contesto all’interno del quale questi strumenti sono venuti alla luce. Un contesto di affaticamento, di mancanza di risorse – dai materiali ai professionisti sanitari – e di generale improvvisazione.
Un momento in cui inoltre le autorità spesso non potevano dedicare tutta la loro attenzione a un unico problema e, conseguentemente, risultava loro difficile affrontarlo efficacemente. Infatti, l’integrazione delle app di tracciamento con i servizi sanitari nazionali è stato un problema comune all’interno dell’Ue e in molte occasioni gli utenti infetti non hanno nemmeno ricevuto il codice da usare per avvertire i contatti più stretti.
Le applicazioni hanno tracciato appena il 5% dei casi confermati di Covid-19 nel periodo in cui erano attive
Paradossalmente, proprio nel momento di massima spinta verso la digitalizzazione, proprio quando la vita quotidiana si spostava online, l’Ue ha avuto difficoltà a capitalizzare su questo nuovo uso della tecnologia per diminuire i contagi e prevenire la trasmissione del virus.
European data journalism network, i dati nel resto dell’Europa
Openpolis fa parte dell’European data journalism network, una rete di realtà che si occupano di data journalism in tutta Europa. La versione originale di questo articolo è di El orden mundial, un giornale europeo, ed è partner di Edjnet. I dati relativi alle app di tracciamento sviluppate nei vari paesi Ue, ai loro costi, al numero di download effettuati e al numero di casi registrati sono stati raccolti da El orden mundial da una serie di fonti tra cui i siti delle applicazioni stesse e dei ministeri della salute locali. I dati sui contagi segnalati, in particolare, provengono da Our world in data.
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