Fausto Cerboni: L’uomo che visse tre volte (e vive ancora!)
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Genova - Ho conosciuto Fausto Cerboni perché mi “ha rifatto casa così”: insieme a Davide e Tommaso, suoi dipendenti di Terrapaglia, infatti Fausto ha gestito, coordinato ed eseguito tutti i lavori in bioedilizia della mia casa. Con Emanuela – mia compagna e collega – abbiamo quindi deciso di andare a trovare Fausto nella sua abitazione ligure, nei pressi di Genova, e qui lo abbiamo intervistato chiedendogli di ripercorrere le tappe principali della sua esistenza.
Ed ecco che invece di ascoltare – come ci si aspetterebbe – una storia di edilizia, mattoni, materiali “tradizionali” e poi scoperta di materiali naturali e cambiamenti, ci siamo trovati a sentir parlare di sport, teatro, anarchia, eco-villaggi, cultura. Abbiamo quindi deciso di dividere in due articoli (e due video) quanto raccolto di quella giornata di novembre.
Oggi quindi vi presentiamo la sua storia – anzi, le sue storie – e a gennaio vi proporremo un approfondimento sulle attività e il pensiero di Fausto inerente la bioedilizia, la salute e la sostenibilità
Il cambiamento ha radici lontane
Fausto nasce nel ’67 a Basilea, in Svizzera, da genitori umbri, padre muratore e madre operaia. Nel ’70, dopo un infortunio del padre, la famiglia si sposta a Roma, zona Caffarella, Tuscolano, Pigneto, e qui – nei luoghi di Pasolini – Fausto cresce e si forma. All’età di 15 anni arriva la prima grande chance di cambiamento: Fausto viene infatti “preso” da una squadra professionista di pallamano. Per circa 13 anni, quindi, lo sport diventa parte fondamentale della sua vita. Nel mentre, studia grafica e si dà al commercio di elettrodomestici.
L’insoddisfazione verso la città e verso la condizione lavorativa però erano opprimenti e così, una volta terminata la carriera sportiva, Fausto si concede una seconda “giovinezza”, che è andata a compensare quella persa in favore di allenamenti e vita “sana”. Racconta: «Mi sono fatto due anni di nottate e tempo sabbatico e in questo periodo ho incontrato artisti di teatro e, come sempre accade quando mi appassiono a qualcosa, ci sono finito dentro totalmente».
«Ho cominciato a studiare teatro per scherzo e poi ho incontrato, attraverso il gruppo politico che avevo sempre frequentato da quando ero ragazzino, un gruppo anarchico in occasione di un seminario di una settimana. Si trattava di una compagnia teatrale americana, il Living Theatre. Era presente anche la fondatrice di questa compagnia, Judith Malina, che alla fine del seminario mi invitò ad andare a New York per continuare a lavorare con loro. Io non me lo feci ripetere due volte!».
Un gruppo teatrale, una famiglia, una comunità
Fausto comincia quindi una lunga spola – di tre mesi in tre mesi – tra Italia e Stati Uniti (siamo nel ’98 e non c’era per lui possibilità di ottenere una green card) finché non si presenta un’occasione inaspettata: un bando europeo per il recupero di un palazzo storico nel basso alessandrino, in val Barbera. Il progetto richiedeva che in questi luoghi si insediasse una realtà artistica che lavorasse sul territorio per costruire un tessuto sociale nuovo. Parliamo infatti di un territorio spopolato, dove ormai erano rimasti solo i più anziani, e con una cultura decisamente ancora ferma a certe idee sociali.
E così Fausto e il suo gruppo si spostano per circa 15 anni nell’Oltrepo’ Pavese, in un luogo caratterizzato dall’essere situato in una confluenza di quattro province diverse. Il nostro eroe si trova quindi a vivere “in famiglia”. Ci spiega infatti Fausto che «”gruppo teatrale”, era per noi una definizione ristretta. Noi eravamo la famiglia del Living: un gruppo anarchico – di circa quindi persone – che lavora in comunità, vive e discute insieme, condivide una cassa comune, un luogo e i servizi di quel luogo».
Nome di battaglia Carlo!
«Gran parte del lavoro del Living – continua Fausto – era un lavoro di strada e non prevedeva un concetto di soldi o di guadagno. Il denaro per noi era solo uno strumento necessario per sostenerci. Ci insediammo quindi in questo palazzo e iniziammo un lavoro che non era solo legato alla nostra produzione teatrale, ma anche alla voglia di incidere sul tessuto sociale».
Fu così che alcuni di loro iniziarono ad approfondire la storia partigiana del territorio: «A Rocchetta Ligure viveva Giambattista Lazagna, nome di battaglia Carlo, della brigata Pinan Cichero, che sorvegliava l’area da Chiavari a Novi Ligure. Dopo la liberazione, la sua formazione in giurisprudenza lo porta a dedicarsi al sostegno sindacale dei portuali». Ad un certo punto “Carlo” viene condannato alle Molinette di Torino, ma grazie alla sua salute precaria ottiene gli arresti domiciliari che trascorrerà – per quasi 10 anni – nel paese di Rocchetta Ligure.
Fausto e la sua compagnia decidono quindi di creare uno spettacolo sulla resistenza partigiana e per farlo iniziano a trascorrere tantissimo tempo con Giambattista. Lui non amava le interviste, ma parlava volentieri di un contesto politico attuale. Inoltre aveva scritto libri sulla resistenza. Nel 2000, dopo un anno di lavoro, lo spettacolo è pronto e viene portato in giro per mezza Europa. Il suo titolo era – ovviamente – Resistence.
L’anno dopo è il 2001 ed è l’anno del G8 di Genova. «La partecipazione al G8 è stata importantissima per il Living – racconta Fausto –, abbiamo creato uno spettacolo con 50 allievi che abbiamo messo in scena i primi due giorni, poi il terzo ci fu la morte di Carlo Giuliani e tutto cambiò. Noi ne subimmo le conseguenze, un po’ come tutti gli altri manifestanti. Continuammo nei mesi seguenti a fare performance-presidi su Genova e in una di queste conobbi Simona (la sua attuale compagna con cui ha avuto due figli)».
La famiglia si allarga, arriva il primo orto e il raduno di artisti
Simona – che oltre a essere architetto si era sempre occupata di danza contemporanea – diverrà una figura chiave nella vita di Fausto, non solo personale ma anche lavorativa. Per dirla con le sue parole: «Un teatrante e una danzerina con idee politiche molto forti si sono incontrati e si sono uniti. Simona è un’altra che si immerge totalmente in un progetto se questo la appassiona e così scelse di venire a vivere “in famiglia”, e la famiglia ne fu felice».
Fausto e Simona, tra le altre cose, sviluppano un orto in parte per aiutare “Carlo” – che non poteva più occuparsene – e in parte per uso personale. «Avere la soddisfazione di poter mangiare del nostro fu speciale. Questa azione verso l’orto – io parlo di azioni perché credo sempre che quello che facciamo è una azione verso qualcosa – ci portò a pensare che poteva esser una bella iniziativa creare un raduno di artisti che venissero a portare la loro scelta creativa, la loro azione politica, anche all’interno di un contesto non urbano».
Detto fatto: «Ottenemmo in concessione uno spazio demaniale in un Comune vicino, un bosco di castagno secolare e creammo un evento che chiamammo “Campo Carlo”. In questo spazio si incontravano la resistenza, la coltivazione dell’orto e i movimenti legati al G8. L’evento aveva un sottotitolo: Arte, Agricoltura e Ambiente. E su quello abbiamo iniziato a lavorare».
In tre anni il progetto passa da 30 a 150 persone. C’erano seminari, laboratori, esposizioni, spettacoli tutto il giorno. Questa crescita però porta alla conseguenza inaspettata di un disequilibrio politico nella valle e viene chiesto loro di spostarsi. «Lì – racconta Fausto – abbiamo fatto i conti con la realtà rispetto a una utopia che vivevamo da sempre».
Termina questa esperienza e termina anche il progetto abitativo che in quegli anni era diventato il Centro Living Europa: da aprile a ottobre l’intera “famiglia” si sposta da New York a Rocchetta ligure. Siamo alla fine del 2004.
Una nuova famiglia, un eco-villaggio, la bioedilizia
«In quel momento la necessità di lasciare quella casa e trovare qualcosa d’altro per me e Simona ci pose di fronte a un bivio: potevamo andare a New York o lasciare il gruppo e fare altro. Scegliemmo la seconda». Trovano alcune case in cima a un monte, in un villaggio abbandonato in Lombardia, e si trasferiscono. Erano nella stessa area geografica, quella delle quattro province, ma in un’altra regione.
Inizia così il percorso dell’eco-villaggio. Si trasferiscono alcune famiglie con bambini e anche Fausto e Simona mettono al mondo, nel 2007, Ada, la prima nata in quel villaggio dopo oltre 40 anni. È lì che Fausto e Simona iniziano il loro percorso legato alla bio-architettura naturale e alle risorse del territorio: «Ho cominciato a lavorare fisicamente, avevo bisogno di fare azioni più pratiche e meno intellettuali. Siamo formalmente usciti dal gruppo di New York, ma non si esce mai veramente dal Living. Comunque abbiamo continuato a dedicarci al teatro per opere mie personali che abbiamo portato in scena negli anni successivi, fino al 2012/2013».
«La residenza al villaggio a un certo punto ci ha messo di fronte a delle necessità di case – prosegue Fausto –, ma quelle intorno alla nostra erano decisamente malandate. Organizzavamo in uno spazio dell’associazione corsi di agricoltura e attività culturali. Altre famiglie comprarono due piccoli edifici e li misero a posto. Sistemare le case ci ha portato a fare i conti con le nostre tasche, di conseguenza dovevamo interagire con le risorse del territorio. Per fortuna la dimensione montana ci dava la possibilità di avere legname da opera, il castagno, di avere la terra a disposizione, argilla, e in quella zona c’era una coltivazione di orzo abbastanza diffusa, quindi paglia».
E questo li ha portati a cercare di studiare che cosa potevano realizzare con questi materiali: «Ci siamo messi alla ricerca tramite una rete di eco-villaggi e abbiamo conosciuto un ragazzo che era stato da poco in Inghilterra alla Farm di Barbara Jones, colei che ha scritto il libro che è la bibbia di tutti gli auto costruttori. Siamo riusciti a coinvolgere questo ragazzo che è venuto da noi e ci ha fatto un corso».
E qui inizia la terza vita di Fausto, che lo porta a creare Terrapaglia, ma questa ve la raccontiamo il mese prossimo insieme alle sue scoperte nel campo dell’architettura naturale e alle sue applicazioni.
Leggi il Meme dedicato a Fausto Cerboni
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