La storia di Rosa, la chef che ha chiuso il suo ristorante per non dover chiedere il Green Pass
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Savona - Era giugno di quest’anno quando la mia vita ha subito un cambiamento radicale e totalizzante: sono diventata mamma. Le mie giornate sono così state scandite in questi mesi da coccole, pappe, nanne, felicità e soprattutto tanto amore. Sono passati cinque lunghi, intensi mesi. Oggi esco dalla bolla di maternità e rientro nel mondo lavorativo. Ritorno a fare ciò che tanto mi è mancato in questi mesi: scrivere, esplorare il mondo, comprendere punti di vista, esperienze e apprendere da esse, condividendo le mie scoperte.
Lo faccio riprendendo il lavoro da giornalista da dove si era fermato mesi prima e aprendo il file di lavoro dove elenco i progetti che mi vengono segnalati o che scopro da sola, in attesa di poterli contattare e intervistare. Ed ecco il primo di questa lista: un ristorante albergo a Castelbianco, nell’entroterra albenganese, gestito da Rosa e Marino. Il ristorante Da Gin infatti è frutto di una lunga tradizione famigliare. Inizialmente proponeva piatti tradizionali liguri, sino a che una decina di anni fa una perdita improvvisa e in giovane età di una componente della famiglia di Rosa fa nascere domande e dubbi, fino a quel momento mai emersi. Come prevenire malattie gravi? Cosa vuol dire essere in salute?
IL CAMBIO DI VITA E DEI PIATTI PROPOSTI
Negli anni le proposte culinarie del ristorante si sono trasformate, insieme allo stile di vita e alimentare dei gestori, fino ad arrivare oggi a proporre menù selezionati totalmente vegani – oltre ad un menù tradizionale -, che uniscono la maestria della chef Rosa e i benefici salutari delle materie prime vegetali utilizzate. Un percorso di consapevolezza, studio e capacità di messa in discussione non comuni. Oggi Rosa organizza anche corsi per altri chef che, come lei, si trovano a fare percorsi verso una cucina vegana di qualità.
Ricerco dunque i contatti e scopro che il ristorante è momentaneamente chiuso: Rosa e Marino si sono trovati a dover far combaciare esigenze organizzative dell’attività con il loro disappunto per le regole sempre più stringenti che in questi mesi coinvolgono chi gestisce attività di ristorazione e, parallelamente, chi vuole usufruire di tali servizi. Decido quindi di contattare Rosa per capire meglio il loro punto di vista e cosa spinge imprenditori di successo e con capacità di messa in discussione profonda come loro a fare un passo indietro di questo tipo.
L’ARRIVO DEL COVID
Partendo dall’inizio chiedo a Rosa come ha vissuto l’avvento di questo virus. «Ho vissuto inizialmente il Covid con grande sgomento e confusione. Vivere nel contesto in cui siamo ci ha aiutato moltissimo, perché abbiamo continuato a fare passeggiate e a prenderci cura del nostro orto. Nei mesi successivi ho iniziato a nutrire una grande fiducia nel dopo: ero convinta che ci attendesse un futuro in cui saremmo stati tutti molto più attenti a noi stessi, all’ambiente, alle relazioni. E invece ciò non è avvenuto».
«Siamo stati fin da subito molto attenti a rispettare tutte le norme igieniche, all’interno dell’attività e non solo, per garantire la massima sicurezza ai nostri clienti», prosegue Rosa. «Quindi abbiamo pensato che avendocela fatta il primo anno, riuscendo a seguire tutte le indicazioni ricevute, avremmo potuto continuare anche successivamente».
Ma a ogni novità introdotta, il lavoro del ristorante subiva cambiamenti. Rosa mi racconta che parte dei loro clienti non possiede il Green Pass – in particolare l’ultima versione –, e la ristorazione all’aperto non è più possibile in questo periodo dell’anno. Alla riduzione della clientela, hanno quindi deciso di diminuire il numero di giorni di apertura al solo fine settimana e poche settimane fa è arrivata la decisione di chiudere per qualche mese, in attesa di capire il da farsi.
LE PERSONE CAMBIANO
Rosa è una persona energica, ma allo stesso tempo pacata. Lei stessa si definisce “moderata”. Ha un’idea in continua evoluzione di ciò che è per lei la salute, ma nonostante questo ritiene possano coesistere visioni differenti, senza che l’una possa essere di ostacolo all’altra: «Sono convinta che possiamo vivere tutti insieme pacificamente, imparando a vicenda».
Ma mi confida di aver visto in questi ultimi mesi un cambiamento radicale in molte persone che sta modificando la sua visione: «Mi sembra che molti vogliano oggi a tutti i costi imporre le proprie idee, senza avere voglia di ascoltare e accogliere quelle diverse dalle loro e questo mi spaventa. Credo che in questa vicenda sia venuto a mancare il rispetto delle idee degli altri e la possibilità di confrontarsi con opinioni, paure e sensazioni differenti».
E ciò vale su piani differenti. «Personalmente avrei lasciato libero ognuno di scegliere. Ritengo siano pesanti le imposizioni e il conseguente inserimento del lasciapassare. Confrontandoci anche con altri ristoratori, a molti non piace il dover chiedere un “documento” prima di lasciar sedere i clienti. Anche come cliente, io stessa ho dovuto mostrarlo e quasi tutti mi chiedono scusa nel momento in cui me lo controllano. Non credo che ci siano ristoratori felici di effettuare questa verifica».
Rosa è fermamente contraria al Green Pass: crede infatti – sia come cittadina che come imprenditrice – che non sia un mezzo adeguato per prevenire davvero i contagi e combattere davvero la malattia, ma che serva esclusivamente come mezzo per nascondere un obbligo al vaccino. «Chi lo possiede e lo mostra con fierezza si sente privo di possibilità di potersi ammalare, ma non è così». Rosa è convinta che ci sia una errata e inconsapevole interpretazione del fine di questo strumento e che ciò non fa che dividere le persone, senza un vero scambio e la possibilità di affrontare il problema.
UNA QUESTIONE DI FEDE
«Credo che ognuno abbia la sua fede. Cos’è la fede? Credere visceralmente in qualcosa che non puoi né vedere né confrontare e la cui effettiva esistenza non puoi appurare. E in questo momento storico vi è una spaccatura: penso che chi si è vaccinato convintamente abbia una forte fede nel vaccino, mentre chi non si è vaccinato o lo ha fatto non convintamente abbia altrettanta fede in sé stesso». Combattere contro la fede non avrebbe dunque alcun senso, ma è necessario un confronto, basato su dati e informazioni reali.
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