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“Povera màtria, schiacciata dagli abusi di potere” di una geografia ufficiale che nei secoli è sempre stata più attenta ad asservirsi alla politica e a piegarsi alla burocrazia che a dare voce ai territori e ai popoli che li abitano. Le màtrie sono quindi un oggetto di studio raro e curioso, a cui si è dedicato negli ultimi tempi Massimo Angelini, filosofo della Terra”, grande conoscitore della cultura rurale e fondatore della casa editrice Pentagora.
Tra i libri pubblicati dalla tua Pentagora troviamo un testo da te curato intitolato Un’Altra Italia. Un libro particolare, che contiene poche pagine scritte in modo tradizionale e si svolge poi tra schede, dati e riferimenti. Ce lo presenti?
Un’Altra Italia ci parla di un Paese che conoscono tutti, ma che ufficialmente non esiste. Mi spiego: la scuola, l’amministrazione pubblica, la politica riconoscono le regioni, le province, i consorzi di comuni, ma ignorano la Maremma, la Carnia, il Siccomario, il Cilento e le centinaia di subregioni, terre identitarie, bioregioni, piccole patrie – ne ho contate e cartografate oltre 500 –, anzi màtrie, come mi è piaciuto nominarle, entro le quali chi ci è nato e ci vive si riconosce.
Il libro è composto da una carta certamente mai vista prima e da oltre 500 schede dove di ciascuna matria si dà la collocazione – non l’esatta definizione geografica, talvolta davvero impossibile da coniare –, i Comuni che totalmente o prevalentemente la compongono, l’origine del nome – quando è nota –, il centro principale – il capoluogo –, una nota sulla lingua locale che vi si parla, spesso anche l’indicazione di un libro che la racconta.
![unaltra italia matrie](https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2021/11/unaltra-italia-matrie-1024x681.jpg)
Cosa ti ha spinto a scriverlo e perché proprio in questa forma?
Ho desiderato restituire un modo vernacolare, popolare, domestico di pensare lo spazio geografico, profondamente diverso da quello ufficiale e burocratico. Se mi permetti un paragone, è stato come contrapporre all’anagrafe ufficiale un’anagrafe popolare composta di soprannomi di famiglia e soprannomi personali: qualcosa che per la gente esiste, che è lessico quotidiano, ma che lo Stato e le sue emanazioni ignorano.
Come si usa e a chi si rivolge?
Il libro e la carta allegata nelle mie intenzioni hanno due destinazioni differenti: il primo è un repertorio di nomi e notizie da consultare, la seconda – la carta arlecchina dell’Italia – è un’immagine da… meditare, una risposta arcobalenica – mai localista, mai escludente – della compresenza di idiomi, spazi e culture che caratterizza la forma locale di questo Paese.
A chi si rivolge? Ai cultori del territorio, agli amanti della cartografia, ai bioregionalisti, a chi pensa che la dimensione di prossimità potrebbe essere una cura “omeopatica” – viste le dimensioni ridotte, talvolta ridottissime, degli spazi – per una sempre più diffusa percezione di spazio inteso come dimensione impersonale, uguale ovunque, virtuale.
Il libro contiene anche una mappa decisamente diversa dalle solite. Quale è stata la più grande difficoltà nel comporla?
La carta parte dal contorno dei 7904 comuni italiani, piano piano ricomposti e riuniti gli uni agli altri per dare figura alle màtrie. È un lavoro pensato per dieci anni e realizzato in nove mesi, grazie a centinaia di contatti epistolari, ma soprattutto telefonici, con i referenti locali. Ma la dimensione e la lungaggine del lavoro rappresentano solo una difficoltà, neppure la più ostica da superare.
Ben più faticoso è stato tentare di circoscrivere terre la cui estensione è contestata, oggetto di polemiche talora secolari e ancora vivissime tra gli eruditi locali. Ti basti pensare alla difficoltà di tentare una definizione non vaga e diffusamente condivisa della Ciociaria, del Pianalto o della Barbagia, per suggerire solo pochi esempi.
![matrie maremma](https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2021/11/matrie-maremma-1024x681.jpg)
In che rapporto si pone questa opera rispetto al movimento bioregionalista?
Il libro ricostruisce un’immagine del territorio nazionale che propriamente non si potrebbe definire bioregionalista, anche se tante terre/matrie sono riconducibili a una dimensione bioregionale. Peraltro, la frequentazione e la conoscenza del movimento bioregionalista mi hanno certamente influenzato e incoraggiato a dare forma a un’idea abbozzata, la prima volta, agli inizi degli anni Ottanta, quando sulla rivista Etnie avevo incontrato una carta dedicata a un altro modo di pensare un’Europa delle regioni descritta su base linguistica.
Hai in mente qualche nuova opera legata a questa tematica?
Non più un’opera legata a un’immagine vernacolare, popolare del territorio nazionale, ma un’altra di sapore ugualmente geografico, però dedicata alle reali dimensioni dei paesi e dei continenti, utile per raccontare ancora una volta la bellissima proiezione di Peters, che restituisce una reale proporzione e confrontabilità tra le aree del mondo, tra il sud e il nord.
Non tutti infatti sanno, per esempio, che la Groenlandia è minuscola in confronto all’Africa, mentre le comuni proiezioni ce la fanno apparire enorme, né che il Congo è grande quasi quanto l’Europa occidentale. Ancora una volta si tratterà di un’immagine non ovvia, non scontata dello spazio geografico, proprio come avviene in Un’altra Italia.
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