5 Nov 2021

La Comunicazione Nonviolenta incontra la Spiritualità del creato

Marshall Rosenberg è stato colui che ha ideato la comunicazione nonviolenta; Matthew Fox è il teologo che ha unito gli studi sulla religione con quelli su scienza ed ecologia, inaugurando la corrente della spiritualità del creato. Luisita Fattori, pedagogista e parte del Direttivo dell'Associazione Spiritualità del Creato, riflette da un punto di vista molto personale su ciò che ha prodotto l'incontro fra questa due menti.

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La Comunicazione nonviolenta ci guida
nel ripensare il modo in cui esprimiamo noi stessi
ed ascoltiamo gli altri.
Invece di limitarsi ad essere reazioni automatiche, abituali,
le nostre parole possono diventare risposte coscienti
basate sulla solida consapevolezza di ciò che percepiamo,
di ciò che sentiamo e di ciò che vogliamo.
Possiamo così esprimere noi stessi con onestà e chiarezza,
allo stesso tempo prestare agli altri un’attenzione rispettosa ed empatica.
Il seme della violenza nel mondo
inizia nel modo in cui ti parlo e mi parlo,
nel modo in cui ti ascolto e mi ascolto.


(M. B. Rosenberg, Le parole sono finestre oppure muri, Ed. Esserci)

Quando otto anni fa lessi questo testo, che è il manuale di introduzione alla Comunicazione Nonviolenta, qualcosa di rigido si sciolse dentro me e qualcosa di morbido e tenero si scaldò e si aprì. Essendo una pedagogista studiai durante tutto il mio lungo viaggio universitario tanti libri di pedagogia, sociologia, antropologia e psicologia, ma non avevo ancora incontrato un testo che unisse teoria e pratica in un modo così vivo e autentico con i tanti racconti ed episodi di vita che Marshall descriveva. Mi sembrava che un nuovo amico fosse entrato nella mia vita con quella sensazione di familiarità e confidenza di quando senti una profonda e antica affinità pur non conoscendoti direttamente.

Le Parole sono Finestre (oppure Muri)
Introduzione alla comunicazione nonviolenta
carrello

Era avvenuto dentro di me qualcosa di molto simile per l’aspetto interiore e spirituale quando incontrai e divorai In principio era la gioia di Matthew Fox. Finalmente potevo respirare aria fresca, vitale e gioiosa anche per la mia ricerca spirituale: molto dentro di me trovava casa. Matthew condivideva il suo profondo sentire e il suo pensiero sulle quattro viae della Spiritualità del creato in un modo così profondo, creativo ed entusiasta, un modo di vivere la spiritualità così collegato alla vita. Rifondava la religione (re ligio = unire di nuovo) non sul concetto di peccato originale, di mancanza ma sulla pienezza, sulla benedizione originaria con tutte le notevoli conseguenze del caso.

Questi due testi per me sono state due rivoluzioni copernicane e hanno parecchi punti in comune: il superamento del dualismo del paradigma giusto/sbagliato, il superamento del meccanismo premio/punizione, educazione basata sulla meraviglia, sulla cooperazione, sull’interdipendenza, sulla forza della vulnerabilità e dell’autenticità, sulla connessione a sé stessi e agli altri attraverso l’ascolto del corpo e il prezioso sentire i nostri sentimenti e i nostri valori/bisogni.

E ancora, coltivare l’empatia e la compassione come presenza a sé stessi, agli altri e al creato, l’innamoramento e la meraviglia verso la vita, la presenza al presente, a quello che è vivo in me e in te, lasciare andare l’idea di perfezione verso “il coraggio dell’imperfezione”, l’integrità e ospitalità cosmica, coltivare l’arte del celebrare, dell’assaporare e la gratitudine come atteggiamenti interiori.

C’è anche tanto spazio dedicato all’amore. L’amore per l’arte come meditazione, come trasformazione sociale e nelle sue varie forme creative, l’amore per l’essere umano e l’appartenenza al creato, l’amore per la poesia, per la parola viva, autentica, collegata alla nostra sorgente interiore. Ma anche l’amore che porta a esercitare e vivere la fiducia, all’educazione alla gioia, al gioco, alla creatività, alla tenerezza e all’umorismo, che ci spinge a dare il benvenuto a tutta la variegata gamma dei sentimenti che possiamo provare come importanti vie e segni della vita che ci abita e come bussole per scoprire i nostri bisogni/valori, ossia la nostra connessione alla Vita.

Ma è centrale anche la relazione. Vivere l’interdipendenza e la comunità come luogo di incontro, di sano conflitto e crescita, saper onorare e celebrare il mourning – il lutto per la perdita di una persona cara, di un progetto o altro –, attenzione a una spiritualità pratica, ecologica e radicata nella vita, aver consapevolezza che paura, senso di colpa e vergogna sono stati usati per secoli (e ancora lo sono in molti ambienti) come strumenti di controllo, manipolazione ed esercizio di potere sugli altri.

rosenberg comunicazione nonviolenta
Marshall Rosenberg

Il potere è di due tipi. Uno è ottenuto dalla e con la paura e con la punizione, l’altro dall’arte dell’amore. Il potere basato sull’amore è milioni di volte più efficace e permane a lungo”, diceva il Mahatma Gandhi. Quest’affermazione di uno dei più grandi maestri della Nonviolenza mi porta a riflettere da anni. Mi sorprendo, mi sento triste e preoccupata quando ancor oggi, nel 2021, ascolto genitori – anche giovani – e insegnanti usare inconsapevolmente questi vecchi meccanismi senza pensare all’effetto che le loro parole possano avere.

Sono colpita quando odo che a un bambino piccolo che non si comporta come vorrebbero i genitori o gli insegnanti vengono rivolte parole come: “sei cattivo”, “non fare così, fai i capricci e non mi vuoi bene o io non ti voglio più bene”, “se non metti a posto non mangi”, “adesso si che sei un bravo bambino e ti meriti un bel gelato”, “i bravi bambini non si arrabbiano”, “dai muoviti! Stiamo tutti aspettando te!”, “ti sembra il modo giusto di fare?”. Dare giudizi moralistici, dare all’altro/a il peso e la responsabilità di come ci sentiamo, analizzare, ricattare, delegittimare le emozioni, dare premi o punizioni. Questi sono tutti modi che portano a fare sentire “sbagliato” un bambino e fornirgli delle ottime basi per crescere “staccato” da sé stesso.

Quest’ultimo concetto può essere bene inteso leggendo queste parole di Arno Gruen sull’autonomia nel testo Il tradimento del sé: “Lo sviluppo umano può seguire due direzioni: quella dell’amore o quella del potere. La via del potere, fondamentale nella maggior parte delle culture, conduce a un sé che rispecchia l’ideologia del dominio. Si tratta di un sé frammentato e diviso, che rifiuta la sofferenza e l’impotenza come segni di debolezza ed esalta il potere e il controllo come mezzi per negare l’impotenza. Il conseguimento di ciò che il nostro mondo classifica come successo presuppone spesso un sé di questa natura. Una situazione come questa è l’antitesi dell’autonomia”.

Autonomia è quello stato di integrazione in cui una persona vive in piena armonia con i propri sentimenti e i propri bisogni/valori. In genere quando pensiamo all’autonomia pensiamo a qualcos’altro, che ha a che fare con l’affermazione della nostra importanza e della nostra indipendenza. Ciò vale soprattutto per quel tipo di sé che, consciamente o inconsciamente, si conforma all’ideologia del dominio. Per questo motivo, quella che in genere definiamo autonomia serve a un concetto di sé basato su astrazioni.

Nonostante la ribellione che da questo sé può scaturire, esso è soltanto un riflesso di quelle caratteristiche limitanti che famiglia, scuola e società hanno impresso dentro di noi. Qui l’autonomia corrisponde alla “libertà” di dover dimostrare a noi stessi e agli altri la nostra forza e la nostra superiorità; che questa “prova” si adegui o si opponga alle norme esistenti non fa differenza. L’importante è il dover dimostrare il nostro valore e ciò porta a un atteggiamento battagliero, molto lontano da quello in cui siamo in grado di affermare la vita. Al contrario, poter accedere a emozioni che affermano la vita, a sensazioni di gioia, stupore, tristezza, dolore, (in breve alle varie sensazioni di essere realmente vivi) è essenziale per lo sviluppo dell’autonomia1.

Un nuovo concetto di forza può nascere: quello dell’autenticità e dell’interezza. Matthew Fox parla di una forza legata alla sensibilità. Un nuovo tipo di forza che non viene dallo sforzo di volontà, dal digrignare i denti, dal cercare l’apparente successo, ma dallo stare a contatto con una forza vulnerabile, la forza di assorbire, di accogliere il buio insieme alla luce, il dolore insieme alla gioia. Tutto può essere vita. È una forza che nasce dalla sensibilità, dall’aprirsi a quel che c’è e fargli spazio… una nuova fonte e un nuovo livello di forza.

In Principio era la Gioia
Original Blessing
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Una forza che deriva anche dalla contemplazione e dal contatto profondo con la natura. Questo tipo di forza mi è familiare anche da quando ho vissuto la malattia e il passaggio di vita dei miei genitori. C’è davvero una forza viva, salda, silenziosa che nasce quando abbiamo e sviluppiamo il coraggio di stare con quello che la vita ci porta a vivere. Per me stare a contatto con la propria e altrui vulnerabilità ha profondamente a che fare con il sacro.

Mi viene in mente una canzone di Miriàm Brichetti:

“Se non stai con quel che c’è, non sei in nessun luogo.
Sta dove sei perché proprio dove tu sei tutto accade.
La crescita avviene, la ferita guarisce, la compassione fiorisce”.

Mi sento molto grata che Rosenberg e Fox abbiano scritto molti testi a cui attingere e che abbiano lavorato – Marshall Rosenberg è partito dalla Terra nel 2015 – e che lavorino molto con insegnanti, educatori/educatrici, genitori, psicologi, pedagogisti, negli ambienti più svariati dalle scuole alle carceri, fino ai luoghi di conflitto.

Molti allievi portano avanti la loro eredità e proprio lavorare nel portare consapevolezza, cura e sostegno a come vengono educate le nuove generazioni è fondamentale e urgente per non proseguire nel trasmettere i meccanismi arcaici e tipici del patriarcato fondato sulla separazione e sul potere sugli altri e sulle altre per giungere alla capacità di vivere il potere con gli altri e le altre.

“La vulnerabilità non è una buona scusa per non generare nulla, proprio come la paura non è una buona scusa per la mancanza di coraggio e la disperazione non è una buona scusa per la mancanza di speranza. La paura produce coraggio, che infatti compare nel bel mezzo della paura. La disperazione produce speranza, che infatti nasce nel profondo della disperazione. E la vulnerabilità produce creatività, che richiede la capacità di essere feriti”.

(Matthew Fox, In principio era la gioia, Fazi editore)

1 – Gruen A., Il tradimento del sé. La paura dell’autonomia nell’uomo e nella donna, Feltrinelli, Milano, 1992 (1986), pp. 15-16

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