Domenico Chionetti: “Le mie giornate al G8 al fianco dei disobbedienti” – #4
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Genova - “Signori del G8, non vi sembra una cinica pretesa venirci a dire, ancora una volta, che l’unico mondo possibile sia il vostro? Banca mondiale, fondo monetario internazionale, organizzazione mondiale del commercio, mercato selvaggio, la tecnologia sempre a favore del mercato, globalizzazione. Noi vogliamo la globalizzazione dei diritti, noi vogliamo la forza del diritto e non il diritto della forza!”. Don Andrea Gallo, 2001.
Sugli striscioni spiccavano idee di libertà – “Niente barriere, solo sogni”, “Libertà senza confini, libertà di movimento” – e nell’aria si libravano ritmi di percussioni, sorrisi e allegria. Quella di Genova del 19 luglio 2001 fu la più grande contestazione mai svolta in Italia per la difesa dei diritti della popolazione migrante, con oltre 50.000 partecipanti. Domenico Chionetti, oggi portavoce della Comunità di San Benedetto al porto, all’epoca militante nei centri sociali, nel 2001 marciava al fianco delle e dei “disobbedienti”. Ci ha raccontato la sua esperienza.
Cosa ti ricordi di quel primo giorno di G8?
A Sarzano, cuore del centro storico e luogo di partenza della manifestazione, si ritrovarono migliaia di persone, molte di più di quanto ci si aspettasse, e poco dopo la piazza non riuscì fisicamente più a contenerle, infatti tracimavano nelle vie laterali. Il corteo si trasformò in un serpentone che arrivò fino a piazzale Kennedy.
Il nostro era un movimento che lottava contro l’Europa di Schengen, contro l’Europa delle merci che non dava alle persone la libertà di circolare, contro i CPT – Centri di Permanenza Temporenea, poi diventati CIE – Centri di Identificazione ed Espulsione, di fatto luoghi di sospensione del diritto per le persone migranti. All’epoca si parlava dell’invasione degli albanesi, cavallo di battaglia che incendiava le destre e che nel 2002 diede origine alla Bossi-Fini.
Proprio in quei giorni ci rendemmo conto che non eravamo soli, ma parte di un movimento mondiale, che pensava e agiva globalmente. Infatti arrivò una quantità inaspettata di persone da tutta Europa unicamente per manifestare a favore della difesa dei diritti dei migranti e dei rifugiati.
Cosa ti hanno lasciato quelle giornate al fianco dei disobbedienti e come le hai elaborate in questi vent’anni?
Questa è una domanda che riguarda non solo me, ma un’intera generazione che ha subito un collasso durante il G8. È stata, senza dubbio, una grande esperienza collettiva e moltitudinaria. Ma non posso dimenticare la libertà di cui siamo stati privati e la sospensione della tutela dei diritti umani, completamente calpestati e vilipesi. Genova 2001 è soprattutto nella mente, negli occhi e sulla pelle di chi l’ha vista e vissuta, ma sono anche le emozioni delle persone che a distanza di anni sono tornate qui per rivedere le strade e le piazze in cui in quei giorni avevano corso, pianto, manifestato.
Quelle del G8 furono giornate molto intense, in cui una nuova visione del mondo e del vivere sembrava alla nostra portata, generando energie vitali per molti anni. E anche se i movimenti hanno continuato in varie forme a mobilitarsi, la protesta in piazza è e deve restare la tipologia principale di manifestazione del dissenso per esprimere democraticamente la propria divergenza, attraverso la rottura della routine quotidiana.
Come Comunità di San Benedetto ci siamo resi conto che ci sono stati ancora tanti, troppi, episodi di giustizia negata, dal G8 di Genova a oggi: dai casi internazionali di George Floyd e Giulio Regeni all’omicidio di Stefano Cucchi fino alla morte di Emanuel Scalabrin. Questi sono solo alcuni macigni che pesano sui vari Stati e su alcune forze di polizia che, oltre all’uso inconsueto della violenza, in alcuni casi, compiono anche altri reati per produrre prove false e verità fittizie.
E sulla situazione carceraria?
Dalla Diaz sono trascorsi vent’anni ma nulla o poco è cambiato rispetto alla continua violazione gravissima del principio che dovrebbe caratterizzare uno stato di diritto. Per chi ha visionato i video di aprile 2020 dei pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere come per chi era per strada nel 2001 la sensazione che rimane è di incredulità, di rabbia.
Dove siamo arrivati oggi nella tutela dei diritti delle persone private della libertà?
La strada è ancora molto lunga. Il nostro è il Paese in cui gli agenti che durante il G8 hanno picchiato, torturato e depistato le indagini, anziché essere destituiti hanno avuto avanzamenti di carriera. Chi ha manifestato invece ancora ne sta pagando le conseguenze. Occorre davvero ripensare l’intero sistema e, soprattutto, non avere paura di manifestare per tutelare i diritti sociali e civili sanciti dalla nostra carta costituzionale.
“Il carcere è anche una malattia sociale, una devianza. Con un sistema punitivo non è possibile alcun recupero in carcere che esprime solo la parte vendicativa della pena. Il carcere lede l’articolo 27 della Costituzione che prevede che le pene debbano tendere alla rieducazione del condannato. Dobbiamo liberarci dalla necessità del carcere“. Don Andrea Gallo
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