29 Nov 2021

Mondeggi, la fattoria senza padroni, chiama a raccolta il mondo della permacultura per riprogettarsi

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Per il progetto di Mondeggi, la fattoria trasformata in bene comune e gestita in maniera aperta e orizzontale, è arrivato il momento di raccogliere una nuova sfida e trasformarsi, seguendo i principi della permacultura e prestando attenzione a non rinnegare la sua anima condivisa e libera. Ecco l'appello che la comunità rivolge a chiunque abbia voglia e competenze per partecipare a questa avventura.

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Firenze, Toscana - Mondeggi è ormai un’istituzione per chi crede nella sovranità alimentare, nel diritto di autodeterminazione e nei beni comuni. Situata nel cuore della Toscana, è una fattoria occupata da anni, autogestita e ispirata ai principi di autosufficienza, cooperazione e mutualismo. E soprattutto è libera.

Da alcuni giorni questo progetto storico sta pensando a un rinnovamento, occasione offerta da un’apertura proveniente dalle istituzioni locali che hanno intenzione di investire per ridurre l’impronta ecologica del territorio e avviare percorsi di transizione.

Ed è così che Mondeggi bene comune ha pensato di “riprogettarsi”, stando bene attenta a non snaturarsi e non allontanarsi da un modello che da molti anni incarna gli ideali di chi sogna un mondo contadino libero, etico, condiviso e sostenibile. Per saperne di più, abbiamo interpellato la comunità di Mondeggi tramite Susanna, socia da tre anni in percorso attivo. Ma andiamo con ordine.

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MONDEGGI OGGI

Mondeggi è una tenuta alle porte di Firenze di circa 200 ettari all’interno dei quali si trovano sei casali, oliveti, vigneti e terreni seminativi. Per vent’anni è stata completamente abbandonata e da sette anni è stata occupata da una comunità di persone che coltiva quasi la metà dei terreni. «Abbiamo creato una comunità diffusa e un consenso sul territorio custodendo e impedendo la vendita di questo splendido bene comune», racconta Susanna.

«Centinaia di persone ci vengono a trovare e molti collaborano alla cura delle culture, i cui prodotti vengono redistribuiti in modo egualitario. Abbiamo polli e maiali, orti sociali. Facciamo feste, eventi culturali, scuole contadine campi estivi, ospitiamo corsi di circo e tante altre cose belle».

Il fulcro di tutto è il modello di gestione condivisa del bene comune, un modello orizzontale replicabile che ha consentito a Mondeggi di divenire ciò che è ora. «La comunità diffusa che si è creata intorno al recupero di terreni e case si autogoverna tramite il metodo assembleare e il metodo del consenso», spiega Susanna. «Una parte dei vigneti, degli oliveti e degli orti sono gestiti in modo collettivo e il ritorno consiste in prodotti della terra. Altre parti sono gestite da gruppi che oltre all’autoconsumo vendono i prodotti in mercati contadini o direttamente».

La comunità si autofinanzia ospitando eventi di vario tipo e vendendo l’olio di una parte di olivera gestita in modo collettivo. La partecipazione alle attività è spontanea e volontaria. Il ritorno in termini di benessere e di salute che deriva dallo stare insieme è il prodotto più prezioso di questa “occupazione”.

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COSA C’È DA FARE?

Attualmente due dei tre casali che inutilizzati sono completamente da ristrutturare. Gli arredi e cantina compresa e tutte le attrezzature agricole della villa padronale sono stati venduti. Alcuni vigneti non più produttivi e sono da espiantare, mentre rimangono ancora oliveti e seminativi da riavviare alla coltura.

«Non c’è ancora un progetto definito nei particolari – sottolinea Susanna –, ma siamo sempre intenzionati a mantenere i nostri principi di agro-ecologia e condivisione, difendendo la biodiversità e l’ambiente. Potendo avere fondi da investire le idee sono molte: la ristrutturazione degli edifici mantenendo gli aspetti tradizionali attuali, ma rendendoli energicamente autonomi; il recupero dell’acqua con invasi; l’utilizzo della fitodepurazione per gli scarichi; la realizzazione di un ristorante e di sale per attività di formazione, cultura e salute; la realizzazione di laboratori di trasformazione; la costruzione di recinzioni per proteggere le colture dagli animali selvatici».

Oltre ai fondi naturalmente è necessaria una più ampia disponibilità di presenza umana e questa determinerà le scelte o destinazioni produttive.

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L’APPELLO

Finora a Mondeggi tutte le attività sono nate un po’ per volta e ora la fattoria è come un grande puzzle. La comunità ritiene che il metodo di progettazione permaculturale possa riuscire a dare a tutti una visione di intervento sul territorio che tenga conto di potenzialità e fragilità inserendolo nel tessuto storico, sociale, agricolo e ambientale.

Per fare ciò sono naturalmente necessarie competenze specifiche. «Abbiamo per esempio chiesto aiuto e consigli ad Assocanapa, nell’ottica di introdurre la coltivazione della canapa industriale sia per il suo potere di catturare l’anidride carbonica – e quindi contrastare i cambiamenti climatici – che per i suoi molteplici usi. Ci siamo rivolti a esperti di ingegneria energetica per l’uso di energie alternative a quelle di origine fossile, ma abbiamo consultato anche uno studio di fitodepurazione. Abbiamo inoltre bisogno di consulenti economici per studiare la forma giuridica per diventare “legali” senza snaturarci».

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GLI OBIETTIVI

Il primo obiettivo è evitare che l’anima condivisa e aperta di Mondeggi si perda. È questo il timore che attanaglia tutti e si cerca di scongiurare. L’importante ora è restare uniti.

Secondo un’altra attivista di Mondeggi, Marialaura, tutto questo «si può scongiurare salvaguardando la centralità del lavoro contadino e della cultura agro-ecologica. Penso che la peculiarità di questa esperienza sia tutta nell’innovazione che comporta e nella sua unicità, rilevante anche solo per capire cosa significa stabilire un rapporto con il territorio e le sue culture oltre la verticalità che certe economie invece ancora prevedono».

«Al di là di questo, il mio sogno rimane sempre quello di un insieme di fattorie contadine», confessa Susanna. «Immagino una comunità diffusa in movimento e aperta ai cambiamenti. Case energicamente autonome. Un luogo dove ci si riappropria del contatto colla natura, dei ritmi delle stagioni. Dove si può imparare di nuovo a usare testa e mani. Dove non esistono gerarchie».

«Io vorrei che fosse fulcro per tante altre attività  e mantenesse i caratteri originari che hanno avvicinato tante persone e promosso la relazione con modelli ecologici e politici non scontati», interviene Marialaura. «Trovo sia una esperienza tra quelle che danno senso al proprio corpo e allo stare insieme di pari passo con l’economia. Normalmente non è così».

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