Pazza Idea: così la comunità psichiatrica mette in pratica la contadinanza
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Alessandria - Il loro simbolo è una lumaca, a dimostrazione che nonostante i diversi tempi di percorrenza tutti possiamo arrivare al traguardo. Loro sono i ragazzi e le ragazze della cooperativa sociale Pazza Idea, progetto che nasce a Novi Ligure e che è diventato un punto di riferimento sul territorio per tutte le persone psicologicamente fragili.
La cooperativa, che affonda le sue radici nell’Associazione Il Tiretto, in questi anni ha rivoluzionato il modo di vedere la riabilitazione psichiatrica trasformandola in un vero “percorso di vita” che permette alle persone, attraverso attività sociali e inclusive, di recuperare quelle funzioni fisiche, psichiche ed emotive compromesse dalla malattia mentale.
Il pregiudizio impedisce ai pazienti psichiatrici l’accesso al mondo del lavoro? Come risposta Il Tiretto nel 2012 ha dato vita al Progetto Pazza Idea, individuando nell’agricoltura sociale la strada più semplice per superarlo. Così sono stati coinvolti giovani ragazzi e ragazze che, tra difficoltà iniziali e grandi risultati, sono stati accompagnati nell’apprendimento del lavoro agricolo e nella ricerca di una sempre maggior autonomia.
La formula è quella del tirocinio settimanale dedicato al lavoro nei campi, messi a disposizione dalla cooperativa: qui, accompagnati da un tutor aziendale, hanno appreso le tecniche per coltivare gli ortaggi come pomodori, insalata o zucchine, hanno imparato a “sporcarsi le mani” e prendersi cura della terra, attraverso attività di orticoltura, frutticoltura, allevamento e vendita.
Il sogno iniziale dell’associazione Tiretto era anche quello di creare un’impresa che fosse economicamente e finanziariamente sostenibile, garantendo, attraverso le attività agricole, benefici di carattere sia sociale che terapeutico-riabilitativo e quindi estremamente utili nei confronti di fasce cosiddette deboli o svantaggiate della popolazione. «I processi terapeutici specifici hanno l’obiettivo e lo scopo di far recuperare alle persone colpite dal disagio mentale quelle funzioni fisiche, psichiche ed emotive che la malattia compromette».
«Noi di questo “Percorso di Vita” desideriamo essere protagonisti. Siamo convinti che l’esito della riabilitazione dipenda in gran parte da come riusciamo ad articolare questo “percorso” che, sempre coniugato con i programmi sanitari, deve iniziare il più precocemente possibile con interventi sociali (casa – lavoro – risocializzazione), per permettere al paziente di eliminare o almeno attenuare il senso di inadeguatezza che vive, di migliorare la qualità della sua vita e eliminare lo spettro della cronicità».
La cooperativa è formata da utenti dei servizi psichiatrici della provincia di Alessandria, dai famigliari, da volontari sensibili al problema e da persone che hanno superato il disagio mentale: uniti per essere un punto di riferimento sul territorio alessandrino per tutte le persone affette da disagio psichico, oltre che per farsi portavoce delle loro esigenze verso le istituzioni politiche, culturali e sociali, creando «lavoro vero e residenzialità con bassissima o nulla assistenza».
Un aspetto significativo del progetto è la presenza di un tutor aziendale che prende in carico i pazienti psichiatrici e li segue per attivare quegli interventi funzionali a un percorso di integrazione lavorativa efficace e personalizzato con l’intento di rendere possibile un inserimento nella cooperativa. Qui la parola d’ordine è: fare. «Fare anche per difendere il significato di altre parole come “casa”, “lavoro”, “solidarietà”, “rispetto”, “responsabilità”, “cura”, “riabilitazione”, “pazzia”, “malattia”, “sogno”, “utopia”, “realtà”, “progetto”, che se ben raccontate possono dare un senso al nostro operare».
In questo vocabolario i volontari della cooperativa hanno anche inserito la parola “maratona”, non intesa come gara olimpica ma come metafora del loro impegno. «Tutti noi, come per i nostri ragazzi, abbiamo le nostre “maratone” da portare a termine e tutte le “maratone” richiedono impegno e fatica».
Proprio per questo la cooperativa vuole intervenire nella parte conclusiva del percorso di riabilitazione con un progetto che non poteva chiamarsi in altro modo che “Pazza Idea”: «C’è un momento in cui alcuni pazienti potranno e dovranno alienarsi dall’istituzione psichiatrica e inserirsi nuovamente nel tessuto sociale di riferimento abbandonando la residenzialità psichiatrica e iniziando a sperimentare una vita abitativa autonoma».
«È evidente che si tratta di un cambiamento radicale che ci farà scontrare inevitabilmente con due difficoltà: lo “stigma esterno” proprio del territorio che è poco propenso a accettare l’ex malato mentale e lo “stigma interno” della persona che è stata colpita dalla patologia e che ha il timore di non essere più capace di prendere decisioni autonomamente senza dover dipendere sempre dagli altri».
Sono i progetti rivolti al sociale, proprio come il lavoro della cooperativa Pazza Idea, a fare davvero la differenza. Perché sono capaci di avviare programmi di riabilitazione il più precocemente possibile, di creare inclusione, forme di socializzazione e di trasmettere forza, trasformando le storie di ognuno in occasioni di ripartenza.
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