A testa alta: “Vaccini e green-pass qual è la verità?” Un appello al mondo della scuola
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Colleghi, studenti, famiglie, noi della Compagnia di Antigone siamo, oltre che insegnanti e personale della scuola di ogni grado e ordine, intellettuali e artisti; religiosi; medici e infermieri; omeopati e naturopati; avvocati; giornalisti; operai e addetti alla distribuzione; lavoratori di ogni tipo, pensionati e disoccupati; membri delle forze dell’ordine e militari: insomma, uno spaccato di questa nostra società travagliata. Per quel che pare oggi più importare, siamo poi sia vaccinati sia non vaccinati. Siamo insomma donne e uomini di ogni ceto e condizione, fede religiosa e appartenenza politica, accomunati da quel senso di fraternità che un grande pericolo talvolta suscita.
Ci rivolgiamo dunque agli insegnanti e al personale scolastico: alcuni di voi, che siete abituati a vedere al vostro fianco, potrebbero non esserci più e non per malattia o per ogni altro motivo, per cui si è tutelati come ogni altro lavoratore, ma perché hanno perso il diritto di entrare a scuola e di ricevere uno stipendio. E così gli studenti e le famiglie avranno visto alcuni docenti sparire.
Ci sono momenti in cui la scuola non può scordare di essere il luogo di quell’incontro umano in cui prendono forma la cultura e l’educazione, da cui la società intera si alimenta. Sono momenti dunque da non perdere, altrimenti la società si inaridisce. In quel che leggerete c’è una traccia affinché il confronto possa avere uno spessore critico.
Ci scusiamo per la lunghezza, perché sappiamo che leggere oggi è faticoso e faticoso è pensare. Per questo c’è chi conta sul fatto che non si pensi: perché è più comodo e più facilmente si può essere condotti. Scegliete dunque voi cosa volete essere. La libertà è certo la via più difficile.
L’emergenza e la menzogna
C’è in questo Paese un’emergenza non solo giuridica ma esistenziale. Un’emergenza giustificata da un fenomeno patogeno, diventata però patologia sociale che pervade ogni atto della vita quotidiana. La paura del contagio non è più soltanto spontanea reazione a un pericolo effettivo, ma occasione affinché i rapporti umani siano riplasmati. Ciascuno è invitato a diffidare di chi gli è accanto, confidando unicamente nelle disposizioni che giungono dall’alto.
In una società considerata democratica è accettabile che ci siano condizioni di emergenza, in cui vengono imposte limitazioni; ma non che l’emergenza diventi permanente, né soprattutto che le limitazioni si trasformino in discriminazioni, ovvero che un gruppo sociale, comunque identificato, sia privato dei diritti di cui gli altri godono. È altresì previsto, in una società democratica, che tutelare la salute sia tra i compiti primari, ma non deve andare a scapito di altri compiti.
C’è in particolare una salute dello spirito, inseparabile dal senso di libertà e dignità, non meno importante di quella biologica in senso stretto e, anzi, in grado di influire su di essa. C’è poi anche, in una società che si vuole democratica, un equilibrio da mantenere tra la tutela degli interessi collettivi e la salvaguardia dell’autonomia personale e non solo perché quest’ultima può facilmente venire soffocata, ma perché, quando accade, sono interessi arbitrari e incontrollati a prevalere.
C’è poi, soprattutto e in ogni caso, un problema di verità. Il rapporto di un popolo coi suoi governanti è certo condizionato da molti fattori, tra cui anche il timore di fronte a un potere soverchiante; ma, se qualcosa può incrinarlo, è la menzogna. Qualunque sacrificio può essere affrontato, qualora ne sia condiviso lo scopo; ma ben diversamente accade quando ciò che si dice non corrisponde a quel che i fatti mostrano.
Mancanza di onestà e domande inquietanti
Nel mezzo dunque di un fenomeno mondiale, della cui origine e natura sapremo forse un giorno, si è deciso che il mezzo idoneo a venirne a capo fosse un vaccino: un vaccino di tipo nuovo, prodotto in tempi molto – forse troppo – rapidi, su cui sono legittimi vari dubbi. Tanto – come i fatti mostrano – rispetto all’efficacia, quanto rispetto al pericolo di effetti imprevedibili.
Sarebbe dunque onesto ammettere che molti, che di vaccinarsi non vogliono sapere, hanno ragioni degne di rispetto; così come lo sarebbe riconoscere che la comunità scientifica è in realtà divisa e molti autorevoli scienziati sono contrari alla politica sanitaria in corso, sulla quale innegabilmente pesano gli interessi delle grandi aziende farmaceutiche.
Sarebbe infine onesto dichiarare che il collasso delle strutture ospedaliere, verificatosi lo scorso anno, si deve soprattutto ai tagli avvenuti nel settore sanitario negli ultimi decenni, che hanno ad esempio falcidiato le terapie intensive. Per cui l’idea di vaccinare comunque tutti può apparire a molti medici, in perfetta buona fede, l’unico modo per alleggerire una pressione altrimenti insostenibile.
Se tutto ciò fosse ammesso con franchezza, si potrebbe forse consentire un clima di fiducia, nel quale a ciascuno chiedere i sacrifici necessari. Occorrerebbe però allora non mentire. Non bisognerebbe dire che chi non si vaccina mette in pericolo la salute degli altri: per il semplice fatto che chi si vaccina non è affatto reso immune, ma può ammalarsi e contagiare ugualmente – se un po’ meno, poco cambia.
Tutto quel che sarebbe onesto dire è che verrebbero in media scongiurati gli esiti più infausti: sarebbe dunque lecito far presente questo fatto, che ciascuno dovrebbe in coscienza soppesare e metterlo a confronto con pericoli, futuri soprattutto, su cui nessuna garanzia si offre – per questo, all’atto di essere vaccinati, viene fatto firmare un foglio che equivale a uno scarico di responsabilità, in cui si rinuncia a esigere indennizzi per quel che, nell’immediato e nel futuro, potrebbe accadere.
Ci sono domande da cui non si dovrebbe prescindere, che sono inquietanti. In primo luogo, perché puntare tutto ciecamente sui vaccini, anche in presenza di autorevoli pareri contrari, anziché innanzitutto sulle cure, che pur ci sono? Perché poi ci si dovrebbe accontentare di un’informazione a dir poco insoddisfacente sugli effetti collaterali, anche mortali, non sempre facili da dimostrare ma che vanno pur presi in considerazione? Infine, perché questo accanimento sui giovani, che poco o nulla rischiano dal virus, e adesso addirittura sui bambini?
Circa i giovani, è moralmente accettabile che il vaccino sia stato presentato loro come la condizione per quella vita sociale di cui essi hanno bisogno come dell’aria? E lo è che vengano tollerati nelle scuole atti di bullismo verso i non vaccinati e adesso a questi ultimi siano preclusi addirittura i mezzi pubblici che conducono a scuola? Quale immagine questi giovani potranno avere della società su cui si affacciano?
L’ombra di un nuovo totalitarismo
Questo in effetti è davvero il punto: che è – più che medico – politico, ma ancor più etico. Se lo Stato considerasse la situazione sanitaria talmente insostenibile da mettere a repentaglio la pubblica incolumità – senza dimenticare che ciò si deve almeno in parte alle politiche sanitarie degli ultimi decenni –, avrebbe piena facoltà di imporre la vaccinazione, senza però chiedere di firmare nulla e assumendosene la piena responsabilità, salvo rifarsi poi sulle aziende farmaceutiche.
Sarebbe da molti comunque percepito come una violenza, forse in ogni caso ingiustificata, ma verrebbe scongiurato quel che di più devastante oggi è in atto. Il punto è infatti che la vaccinazione continua a essere considerata un atto libero, ma si vuol imporre, in modo paradossale, di liberamente aderirvi. Ciò è degno, più che della democrazia, di un sistema totalitario.
Sotto il fascismo in Italia la tessera dal Partito non era obbligatoria, ma non averla comportava essere discriminati, innanzitutto in ambito lavorativo. Qualcuno ritiene che il paragone sia eccessivo? Ma che pensare del fatto che in interi ampi settori della società – ieri il comparto sanitario, ora la scuola, insieme alle forze dell’ordine e ai militari – chi non si è sottoposto al vaccino viene sospeso dal lavoro senza stipendio, quindi privato degli stessi mezzi di sussistenza?
Non si vede che una campagna martellante condotta da tutti i media accreditati – anch’essa degna di uno Stato totalitario – sta mistificando la realtà costruendo il mostro di una minoranza fanatica e violenta che mette a repentaglio la salute di tutti? Ma non è questo l’orrido meccanismo del capro espiatorio, cioè della creazione di un soggetto discriminato a cui addossare la colpa di problemi sociali che hanno tutt’altra origine, tipico dei momenti più oscuri della nostra storia?
Non ci si rende conto che in una società come la nostra, a cui in ogni altro ambito si chiede il rispetto del diverso, si è sdoganato l’odio verso una categoria sociale che non si conforma alla volontà dei poteri dominanti? Cosa manca a una vera e propria persecuzione?
Chi si ostina a non capire, dirà: non si tratta di avversare convinzioni o il colore della pelle, bensì di tutelare la salute di ciascuno. Ma, poiché i mezzi impiegati sono del tutto incongruenti al fine dichiarato – per il semplice fatto che chi è vaccinato può venire contagiato e contagiare –, non sarà lecito il sospetto che il mezzo sia in realtà il fine e null’altro il fine se non il mezzo?
Proviamo a riflettere. I sistemi autoritari del passato, oltre che esercitare la coercizione, mobilitavano la popolazione su valori diffusamente sentiti, di cui si facevano garanti: l’amor di patria, la costruzione del socialismo, la purezza della razza. Ebbene, niente di tutto ciò godrebbe oggi qui da noi di un credito sufficiente, mentre così è per la salute. In una società tendenzialmente materialistica, in cui si insegna a diffidare di ogni altro valore, rimane solo quello della
sopravvivenza.
E la scienza, o meglio quella parte che ha stretto coi poteri economici e mediatici un’alleanza tale da soverchiare i poteri degli Stati, si erge come nuova religione universale, che ha nella sopravvivenza il bene ultimo da tutelare. Sotto questo aspetto l’emergenza non è una situazione eccezionale a cui far fronte, bensì la condizione ideale – da rendere in qualche modo permanente – in cui il nuovo sistema può meglio imporsi.
La libertà nell’epoca del dominio della tecnica
Pare eccessivo pensare ciò? Siamo inguaribili complottisti? Nient’affatto. Non è necessario pensare a una congiura delle élite. La modernità ha sprigionato dal suo seno forze immense che hanno radicalmente trasformato le condizioni di vita umane e le visioni che si ha della realtà e questo tutt’oggi avviene a un ritmo sempre più vertiginoso. Le categorie politiche tipiche degli ultimi due secoli ben poco valgono oramai. C’è un potere della tecnica, che è già all’origine delle grandi civiltà antiche ma diventa straripante in epoca moderna, che pervade oggi ogni ambito di vita, riplasmando interamente la condizione umana oltre ogni limite finora concepibile.
È del tutto ovvio che ciò si manifesti oggi in forme totalizzanti, che paiono per loro natura richiedere un totale controllo sull’esistenza personale. Pensare che il senso della libertà riesca a conservarsi entro un sistema simile può sembrare addirittura irrealistico, se non fosse che l’umano stesso è in gioco. Il trans-umano può essere semplicemente la fine dell’umano.
Non importa quanto chi ci governa sia consapevole di tutto ciò. Può anche darsi che le élite non siano più lungimiranti di qualsiasi altro, ma perseguano obiettivi più o meno funzionali al proprio ruolo, talvolta anche così errati da portarle alla rovina. Spetta forse invece ad altri ambiti, più legati alla cultura e addirittura alla ricerca spirituale, elaborare il senso di quel che accade.
Inaspettatamente poi le persone si trovano al cospetto degli eventi scelgono in rapporto a un intimo sentire e le loro scelte influenzano gli eventi stessi. Coloro che ad esempio oggi scelgono di non piegarsi a un’imposizione a cui tanti si assoggettano, con costi personali anche gravosi, non solo difendono la democrazia, ma si assumono un compito implicitamente spirituale.
Non vi parleremo dunque delle loro difficoltà e sofferenze, ma della bellezza del rimanere a testa alta, riscattando la dignità di tutti. La libertà, che è scandalosa e paradossale in fondo sempre, ma negli scenari attuali è una scommessa con l’impossibile, torna a essere il valore da cui ogni altro discende, tra cui l’amore innanzitutto. Chi ha saputo essere libero può scoprire cosa veramente voglia dire amare, compreso il perdonare il male subito.
Un duplice appello
Vorremmo infine rivolgere un duplice appello. Innanzitutto ai capi politici, sindacali e religiosi: a coloro cioè da cui dovremmo sentirci tutelati e custoditi. Vogliamo credere nella loro buona fede, ma non hanno forse compreso a sufficienza cosa implicasse aderire a una certa logica, né quanto profonde siano le radici del dissenso. Ad essi chiediamo però ora di non chiudere la mente e il cuore. E lo chiediamo a nome di milioni di persone determinate qui in Italia a resistere strenuamente, sentendo che quel che è in gioco vale più della sopravvivenza, anche economica, e stabiliscono tra loro legami di fraternità che non si pensava più di poter vedere.
Lo chiediamo poi anche a nome di altrettanti che, se hanno ceduto o cederanno, è per la necessità di anteporre la sussistenza, più ancora che propria, dei loro figli: l’umiliazione che viene inflitta loro è una ferita difficile da rimarginare, una vergogna che non deve però in alcun modo ricadere su di essi, ma su coloro che crudelmente gliel’hanno inflitta.
Lo chiediamo poi infine a nome di altrettanti, che, essendosi vaccinati per qualche specifica ragione di salute, oppure per libera convinzione – e meritano in questo ogni rispetto –, nutrono però crescente preoccupazione per il clima in cui siamo entrati: avvertono infatti che, più la macchina propagandistica e persecutoria si inasprisce, più ogni pretesa di verità si mostra infondata.
Non è certo l’essere vaccinati o meno quel che veramente conta, bensì l’aprire gli occhi verso ciò che, con la giustificazione più plausibile, sta avvenendo. Potrebbero in molti con amarezza dire un giorno: come abbiamo fatto a non capire?
Un secondo appello vogliamo inviare a chi si dispone in ogni modo a resistere, mettendo in conto di pagare un caro prezzo. Non è difficile immaginare che, dalla disperazione, ci si aspetta possa scaturire qualche atto di violenza – a costo di, pur di screditarci, produrlo ad arte. Ebbene, sia in ogni modo chiaro che il nostro è un movimento che si ispira alla nonviolenza e che alla violenza istituzionale non risponderemo se non con la forza interiore e la solidarietà che ci sapremo suscitare.
Abbiamo consapevolezza che non si tratta solo di un contrasto tra gruppi di potere, ma quel che è in gioco, in Italia e in Occidente, è il destino stesso dell’umanità: e, quel che confidiamo possa essere, dobbiamo far sì che nasca innanzitutto in noi. Il male che combattiamo non è solo infatti al di fuori, ma in noi stessi.
Così, mentre si approssima il Natale, in cui ben altro che la ripresa economica si dovrebbe celebrare e a molti viene recapitato l’amaro dono della privazione del pane quotidiano, nondimeno un dono vogliamo farlo a tutti. Se davvero questo vaccino fosse una tutela per gli altri, la grande maggioranza di coloro che tra noi lo rifiuta probabilmente lo accetterebbe subito.
Siccome però così non è e introiettare una menzogna farebbe più male di quel che potrebbe eventualmente fare il siero – perché, sia consentito dirlo, la menzogna corrode l’anima –, facciamo dono a tutti di quello che patiamo per amore della verità. La quale certo non è possesso di nessuno, ma è amica di coloro che con sincerità la cercano.
La Compagnia di Antigone è un gruppo di persone che rappresenta in maniera plurale e trasversale molte categorie sociali e professionali del nostro Paese. Ciò che le uniscono sono perplessità e preoccupazione per la piega che – sull’onda delle misure adottate in virtù della situazione sanitaria attuale – i rapporti sociali e la struttura della società stessa stanno prendendo. Quelle che avete appena letto sono riflessioni che Italia Che Cambia ha deciso di pubblicare al fine di stimolare un dibattitto che sembra mancare e che invece consiste un passaggio cruciale per la tutela della democraticità e del pluralismo della comunità in cui viviamo.
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