Una Casa delle erbe per imparare dalle piante a coesistere e relazionarsi
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Reggio Calabria - Autenticità, relazioni, coesistenza. Sono queste tre parole che tornano spesso nel mio dialogo con Marò D’Agostino – architetto e artista – quando mi parla della Casa delle erbe della Locride, che lei stessa ha ideato e continua tuttora a nutrire. Ma cosa c’entrano questi tre vocaboli con una casa delle erbe? Qual è la relazione fra un luogo immerso nel verde e le persone che lo attraversano?
Andiamo per gradi. La Casa delle erbe di cui stiamo parlando è un luogo che si trova nelle aree interne della Locride, vicino al paese Antonimina e alle pendici dell’Aspromonte. Quando sei lì, in alto vedi le rocce delle montagne, in basso due ruscelli che confluiscono in un fiume e racchiudono l’area. Il verde cresce rigoglioso tutto intorno con sfumature che cambiano in base alle piante, ai fiori e agli alberi.
Questo posto è una casa antica e nuova allo stesso tempo, ma è anche un giardino, un luogo di condivisione e uno spazio per l’arte. «La Casa delle erbe nasce nel 2003, quando ho capito che dovevo dedicarmi a ciò che sentivo come più giusto, e rappresenta oggi il mio manifesto professionale di architetto che si è opposta in tutti i modi al consumo del territorio», racconta Marò, che da anni gestisce la Galleria Arkè di Locri, dove ha ospitato numerose mostre artistiche.
Il suo è un cambiamento nel cambiamento: dopo vent’anni a Roma è tornata a Locri, dove si è dedicata all’arte e alla galleria. E, dopo ancora, è risalita ancora di più verso le origini: quelle dei suoi nonni. «Ho deciso di recuperare questa vecchia casa di famiglia, che era il luogo dove i miei nonni venivano per i lavori legati all’autoproduzione: qui facevano di tutto, dai tessuti con la ginestra ai saponi ai prodotti agricoli».
«Ho rimesso a posto la casa secondo la mia visione di architetto: riusando ciò che già c’era e creando il nuovo sempre in coerenza con il contesto». Al recupero della casa Marò affianca uno studio approfondito delle piante che la abitano: «Ogni pianta che c’è qui è stata studiata e posizionata con profonda cura, ricerca e amore», mi racconta fin dall’ingresso, quando mi spiega che ci troviamo nel “giardino secco”, che si chiama così perché sarà in grado, nel giro di alcuni anni, di alimentarsi in autonomia.
Oltre il giardino secco si scende verso una parte di bosco bagnata dal ruscello e si arriva poi in radure più pianeggianti che fanno da anfiteatro naturale. L’ultima parte è quella attorno alla casa, costellata da alberi di frutto dei tipi più disparati: dagli ulivi mediterranei alla feijoa brasiliana. Ovunque – se ne contano più di cento – ci sono i roseti della casa, che Marò ha disseminato in tutte le aree.
«Questo è quello che io intendo per giardino: un luogo della creatività e della relazione, dove possono abitare piante diverse e coesistere fra loro, pur nelle differenze», mi spiega Marò, aggiungendo che sta portando avanti da anni uno studio sul giardino calabrese e sulle sue specificità. «In questo senso per me è un ecosistema dove anche gli esseri umani possono relazionarsi in questo modo fra di loro, ispirandosi alla natura che li circonda».
Un altro dei punti fondamentali di questo luogo è infatti la creazione di comunità. La Casa delle erbe della Locride non è un luogo chiuso, a sé stante, ma è aperto e attraversato: è un posto in cui si impara dalle piante e dove allo stesso tempo si conosce il territorio, dove si apprende la storia naturale e sociale che ha percorso questi luoghi e si riprendono i fili di una memoria che in molti hanno perso.
In questi anni infatti – sin da quando l’ha inaugurata, nel 2017 – Marò ha organizzato incontri, escursioni sulla montagna, momenti di convivialità e condivisione, come incontri legati alla conoscenza delle erbe e dei loro usi o laboratori didattici per bambini e ragazzi legati all’arte e alla musica. «Non c’è mai l’obiettivo di produrre qualcosa, ma piuttosto di condividere e creare delle relazioni attraverso alcuni saperi e pratiche. Mi ritengo una custode di quelle conoscenze che avevano i miei nonni, con cui sono cresciuta e da cui sono sempre stata affascinata».
È il ritorno a qualcosa di autentico, che «già c’è dentro di noi ma da cui ci hanno separati» e che non è soltanto un sapere teorico o pratico, ma anche una diversa modalità di guardare alla vita e alle relazioni, basate sulla condivisione e su ciò che è necessario.
La Casa delle Erbe stessa rappresenta questa visione: l’essenzialità della casa, la cooperazione fra piante diverse che comunicano fra di loro e accolgono “le straniere”, i ruscelli che scorrono e infrangono una visione lineare del tempo. Il risultato? Una bellezza immanente, che già parla da sé.
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