Max Ulivieri: ecco come garantire emotività, affettività e sessualità anche a persone con disabilità
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«Quando guardo il mio corpo lo vedo come un Picasso: non è facile da guardare, da comprendere, amare ma rimane un Picasso. Chi sa osservarlo, comprenderlo, amarlo, lo amerà perché unico, come unico è un Picasso.»
Ho conosciuto Max Ulivieri qualche anno fa, non ricordo precisamente il periodo e nemmeno dove ci incontrammo la primissima volta – e per una come me che fotografa molto bene gli incontri e le conoscenze è una sensazione strana –, ma credo che con Max questa cosa mi sia successa perché è come se lo conoscessi da sempre.
Ricordo benissimo che, prima di dargli un volto, lessi il suo definirsi un Picasso. Questa affermazione mi aprì letteralmente l’orizzonte, in un periodo per me molto difficile dove non mi vedevo bella e non avevo stima di me stessa e così mi venne subito voglia di approfondire meglio i suoi progetti: “Lui è un pittore di ponti, coltivatore di semi di cambiamento e difensore di diritti, voglio raccogliere ciò che semina e iniziare a fare altrettanto”, ho pensato. Proprio per questo, le sue battaglie per le pari opportunità le ho sempre sentite anche un po’ mie e il suo attivismo diretto e pungente mi ha presa per mano fin da subito.
Max nasce a Livorno negli anni ’70, ma dal 2010 vive a Bologna, dove inizialmente lavora nell’ambito del turismo accessibile e successivamente inizia a occuparsi di affettività e sessualità nella disabilità. Un viaggio che percorre strade spesso ripide e ancora inesplorate, ma indubbiamente un percorso importante e necessario che deve essere raccontato e vissuto alla luce del sole, perché riguarda ogni essere umano.
LoveGiver è il nome del progetto e del comitato che vuole istituire la figura dell’assistente sessuale in Italia di cui Max è responsabile.
Quando nasce e in che cosa consiste il progetto LoveGiver?
Il Comitato LoveGiver nasce nel 2013 e si occupa di assicurare il diritto alla sessualità anche alle persone con disabilità. Io avevo un blog dove scrivevo un po’ di tutto di me, che forse era anche un modo di liberarmi di tante cose che non ho potuto comunicare nella fase dell’adolescenza. Questo mio raccontare ha portato altre persone a commentare raccontandosi e ho scoperto ben presto, come anche tu avrai fatto, che nella vita puoi essere sfigato quanto vuoi, ma c’è sempre qualcuno che è più sfigato di te. Ho letto storie anche molto pesanti di persone che a 20, 30, 40 o anche 50 anni, non avevano mai vissuto la loro sessualità. Per curiosità ho guardato cosa succedesse negli altri Stati europei e ho scoperto la figura dell’assistente sessuale.
Mi è venuta in mente per il semplice motivo che noi ci occupiamo delle persone con disabilità in tutti i loro bisogni, in alcuni con difficoltà. Nella situazione ideale in cui ci sono i fondi, le leggi e la volontà, ci occupiamo un po’ di tutto. Una persona con disabilità fisica si può spostare, io ho una carrozzina e mi posso muovere, quella elettrica mi fa uscire fuori di casa, ci sono i mezzi attrezzati, le auto attrezzate, i modi per comunicare al computer se non puoi parlare. Poi c’è la persona che ti lava, anche nelle parti intime, l’OSS. Tutto per offrire la massima autonomia possibile. L’unico contesto dove non ti aiuta nessuno/a è quello della sessualità.
Chi è l’O.E.A.S. – assistenza all’emotività, all’affettività e alla sessualità – e come opera?
L’assistenza alla sessualità per persone con disabilità rappresenta un concetto che racchiude allo stesso tempo “rispetto” ed “educazione”, che solo per un paese civile possono rappresentare la massima espressione del “diritto alla salute e al benessere psicofisico e sessuale”. Per questo motivo parlare semplicemente di assistenza sessuale può risultare estremamente riduttivo ed è importante qualificarne il concetto più complesso attraverso i termini. Parlare dunque di assistenza all’emotività, all’affettività e alla sessualità – definito O.E.A.S., laddove “o” sta per operatore – permette di assaporare tutte quelle sfumature in essa contenute. L’assistenza all’emotività, all’affettività e alla sessualità si caratterizza con la libertà di scelta da parte degli esseri umani di vivere e condividere la propria esperienza erotico-sessuale a prescindere dalle difficoltà riscontrate nell’esperienza di vita.
L’O.E.A.S. è un operatore professionale uomo o donna con orientamento bisessuale, eterosessuale o omosessuale che deve avere delle caratteristiche psicofisiche e sessuali “sane” – è importante una selezione accurata degli aspiranti O.E.A.S.. Attraverso la sua professionalità supporta le persone con disabilità a sperimentare l’erotismo e la sessualità. Questo operatore, formato da un punto di vista teorico e psico-corporeo sui temi della sessualità, permette di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale e/o sessuale.
Come interviene l’O.E.A.S. nella pratica?
Gli incontri infatti si orientano in un continuum che va dal semplice massaggio o contatto fisico, al corpo a corpo, sperimentando il contatto e l’esperienza sensoriale, dando suggerimenti fondamentali sull’attività auto-erotica, fino a stimolare e a fare sperimentare il piacere sessuale dell’esperienza orgasmica. L’operatore definito del “benessere sessuale” ha dunque una preparazione adeguata e qualificante e non concentrerà esclusivamente l’attenzione sul semplice processo “meccanico” della sessualità. Promuoverà quindi attentamente anche l’educazione sessuo-affettiva, indirizzando al meglio le “energie” intrappolate all’interno del corpo della persona con disabilità.
Uno degli obiettivi è abbattere lo stereotipo che continua a essere ingombrante e che vede le persone con difficoltà e disabilità assoggettate all’“asessualità” o comunque non idonee a vivere e sperimentare la sessualità. Importanza del superamento del concetto del “sesso degli angeli”.
Quali sono quindi gli ambiti in cui si può collocare questo tipo di assistenza?
L’O.E.A.S. in base alla propria formazione, sensibilità e disponibilità può contribuire a far ri-scoprire tre dimensioni dell’educazione sessuale: quella ludica, che consiste nello scoprire il proprio corpo; quella relazionale, ovvero scoprire il corpo dell’altro; quella etica, cioè scoprire il valore della corporeità e, al tempo stesso, aiutare il soggetto disabile a rendersi protagonista maggiormente responsabile delle proprie relazioni sia sentimentali che sessuali, favorendo una maggiore conoscenza e consapevolezza di sé e una più adeguata capacità di prendersi cura del proprio corpo e della propria persona. La mancanza di autostima è uno dei freni per un naturale approccio verso l’altro sesso. L’O.E.A.S. può aiutare ad accogliere e non reprimere le diverse istanze del proprio corpo, dei sensi e delle emozioni.
Ancora oggi, spesso e volentieri, la società concepisce disabilità e sessualità come due parole “lontane”, che non possono stare insieme. Quali sono, secondo te, le azioni quotidiane che ognuno di noi potrebbe introdurre per diffondere un cambiamento rispetto a questo tema?
Manca l’abitudine alla diversità. Le persone con disabilità non occupano i media e questo le rende meno vicini al “comune” cittadino. Quando vediamo una persona con disabilità in TV? Un giorno, per caso, vidi persone con disabilità da tutte le parti, sulle reti tv, sui giornali, sembrava una rivoluzione… era per Telethon. Che va benissimo, la ricerca è fondamentale, ma il punto non è quello. Le persone con disabilità trovano spazio solo quando si tratta di ricerca fondi, abbattimento barriere oppure se sono supereroi dello sport, come Zanardi o Bebe. Lei adesso si vede ovunque, le hanno fatto fare delle pubblicità ed è già qualcosa.
Ma io non ho mai visto un disabile in TV non parlare di disabilità. Noi parliamo soltanto di questo, 24 ore su 24, due palle mostruose. Perché non potremmo parlare di cucina? O di musica? Potrei fare il presentatore, no? O qualsiasi tipo di pubblicità. Per la sessualità è la stessa cosa. Se nei film o nelle serie TV ci fossero più persone con disabilità, magari con scene di sesso come se ne vedono molte, ci si abituerebbe all’idea che è del tutto normale ciò accada. Se una persona che cammina nascesse in una città dove tutti si muovono in carrozzina chi sarebbe il diverso?
Non ti occupi solo di sessualità e disabilità, ma costruisci rampe d’inclusione in diversi ambiti. Ci racconti meglio gli altri tuoi progetti?
Dal 2009 mi occupo di turismo accessibile: ho creato una sorta di “turisti per caso”, solo inerente a persone con disabilità, in questo caso soprattutto motorie. Lo faccio con il sito Diversamenteagibile. Curo il magazine Disability Style, con cui si cerca di dare una nuova immagine al mondo della disabilità. Infine, scrivo per Il Fatto Quotidiano e sono Personal Life & Love Coach.
Novità in arrivo per l’anno nuovo?
Come prima cosa mi auguro di poter riprendere i convegni e la formazione di presenza. Poterli fare in videoconferenza è stata una fortuna perché altrimenti sarebbero cessati del tutto, ma di persona è tutt’altra cosa. Mi auguro anche di poter far qualcosa di più per la mia città. Magari collaborando con il nuovo sindaco e la nuova giunta. Infine, mi hanno chiesto di scrivere due libri, ma non posso anticiparvi nulla.
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