Nasce Green Growth Generation, la piattaforma che accelera la crescita delle comunità sostenibili
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Facilitare lo sviluppo di comunità sostenibili e creare una fitta rete di connessioni ed esempi virtuosi che superi i confini tra paesi: questi gli obiettivi di Green Growth Generation, una piattaforma partecipativa online, ma soprattutto un programma di community empowerment. Provare a risolvere problemi globali su scala locale è forse l’unica strategia di successo efficace per affrontare le grandi sfide del presente e grazie alla piattaforma si può cercare di raggiungere quante più realtà è possibile, da connettere in unico vasto ecosistema.
Proprio di sostenibilità e di accelerazione di comunità virtuose ci ha parlato Gabriella Esposito, fondatrice di Green Growth Generation. Ingegnere industriale specializzata in energia e ambiente, Gabriella ha lavorato per oltre sei anni in diverse aziende italiane e multinazionali, in vari settori, da quello farmaceutico all’agroalimentare.
Green Growth Generation nasce al culmine di un intenso percorso personale e professionale, che porta la sua ideatrice prima in Ghana nel 2016, in Kenya nel 2019 e poi in Libano. «La prima volta in Africa – racconta Gabriella – ci sono andata per un’esperienza di volontariato, vissuta da osservatrice attenta, intenta a cogliere l’impatto che quell’esperienza stava avendo su di me. In quel caso si trattava di un progetto di microcredito ed empowerment di comunità».
Quel viaggio ha rappresentato la miccia: «Una volta tornata a casa, mi sono chiesta come potessi mettere a frutto le mie competenze e conoscenze per progetti di empowerment di comunità. E da quel momento è diventata la mia priorità». Da lì ha deciso di andare sino in fondo e si è specializzata in fundraising, business administration, comunicazione e progettazione europea, studiando tra Roma, Madrid e Bruxelles.
Qual era lo scopo delle tue successive esperienze in Africa?
Nel 2019 sono tornata in Kenya, questa volta per un progetto di empowerment delle donne di sei comunità agricole e rurali del distretto di Kajado e nel 2020 mi sono trasferita a Beirut per lavorare come project manager a un progetto dell’Unione Europea in ambito di efficientamento energetico e fonti rinnovabili. A giugno scorso ho deciso di dedicarmi unicamente a Green Growth Generation, proprio in Libano, dove ormai abito da due anni.
Come mai questa scelta?
Per lavorare sulle comunità è essenziale vivere in quello stesso contesto, studiare le condizioni socio-economiche e culturali che le nutrono. Attraversato da contraddizioni profonde e con un territorio di poco più grande della nostra Basilicata, il Libano è esempio della coesistenza di etnie e religioni diverse e dei risvolti di questa difficile convivenza. Lì le problematiche di isolamento lacerano tuttora il tessuto sociale e le iniziative di community empowerment sembrano molto più urgenti che altrove.
Green Growth Generation è una piattaforma partecipativa. Le sinergie tra individui, istituzioni, associazioni sono alla base del progetto. Come si può dar vita di fatto a un ecosistema di comunità?
Green Growth Generation è esattamente una piattaforma online che mira a connettere tre diversi tipi di target: le comunità, le istituzioni o partner (potenziali fornitori, investitori, ong, università, centri di ricerca, che possono fungere da motore nel processo di accelerazione di comunità) e infine i membri, vale a dire gli esperti di comunità. Green Growth Generation fa da trait d’union e da garante, affinché le comunità che entrano a far parte della piattaforma abbiano la stessa visione.
A cascata anche i membri e le istituzioni devono sposare a loro volta gli stessi valori e adottare lo stesso approccio. L’ecosistema di comunità si crea attraverso la selezione di comunità sostenibili, ovvero valutando secondo criteri oggettivi se si tratta di realtà che hanno le potenzialità e la volontà di diventare sostenibili. È proprio questo che ci differenzia da altri potenziali competitor.
Quando una comunità può dirsi sostenibile?
Quando riesce a dimostrare di aver raggiunto una sostenibilità non solo ambientale, ma anche economico-sociale. Non esistono realtà perfette, ma esistono realtà perfettibili. Ogni realtà è un caso a sé, con le proprie specifiche peculiarità e potenzialità.
L’isolamento è connaturato ai nostri tempi. Prima il senso della comunità era un valore condiviso, innato. Oggi bisogna riscoprirlo e a volte addirittura ricostruirlo. Si può davvero imparare a diventare una comunità sostenibile? E come?
È proprio quello che prova a fare Green Growth Generation: educare o meglio equipaggiare le comunità affinché diventino sostenibili. Come? Seguendo degli step metodologici precisi, dando delle indicazioni e fissando degli obiettivi. È fondamentale che all’interno della comunità nasca il desiderio di intraprendere questo percorso. E ciò accade quando la comunità riesce a intravedere i benefici futuri.
L’isolamento e l’individualismo uccidono il senso di comunità. Tuttavia la pandemia ci ha costretti a tornare verso l’interno e a cercare di trovare delle soluzioni attorno e vicino a noi. In assenza di una struttura comunitaria solida franiamo, ci sentiamo persi, le nostre azioni restano isolate. Essere integrati in un tessuto comunitario permette di risolvere più facilmente i problemi, perché si condividono necessità e soluzioni: non è il singolo che prova a risolvere il problema, ma più persone insieme.
In cosa consiste il programma di accelerazione di comunità?
Il programma di accelerazione di comunità è suddiviso in tre fasi: ricerca e valutazione della comunità, selezione del programma e del progetto di comunità e infine sviluppo di un piano di azione. Il processo di ricerca dura all’incirca tre mesi. Ovviamente si tratta di un tempo indicativo che di volta in volta varia in base alla proattività della comunità di riferimento.
Durante questa fase iniziale, Green Growth Generation entra in contatto con la realtà e ne valuta le potenzialità in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica; individua la persona di riferimento all’interno della comunità e tra i membri del nostro team. Queste rappresenteranno un punto di riferimento per la comunità sulla base delle caratteristiche tecniche e di gestione del contesto socio-culturale.
Chi è l’esperto di comunità? Qual è il suo ruolo?
Una persona che in primis sposa i valori di Green Growth Generation e diventa di per sé un ambasciatore della sostenibilità, perché quei valori li adotta anche in ogni sua scelta quotidiana. I nostri esperti vengono selezionati in base a dei criteri ben precisi. Alla base vi è senz’altro la visione condivisa di un vivere sostenibile, a cui si aggiungono le competenze professionali in vari ambiti: dall’agricoltura sostenibile all’efficienza energetica, dall’architettura sostenibile all’arte applicata alla sostenibilità.
I nostri esperti sono dei consulenti di comunità, perché la seguono passo passo. Hanno delle competenze specifiche in un dato settore, ma allo stesso tempo possono maturarne delle altre, in un percorso graduale di crescita che potrà portarli a ricoprire ruoli diversi rispetto al background da cui erano partiti. Quella di esperto di comunità, è senza dubbio una figura dinamica: in costante mutamento come la stessa comunità.
È fondamentale riconoscere le peculiarità di un territorio e delle realtà locali già presenti. Come si riesce a non forzarne la vocazione pur apportando dei cambiamenti?
Il modello di Green Growth Generation applicato a una specifica realtà fa sì che questa possa crescere, magari raggiungendo degli obiettivi che non pensava possibili, senza snaturarsi. Quello che cerchiamo di fare è individuare le realtà del territorio che vogliono migliorare, senza trasformarne le caratteristiche, perché ogni progetto ha le sue peculiarità che vanno preservate. Non si tratta di imporre un modello, ma di tirare fuori il meglio da ciascuna comunità, che diventa essa stessa motore del cambiamento.
Il progetto prevede un monitoraggio: nel tempo si verifica che cosa è migliorato o semplicemente cambiato. Arriva un momento in cui la comunità raggiunge una sua autonomia?
È questo l’obiettivo. La comunità avrà imparato a stare in piedi da sola da un punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico. Alla fine Green Growth Generation andrà solo a monitorare e capire se nel lungo periodo il piano d’azione applicato a quella comunità ha funzionato o meno. La comunità non dovrà più avere bisogno di noi, altrimenti c’è il rischio di ripercorrere strade già battute ed errate: non vogliamo solo fornire delle soluzioni, ma insegnare a come trovarle, lavorando insieme.
A un certo punto il flusso si inverte e la comunità diventa a sua volta una risorsa per Green Growth Generation?
Assolutamente sì. La comunità è a servizio di altre comunità. Grazie alla piattaforma digitale infatti si possono creare nuove connessioni tra paesi e altre comunità, facilitare scambi e buone pratiche, lavorare in altre comunità di altri paesi. Le persone all’interno delle varie comunità possono diventare esperti di Green Growth Generation e applicare quanto sviluppato all’interno della propria comunità, anche altrove.
Ci sono degli esempi virtuosi nati grazie al programma di accelerazione di comunità?
L’esempio di accelerazione di Comunità su cui Green Growth Generation sta testando metodo e risultati è il Community Farmer Accelerator, in Libano. A valle dei tre mesi di ricerca e valutazione della comunità con cui iniziare il Programma di Agricoltura Sostenibile in Libano, la scelta è ricaduta sulla nuova generazione di produttori locali, ovvero quei produttori che a oggi implementano tecniche di agricoltura rigenerativa e che si sono dimostrati disponibili a iniziare il percorso di accelerazione di comunità. Il piano di azione è suddiviso in altrettante tre fasi di incubazione: valutazione dei bisogni della comunità e visita sul campo con un esperto di settore; assistenza tecnica e piano di sviluppo; accesso a fondi e monitoraggio.
Nell’arco di due mesi, sono stati coinvolti dodici produttori locali e sei hanno intrapreso il primo step di accelerazione, che consiste nell’individuazione dei bisogni dei singoli produttori con raccomandazioni tecniche relative alla loro capacità produttiva, alla modalità di gestione dei rifiuti, dei sistemi di irrigazione e gestione dell’acqua e delle risorse energetiche. In aggiunta, abbiamo fornito soluzioni alternative per incrementare la loro visibilità e differenziare i servizi da fornire ai propri clienti.
Tra gli obiettivi di Green Growth Generation, c’è quello di creare connessioni tra le comunità. Come quella nata tra una libreria di Beirut, Barzakh Centro Culturale e uno dei nostri produttori locali. La libreria, nonché spazio culturale, ha anche una cucina che servirà piatti preparati con i prodotti di stagione coltivati dall’azienda Racine Du Ciel, secondo metodi di agricoltura sostenibile.
Green Growth Generation al momento opera in Italia e in Libano. Ci sono delle affinità tra le diverse realtà territoriali?
Esistono diverse analogie culturali e sociali. Credo abbia senso creare un ponte tra questi due paesi. Molte realtà italiane possono fungere da esempio per alcune in Libano e viceversa. Vi sono senza dubbio delle discrepanze significative. Ad esempio la questione dell’accesso ai servizi di base, come l’elettricità, è un problema che riguarda il Libano, ma che in Italia o nel resto d’Europa non ci poniamo nemmeno. Di fatto, più sono le realtà con cui riusciamo a entrare in contatto, più esempi di soluzioni avremo a disposizione e più rapidamente sarà possibile risolvere i problemi in maniera creativa ed efficace.
L’obiettivo è raggiungere anche altri paesi? Quali?
In termini di priorità, ad oggi mi piacerebbe portare Green Growth Generation in Africa e in Sud America. Ma vorrei che la rete crescesse sempre di più e raggiungesse quei posti laddove l’essere comunità rappresenta il motore per la mitigazione di conflitti socio-culturali ed economici, e per la risoluzione dei problemi di accesso a fonti sostenibili.
La crisi climatica scandisce il tempo della nostra sopravvivenza sulla Terra. Abitare in modo diverso il pianeta è sempre più urgente per noi e per le generazioni che verranno. Green Growth Generation può aiutarci a scoprire nuovi modi per farlo?
Sicuramente il ritorno alle piccole realtà è una soluzione e la pandemia ce lo ha confermato. Le zone rurali stanno recuperando pian piano l’importanza che hanno perso nel tempo, ma da qui ai prossimi anni non vedo un cambiamento repentino. Piuttosto una presa di coscienza e un ritorno alle radici come scelta di vita. Green Growth Generation vuole portare l’attenzione su realtà che non sono sotto la luce dei riflettori. È una scelta – non un ripiego – quella di valorizzare le comunità virtuose, mostrando come ciò non solo sia possibile, ma addirittura necessario.
Come ti immagini Green Growth Generation da qui a qualche anno?
Come immagino la mia creatura? Che cresca, senza dubbio. Immagino Green Growth Generation come una struttura solida, con un team di professionisti che lavora attivamente allo sviluppo di comunità. E magari, oltre al Libano e all’Italia, da qui a tre anni mi piacerebbe iniziare a lavorare anche con un terzo paese, attivando programmi di integrazione che permettano di spostarsi da una comunità a un’altra. Questo non vuol dire dover lasciare per sempre la propria comunità: se ci si trova bene, perché andarsene? Farlo per un breve periodo invece è positivo: crea connessioni ed è un percorso di arricchimento personale e culturale fondamentale non solo per sé, ma soprattutto per gli altri.
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