Noi, il Covid e il green pass. Quanto è difficile fare davvero informazione…
Seguici su:
Da due anni non si parla d’altro. Terapie intensive, Covid, Coronavirus, numero di morti, mascherine, distanziamento sociale, vaccini, green pass, zone gialle, arancioni e rosse, lockdown realizzati o minacciati, no-vax, mRna, tamponi, positivi e negativi, ristori. La nostra vita è diventata un costante interrogarci su tutte queste parole, molte delle quali sconosciute o poco usate fino al febbraio 2020. La diffidenza verso l’altro è aumentata a dismisura, le depressioni, l’isolamento e il conflitto sociale sono ai massimi livelli.
Sono “positivo” una volta significava sono ottimista, oggi significa sono “malato”. Il distanziamento sociale ha sempre indicato una “roba brutta” mentre oggi sembra la regola e l’invito a non abbracciarsi e non darsi la mano è la cosa più naturale del mondo. Ci stiamo abituando a tutto questo. Sta diventando normale.
Noi di mestiere facciamo i giornalisti e spesso ci interroghiamo su come trattare tematiche come queste, così divisive e così delicate. Non neghiamo certo la malattia, il dramma dei morti, il dolore dei loro cari. Ma ciò non ci distoglie dal nostro compito: raccontare cosa avviene nella società nelle sue più ampie sfacettature e non “dare ragione” ad una posizione o un’altra.
Una missione difficile quando si viene da due anni di “mono-pensiero” mediatico e si è talmente intorpiditi dal racconto unico che, se si prova a dar voce a pensieri o testimonianze diverse, l’odio si accende. Nonostante ciò abbiamo deciso di farlo. Perché il dramma della pandemia non deve farci abdicare alle domande e al pensiero critico.
Se, ad esempio, migliaia di persone scelgono di rinunciare al lavoro pur di non fare il green pass (in molti casi anche persone vaccinate), un giornalista ha il dovere di dar loro voce. Interrogarsi e provare a comprendere la realtà non significa dire che una cosa sia giusta o meno. Ma oggi il dissenso è silenziato e la maggior parte di noi sta imparando a considerare “normale” ciò che normale non è.
Viviamo, infatti, in un mondo in cui la gente cammina per strada o guida un’auto, spesso da sola, con uno straccio sulla bocca. Sì lo so, il nome diffuso è mascherina, ma con un termine asettico ci dimentichiamo cosa stiamo facendo. Ci stiamo tappando la bocca. Non solo quando è necessario, ma in molti casi in cui non lo è. In questo nuovo mondo, i bambini vanno a scuola e non vedono il sorriso dei propri compagni (si potrebbe favorire l’educazione all’aperto, ma si preferisce tenerli seduti in aula, con la bocca tappata).
Viviamo in un Paese in cui un ex-premier può tranquillamente parlare di troppa libertà di informazione e in cui lo “stato di emergenza” può essere prolungato all’infinito, con la compiacenza di tutte le forze politiche. E mentre noi passiamo le giornate a parlare di green pass e no-vax, i nostri governanti si distribuiscono i fondi del PNRR e sul piano ambientale propongono trivellazioni e nucleare.
Abbiamo imparato ad abdicare completamente al buon senso. Mascherina all’aperto anche in montagna o al mare o in auto, chiese gremite, ma parchi archeologici con green pass obbligatorio, ristoranti vietati a chi ha un tampone che certifica che sta bene e aperti a chi ha un vaccino inoculato sei mesi prima, che per la stessa scienza ufficiale ha perso gran parte del suo valore. Numero di posti nelle terapie intensive rimasto quasi invariato, mentre si investivano milioni di euro in banchi a rotelle o altre amenità. Ma noi accettiamo tutto. “È un periodo!”, ci diciamo. “Lo fanno in nome della salute pubblica, dei più deboli”.
Già, perché i governi ci hanno abituato a mettere la salute e i più deboli al primo posto. Lo dimostrano le radicali scelte che stanno facendo per combattere il cambiamento climatico, la lotta spietata a discariche, materiali usa e getta, acciaierie e centrali a carbone, zuccheri e cibo spazzatura, sigarette e povertà culturale. Il nostro Paese – e più in generale l’Occidente – ha finalmente imparato a mettere la salute al primo posto!
No? Dite di no? Dite che i nostri governanti sono quasi sempre guidati da altre logiche nelle loro scelte? E allora come mai mi chiedete di accettare passivamente qualsiasi aberrazione loro mi propongano in nome della lotta al Covid-19?
Quello che più mi colpisce di questo momento storico è la rinuncia allo spirito critico. Qualcuno si chiede come mai il nostro Governo non prova a convincere i propri cittadini spaventati dal vaccino con confronti aperti con quella parte di medici e virologhi divergenti, ma invece preferisce espellerli?
Come mai non prova a rispondere a un comitato formato da migliaia di medici e scienziati che hanno inviato alcune domande al CTS e proposto alternative? Io credo che trattare cittadini dissidenti come criminali o categorie da “ricattare” anziché come persone con cui confrontarsi e a cui spiegare le proprie ragioni sia veramente inaccettabile e mostri una scarsa fiducia nelle proprie scelte. Per questo abbiamo deciso di ascoltare le loro ragioni, ma – lo ripetiamo – ciò non significa automaticamente appoggiare le loro scelte.
Quando sei una testata giornalistica indipendente e non hai decine di giornalisti da inviare sul campo – ed è questo il nostro caso – devi scegliere di cosa parlare e come farlo. Quale contributo aggiuntivo puoi dare? Se tutti raccontano un aspetto della realtà, quello che può fare chi pensa con la propria testa è esplorarne gli altri aspetti. Ma oggi è davvero difficile, perché come non aderisci al mono-pensiero vieni tacciato di essere “contro”:
Siamo divisi: chi è a favore o contro i vaccini, a favore o contro il green pass, a favore o contro le mascherine. Ma facciamo una fatica incredibile ad avere posizioni diverse, articolate. La cosa che più mi colpisce è l’inconscia codardia che spinge molti di noi a non porre pubblicamente una domanda per paura di essere tacciati come portavoce di questo o quello schieramento.
Noi stessi – lo ammetto – come redazione di Italia che Cambia abbiamo forse troppo a lungo taciuto su questo tema pur di non essere identificati con i diversi schieramenti. Sì, perché se da un lato – lo avrete capito – io come direttore del giornale, ma anche molte e molti colleghe e colleghi, sono iper-critico sulla gestione della pandemia, ciò non significa certamente che stimiamo chi nel contestare determinate politiche si rifà a ideologie di destra o, ancor peggio, a una totale irrazionalità che porta a mescolare, senza alcuna differenza, domande lecite con affermazioni campate in aria.
Ora però ci siamo stancati di stare in silenzio. Abbiamo deciso di cominciare a fare davvero informazione su questo tema, anche se sappiamo che nel farlo presteremo il fianco al vomito dei social e di tutte quelle persone che, il più delle volte senza nemmeno aver letto l’articolo in questione, aggrediscono e insultano chi prova a fare informazione.
Noi di soluzioni non ne abbiamo e non ve ne proporremo. Non sappiamo quale sia il modo migliore di gestire la pandemia mondiale. Ma ciò non significa che non rivendichiamo il diritto a porre domande e a mostrare contraddizioni. Il compito di un giornalista è fare informazione, non risolvere i problemi. Il nostro intento quindi è quello di raccontarvi e mostrarvi la realtà. E se la realtà è fatta di scelte illogiche o illiberali e, in alcuni casi, palesemente idiote o strumentali, non possiamo non sottolinearlo.
Nel farlo, cercheremo in ogni modo di uscire dalla retorica dualistica e di affrontare le questioni nel modo più complesso possibile. Parleremo quindi di vaccini, di green pass e super green pass, di persone che scelgono di rinunciare a un lavoro pur di non vaccinarsi (in un Paese in cui in nome del lavoro di solito si è pronti ad accettare qualsiasi compromesso), parleremo di anziani lasciati soli a morire senza il conforto dei propri cari, di persone che non hanno accesso alle cure perché ogni altra problematica di salute è divenuta secondaria.
Parleremo delle conseguenze della produzione e della vendita di miliardi di mascherine usa e getta e della mancanza di una strategia politica a medio termine nel contrastare la pandemia. Parleremo di come nulla si stia facendo per rafforzare il sistema immunitario delle persone, per aiutare i più giovani a non vivere discriminazioni, per prevenire ulteriori pandemie in futuro. Confronteremo i dati del Covid-19 con quello delle normali influenze e delle altre cause di morte e rifletteremo insieme a voi su cosa questi dati rappresentino.
Ma mai negheremo la malattia, le centinaia di migliaia di morti di questi due anni o l’opportunità di intervenire in qualche modo per mitigare il dramma in corso. Durante la prima emergenza, a inizio 2020, si potevano comprendere scelte forti e conservative. Ma dopo due anni non si può continuare ad accettare qualsiasi scelta in silenzio. Così come non si può lasciare la critica a soggetti ideologici o votati all’irrazionalità.
Noi vogliamo porci come soggetto pensante. Un soggetto che si permette di criticare senza negare. Che sceglie di circostanziare, di riflettere, di rivendicare lo spirito critico che ancora fa parte di noi. E che nella prudenza, nella consapevolezza e nella massima considerazione della salute propria e degli altri, propone di continuare a vivere la propria vita, con la consapevolezza che ogni giorno che passa non ritorna più e che se lo vivremo solo guidati dalla paura lo avremo perso per sempre.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento