Ragioniamo con i piedi: per un mondo libero da inquinamento, puzza e usa e getta – Io Faccio Così #335
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Padova, Veneto - Torniamo a casa dopo una lunga passeggiata o una dura giornata di lavoro, ci togliamo le scarpe e sentiamo i nostri piedi cantare di gioia, finalmente liberi dal giogo opprimente dello strano accessorio che noi umani usiamo per camminare.
Poco dopo, normalmente, veniamo raggiunti da una puzza impressionante che i più raffinati tentano di sopprimere con una corsa disperata in bagno, dove lavare e profumare i devastanti emettitori di tanfo, mentre i più veraci – tra una battuta, una grattata nelle parti intime e magari un bel rutto in libertà – si gettano sul divano appestando gli eventuali commensali intervenuti nella sfortunata abitazione in cui il soggetto si è da poco addentrato.
Oppure: siamo ospiti da quegli amici tanto cari, ma tanto fissati con l’igiene. Nell’avvicinarci alla porta, vediamo scarpe ovunque e capiamo che l’invito sottinteso è quello di togliercele anche noi, le fetide scarpe… Ma come fare? Scegliere di appestare i poveri amici o di inondarli con microbi, terra e cacca di mucca?
Potrei continuare per molte righe questo racconto solo in parte ridicolo e provocatorio. La realtà dei fatti è che la maggior parte di noi, prima o dopo, si è dovuta confrontare con la puzza dei propri piedi, con le vesciche dovute a lunghe camminate o con l’urlo liberatorio che ci viene da emettere dopo una lunga giornata.
Se poi anche voi, come me, siete “fissati” con l’ecologia e combattete gli sprechi, vi immagino orgogliose e orgogliosi a girare con scarpe bucate, ma ancora “funzionanti”, fino a che queste esalerannol’ultimo respiro (puzzolente). Magari dopo sei mesi, un anno, due anni.
Un bel record! Ecco, tutte queste vicende in parte ridicole e in parte drammatiche hanno trovato risposta quando finalmente ho rincontrato Gigi Perinello la scorsa primavera. Conobbi Gigi molti anni fa, in occasione di una serie di incontri legati al mondo della Decrescita Felice, ma non avevo mai visitato la sua bottega di Este, nei pressi di Padova.
Io e Paolo arriviamo con il camper in un’assolata giornata e, come entriamo, ci sediamo circondati da scarpe e iniziamo a farci raccontare la storia di Gigi.
Pelli “naturali” derivanti dagli scarti degli allevamenti
Lui parte subito con una difesa appassionata dei materiali che usa. Sì, sono pelli di origine animale, ma provengono dagli scarti della lavorazione della carne. In un mondo perfetto, senza allevamenti, usare il cuoio sarebbe eticamente scorretto. Ma in un mondo con miliardi di mucche macellate, questi materiali, se non utilizzati, diventano semplicemente rifiuti speciali e noi – ci spiega Gigi – circondiamo i nostri piedi di plastica e altri derivati da petrolio e chimica.
Trattamenti al tannino e non al cromo
Non è solo il materiale usato che contraddistingue le scarpe che lui produce, ma anche e soprattutto il modo in cui lavora questi materiali. Perinello infatti per la concia utilizza trattamenti al tannino, quindi derivati delle castagne, dalle mimose o da altre piante simili, anziché cromo e altre sostanze chimiche inquinanti.
Questo tipo di concia naturale però richiede da 20 a 40 giorni di tempo, anziché le 7 ore tradizionali. Un problema? Solo se vogliamo miliardi di scarpe usa e getta. Se invece progettiamo scarpe che debbano durare almeno dieci anni… e che poi possano ripararsi… e che una volta giunte al termine della loro vita possano essere compostate… allora forse si possono anche aspettare 20 giorni per la concia!
E quindi? Ragioniamo con i piedi, ma ragioniamo!
Come si chiama la sua azienda? Ragioniamo con i piedi. E in effetti quello che può sembrare un insulto, nel caso di Gigi e del suo gruppo diventa un vanto. L’azienda viene fondata nel 2008: «Il nome – mi racconta – nasce durante una cena con dei ragazzi. Uno di loro mi fa: “Ma tu lavori le scarpe? E allora ragioni con i piedi?”. Da una battuta quindi venne il nome dell’azienda».
Ragionare con i piedi significa progettare per le esigenze del nostro corpo e non della moda o del marketing. «In questi anni di follia industriale – si infervora Gigi – abbiamo pensato che la soluzione per tutti fosse produrre tantissimo e buttare via tantissimo, il famoso usa e getta. Oggi abbiamo scarpe che si usano sei mesi al massimo. Abbiamo inventato la moda e questa entra nei nostri cervelli e ci convince che ogni tre mesi dobbiamo cambiare le cose».
«La rivisitazione di questi aspetti è fondamentale nel mio progetto. Voglio dimostrare che ci sono scarpe che possono durare anche trenta anni! Le scarpe ben fatte inoltre sono riparabili. Si sostituisce una suola e si va avanti; se i materiali sono buoni non si spaccano. Dobbiamo tornare a dare valore al tempo, al lavoro corretto dell’artigianato. Già mi emoziono a dire queste cose, questa gente, questi artigiani che fanno queste scarpe, hanno delle mani straordinarie».
La durata riscrive anche il concetto del prezzo. Se una scarpa mi costa 30-50-80 euro ma mi dura un anno o due mentre un’altra me ne costa 150-200 ma mi dura 10-15 anni… qual è la più economica? La nostra chiacchierata – che vi invito a guardare e ad ascoltare nel video che trovate qui sotto – prosegue toccando altri temi importanti.
La società delle sneakers e della felpa
Gigi non si nasconde. «Capisco che le nostre scarpe, a uno sguardo inesperto, possano sembrare care. Vanno infatti dai 140 ai 270 euro. Ma noi vendiamo delle scarpe che nel mercato normale, se fatte con la stessa lavorazione e materiali, costerebbero il doppio».
«Purtroppo – prosegue – la gente è abituata a guardare solo l’esterno, l’estetica, non guarda la sostanza, che è dentro. Viviamo nella civiltà delle sneakers e della felpa… due elementi semplici da indossare che ci allontanano da un vestito costruito bene e da una scarpa costruita bene. Nelle sneakers la plastica la fa da padrona e infatti costano poco. Noi pensiamo che comprandole facciamo un affare, invece lo fa chi le vende».
I numeri sono impressionanti: l’anno scorso nel mondo sono state vendute 24,5 milioni di sneakers su 28 milioni di scarpe. Ovviamente queste sono prodotte in Cina, Vietnam, dove la mano d’opera è tanta e a basso costo.
Ragioniamo con i piedi produce circa 30 paia di scarpe al giorno. In un anno circa 6000 paia. Sembra incredibile, ma molte delle scarpe di Perinello vengono vendute su “ordinazione”. E Gigi vorrebbe andare sempre più in questa direzione. Il problema è che ci vogliono almeno dieci giorni per farle e la gente è abituata ad avere tutto e subito.
Progettare per riparare e durare
Il punto essenziale sta nel come un determinato oggetto viene progettato. «Noi vogliamo fare delle scarpe progettate dall’inizio per essere riparate. Se presentano un problema, una suola da cambiare o altro, puoi portarle da me o da qualsiasi calzolaio. Purtroppo però questi sono sempre meno, spazzati via dal mercato delle scarpe in plastica. Se il calzolaio non sapesse bene come intervenire, può telefonarmi e gli insegno come fare!» .
Gigi – inconsapevolmente – incarna uno dei modi in cui presentiamo sempre l’Italia che Cambia. A un certo punto infatti afferma: «Quando ci poniamo l’obiettivo di risolvere un problema, le soluzioni si trovano, è la natura stessa a offrircele. Noi dobbiamo adattarci. Non possiamo continuare a estrarre materie prime sapendo che la natura non può riprodurle. Stiamo bene, la Natura ci dà delle opportunità, dobbiamo anche noi accettare di avere dei limiti nel nostro comportamento».
Per un mondo che non puzzi!
In chiusura, ecco come risolvere il dramma dei piedi puzzolenti. «Il pubblico che compra le mie scarpe all’inizio si avvicina perché vuole risolvere il problema della sudorazione. Le nostre scarpe, non essendo verniciate e colorate, assorbono perfettamente gli odori. Le mie scarpe non avranno mai cattivo odore neanche tra vent’anni. I tannini controllano lo sviluppo batterico all’interno della scarpa. In molti non sanno infatti che i piedi attraverso il sudore eliminano tossine di cui si nutrono determinati batteri. Questi poi fanno la cacca, ovvero degli acidi che generano il fatidico odore. Tra questi l’acido butirrico, che è quello della fermentazione dei formaggi».
Ancora una volta quindi il pensiero sistemico mostra tutta la sua forza. Con un’attenzione alla progettazione e alla produzione possiamo inquinare meno, sostenere un artigianato locale, risparmiare soldi nel tempo e vivere in un mondo più profumato. A noi la scelta.
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