8 Ott 2021

Pandora Papers: smascherati centinaia di ricchi evasori – Aspettando Io Non Mi Rassegno #2

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti

Centinaia di persone note e molto ricche tremano per le rivelazioni di un'indagine congiunta sulle evasioni fiscali portata avanti da più di 600 giornalisti provenienti da tutto il mondo. Nella seconda puntata di Aspettando Io non mi rassegno, Andrea Degl'Innocenti ci parla di questo scandalo, ma anche delle elezioni amministrative e di alcune importanti notizie provenienti dal resto del mondo.

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Pandora Papers

È uscita la “Più grande inchiesta collettiva della storia del giornalismo”. Ed è uscita un po’ in sordina, perlomeno in Italia. Si chiama “Pandora Papers” ed è composta da una serie di articoli apparsi in contemporanea, a partire dalle 18.30 di domenica 3 ottobre, su varie testate internazionali. L’argomento? La denuncia di una immensa rete di persone super ricche – politici, attori, vip, sportivi, criminali – che froda il fisco in maniera sistematica appoggiandosi ai paradisi fiscali.

L’inchiesta è durata quasi due anni e ha coinvolto oltre 600 giornalisti di 150 testate internazionali, tra cui l’Espresso in esclusiva per l’Italia. Così la presenta l’Espresso: “Dal Washington Post a Le Monde, dalla Bbc a El Pais, dai siti russi ai quotidiani sudamericani, indiani, australiani e africani, dall’Espresso alle tv svedesi e tedesche, i giornalisti di 117 nazioni diverse si sono impegnati a lavorare insieme, a scambiarsi ogni giorno notizie e documenti, fotografie e contatti, su una piattaforma informatica messa a punto dal consorzio”.

I Pandora Papers – spiega The Guardian – seguono i Panama Papers (2016) e i Paradise Papers (2017), ma mentre i leaks precedenti coinvolgevano una singola fonte di informazione, i documenti attuali provengono da ben 14 società finanziarie e contengono molte più informazioni: oltre 11,9 milioni di documenti fiscali e finanziari, per un totale di circa 2,9 terabyte (TB) di dati.

“L’elenco degli azionisti – continua l’Espresso – schermati dal velo delle società offshore comprende il premier della Repubblica Ceca, il ministro olandese dell’Economia, l’ex capo del governo britannico Tony Blair, il Re di Giordania e presidenti in carica di Paesi come Ucraina, Kenya, Cile, Ecuador. Nella lista spiccano i nomi di molte celebrità dello sport, della moda e dello spettacolo. Ma ci sono anche criminali, ex terroristi, bancarottieri, trafficanti di droga, e boss mafiosi, anche italiani, con i loro tesorieri”. 

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Non mancano le vicende curiose o paradossali, come quella del premier ceco Andrej Babis, che nel 2017 ha vinto le elezioni promettendo di combattere la corruzione e i privilegi delle élite e oggi risulta proprietario, per tramite di una società nelle Isole Vergini Britanniche, di una villa da 22 milioni in Costa Azzurra, mai dichiarata al fisco del suo paese. O quella di Svetlana Krivonogikh, madre di una figlia non riconosciuta da Vladimir Putin che si scopre essere la beneficiaria di una società offshore costituita nel 2003, esattamente un mese dopo la nascita della bambina, che ha comprato per 3 milioni e 600 mila dollari una residenza affacciata sul mare nel Principato di Monaco. E così via. Sono migliaia le personalità coinvolte nello scandalo.

Questa nuova inchiesta, se possibile, desta ancora più scalpore delle precedenti, perché arriva in un momento in cui i paesi di tutto il mondo si arrabattano per tenere in piedi sistemi sanitari sempre più traballanti e sottofinanziati, che oscillano sotto i colpi della pandemia. Mentre migliaia di super ricchi continuano a evadere le tasse che potrebbero tenere in piedi quei sistemi.

Per questo l’eurodeputato Sven Giegold, portavoce per la politica finanziaria ed economica dei Verdi europei, commenta dal suo blog che “le misure politiche prese dopo scandali come i Panama Papers sono insufficienti. Abbiamo bisogno di regole più rigorose che garantiscano la piena trasparenza e un maggiore scambio di informazioni a livello internazionale”. 

Facebook e l’odio online

Di scandalo in scandalo, esce allo scoperto la “talpa” che da mesi soffiava verità scomode su Facebook nelle orecchie dei giornalisti del Wall Street Journal. Si chiama Frances Haugen, ingegnera informatica di 37 anni. Secondo i documenti interni, il social network anteporrebbe i profitti alla salute mentale dei suoi utenti e alimenterebbe il linguaggio d’odio grazie ai propri algoritmi, pur di ottenere maggiori guadagni. 

Facebook è stato più volte accusato di incentivare meccanismi di odio online, ma il colosso di Zuckerberg si è sempre difeso sostenendo di aver speso 13 miliardi di dollari dal 2016 e impiegato 40 mila persone per contrastare il dilagare dell’hate speech. Queste nuove rivelazioni contraddicono platealmente quanto dichiarato pubblicamente da Facebook. 

Elezioni amministrative

Di elezione in elezione, venerdì scorso abbiamo aperto con quelle politiche in Germania, oggi parliamo delle amministrative in vari comuni italiani. Il 3 e 4 ottobre si è votato in oltre mille comuni, fra cui Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Elezioni che in parte fanno da cartina tornasole del clima politico nel nostro paese.

Il primo dato che salta all’occhio, a uno sguardo complessivo, è il tasso altissimo di astenuti. Solo il 54% degli aventi diritto si è recato alle urne. A Roma, Torino, Milano e Napoli ha votato meno del 50% dei cittadini, a Bologna solo il 51%. Praticamente un elettore su due non ha votato. Il fenomeno è stato particolarmente acuto fra le fasce più giovani della popolazione e nelle periferie delle grandi metropoli. 

È sempre difficile interpretare il dato delle astensioni, visto che non ci sono informazioni sui motivi per cui le persone non hanno votato. Alcuni di loro, presumibilmente, non hanno votato perché non si sentono rappresentate e rappresentati dagli attuali partiti e candidati. Altri magari per apatia, disinteresse, chissà quali altri motivi. 

Il dato ci dice comunque molto sul modello democratico attuale. Ha ancora senso affidare le decisioni sul nostro futuro a maggioranze che sono espressione di percentuali residuali della popolazione? In un contesto del genere è opportuno ragionare ancora in termini di maggioranza e minoranza? Il modello attuale è in grado di risolvere gli enormi problemi ecologici, sociali, economici che ci troviamo, come genere umano, ad affrontare?

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Ci siamo occupati spesso di questi temi, sempre più urgenti e attuali. Ad esempio, qui trovate una rassegna dedicata all’esplorazione di modelli democratici diversi. Per chi è interessato all’argomento, proprio in questi giorni (dal 6 al 10 ottobre) si sta tenendo a Torino la Biennale della democrazia che quest’anno si occupa dell’impatto della democrazia sulla crisi ecologica globale. In particolare segnalo il talk di Cristiano Bottone del Movimento della Transizione, che abbiamo contribuito a organizzare come Italia che Cambia, assieme a Crisi Come Opportunità (CCO).

Alla luce di questa riflessione, non stiamo qui a commentare i singoli risultati delle elezioni amministrative. Con una eccezione, che arriva da un piccolissimo comune in Valsusa, Mompantero, luogo simbolo della lotta contro il Tav. Qui Davide Gastaldo con la lista civica No Tav ha vinto – spiega il collettivo Wu Ming di cui Gastaldo ha fatto parte – “sbaragliando un pezzo grosso della politica torinese, Osvaldo Napoli, giunto dalla metropoli in un comune di seicento anime per far vedere che espugnava il covo dei sovversivi”.

Tensioni fra Cina e Taiwan

Torniamo a parlare anche di geopolitica, perché nel weekend scorso la Cina ha spedito 77 aerei militari in due giorni sui cieli di Taiwan. La Cina non è nuova a iniziative di questo genere – veri e propri messaggi intimidatori nel linguaggio della geopolitica – ma la mole di aerei utilizzati in questa incursione non ha precedenti. Cerchiamo di capire come mai.  

Spiega Formiche.net che “la Cina ha intensificato la pressione militare e politica per cercare di costringere Taiwan ad accettare la sovranità cinese”. Inoltre la provocazione cinese, afferma il Sole 24 Ore, avviene “a ridosso della Festa della Repubblica popolare, il 1° ottobre, un simbolismo che non può passare inosservato se si pensa che Pechino considera l’isola una provincia ribelle da riportare all’ovile, con le buone o le cattive”.

La Cina infatti non ha mai riconosciuto l’autonomia rivendicata da Taiwan. Più ambigua la posizione della comunità internazionale, che non riconosce formalmente lo stato di Taiwan, sebbene molti stati (Stati uniti in primis) vi intrattengano relazioni commerciali e “usino” l’isola come pedina per contrastare il crescente potere cinese. 

In quest’ottica, quella cinese sembra non solo un’intimidazione verso Taiwan, ma anche un messaggio chiaro verso gli Usa. In passato il governo cinese ha dichiarato che tali voli servono per proteggere la sovranità del paese e minare la “collusione” tra Taiwan e gli Stati Uniti.

L’incursione è arrivata anche dopo che il 27 settembre la Gran Bretagna ha inviato una nave da guerra attraverso lo stretto di Taiwan (per la prima volta dal 2008). Mossa che, secondo il Guardian, sfida le rivendicazioni di Pechino. L’esercito cinese ha accusato la Gran Bretagna di agire per “intenzioni malvagie per sabotare la pace e la stabilità nello stretto di Taiwan”.

Nel frattempo, continua il Sole 24 Ore, la Cina sta costruendo un aeroporto su una lingua di terra rivendicata nel mare tra le isole Dasha e Xiaosha, al largo della costa a Est della contea di Pingtan. E ha avvisato che se ci saranno truppe americane sull’isola di Taiwan, «le schiacceremo con la forza».

Ne avevamo già parlato, ma i fatti continuano a avvalorare questa ipotesi: la Cina sembra intenzionata a cambiare la sua politica estera. L’impressione – nella mia analisi – è che dopo anni di basso profilo in cui il dragone costruiva la sua potenza economica attraverso le esportazioni cercando di non inimicarsi nessuna delle principali economie del pianeta, oggi una nuova politica economica basata sulla crescita del mercato interno vada a braccetto con una politica estera ben più aggressiva. Fin dove potrà spingersi questa aggressività fin qui solo ostentata? Difficile a dirsi.

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Siccità in America Latina

Mentre i paesi attendono la prossima COP26, il clima non sembra intenzionato ad aspettare che i leader mondiali si mettano d’accordo. Un servizio della BBC mostra la situazione drammatica della siccità in America Latina.

Ampie parti del Sud America stanno affrontando la più grave siccità da quasi un secolo, che mette a rischio uno dei più grandi corsi d’acqua della regione, il sistema idrico del Paraná, su cui fanno affidamento milioni di persone in Brasile, Paraguay e Argentina per l’acqua e l’energia. La ragione – dicono i climatologi – è La Niña, un fenomeno naturale che sconvolge i modelli meteorologici. Ma ci sono anche altri fattori in gioco, come la deforestazione più a nord nella giungla amazzonica.

Premio Nobel per la fisica a Giorgio Parisi

Comprendere i sistemi complessi, dal clima alle società umane, è sempre più importante per il presente e il futuro della nostra specie. Per questo il premio Nobel a Giorgio Parisi, professore ordinario di fisica all’Università La Sapienza di Roma, è un segnale importante. 

Marea nera California 

Intanto in California si teme il disastro ecologico – l’ennesimo! – dopo che un guasto in un oleodotto offshore ha causato una marea nera nel Pacifico, al largo della costa della contea di Orange. Almeno 126mila galloni di petrolio sono fuoriusciti creando una chiazza di petrolio di 13 miglia quadrate, scrive il New York Times, e migliaia di pesci e uccelli morti si stanno arenando in alcune zone. 

Anche per oggi è tutto, noi ci aggiorniamo venerdì prossimo con una nuova puntata di Aspettando Io Non Mi Rassegno. E ricordatevi: chi si rassegna… è perduto!

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