5 Ott 2021

Il nostro viaggio in Ogliastra, alla scoperta dei segreti della terra della lunga vita

Scritto da: Paolo Cignini

Sapevate che gli abitanti del territorio dell’Ogliastra sono fra i più longevi al mondo? Per provare a capire perché, ma anche per esplorare questa fetta di Sardegna affascinante e ricca di tradizioni, il primo e il due ottobre del 2021 Italia che Cambia è stata ospite della tappa sarda del festival I.TA.CA.’ – di cui è media partner ufficiale –, giunto alla sua tredicesima edizione. Ecco il resoconto di questa due giorni, in cui si è discusso di alimentazione, di longevità e del rapporto sempre più stretto tra turismo responsabile e salute.

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Ogliastra - L’essenza del nostro progetto è il viaggio. È nato letteralmente in strada ed è figlio di incontri e di scambi umani per noi importantissimi. Per questo motivo, quando I.TA.CA’ – il Festival del Turismo Responsabile partner storico di Italia che Cambia – e Jean Luc Madinier di Sardinia Fair Travel (vi abbiamo raccontato qui la sua storia), grazie anche a Slow Food Ogliastra e a Agugliastra, ci hanno proposto di venire a dare un’occhiata per capire cosa succedeva nella prima tappa sarda del festival itinerante, che quest’anno è intitolato Diritto di Respirare, non abbiamo potuto dire di no. Anche perché rifiutare un passaggio nella meravigliosa Sardegna è sempre un delitto.

Arriviamo a Lanusei, in Ogliastra, uno dei due comuni che ospita le varie iniziative del Festival. L’altro comune è Jerzu, patria del Cannonau, vino simbolo di questo territorio che dal Gennargentu si tuffa fino al mare abbracciando tutte le essenze di questa isola. Si è da poco concluso l’Incontro Europeo sul Turismo Sostenibile nel Mediterraneo, organizzato dall’European Network for Sustainable Travel, dove alcuni giornalisti e operatori turistici provenienti da tutta Europa hanno discusso sul “valore del viaggio come strumento fondamentale per la trasformazione sociale e il dialogo interculturale, per analizzare sfide e le opportunità che un tipo di turismo sostenibile comporta in una regione come la Sardegna dal punto di vista sociale, ambientale ed economico”.

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Nel pomeriggio assistiamo alla prima conferenza. Nei primi anni del 2000 l’Ogliastra e la Barbagia sono state classificate come due delle Blue Zones. Si tratta di un progetto di ricerca che, dati scientifici alla mano, ha individuato cinque aree nel mondo dove si vive più a lungo e con una qualità della vita alta. Oltre le già citate sarde, le altre sono Icaria (Grecia), Nicoya (Costa Rica), Okinawa (Giappone) e Loma Linda (California, Stati Uniti). Il progetto e il termine Blue Zone è stato ideato da Giovanni Pes, professore di biochimica nutrizionale, scienze dietetiche e scienze e tecniche dietetiche applicate presso l’Università di Sassari, insieme a Michel Poulain. Pes è uno dei relatori della Conferenza “Longevità in Ogliastra e sostenibilità ambientale”.

Ci domandiamo: perché proprio qui le persone vivono più a lungo e meglio? Dipende da fattori genetici oppure esistono anche altre cause? Le tesi sostenute sono molto interessanti: «Dopo aver dedicato dieci anni a verificare la correttezza dei dati demografici raccolti qui in Sardegna, insieme all’antropologo e giornalista scientifico Pierre Guy Stephanopoulos stiamo analizzando ora le possibili cause della longevità qui in Sardegna – ci spiega Pes – e anche se l’indagine è tuttora in corso, possiamo anticiparvi che i fattori genetici incidono solamente per il venti per cento rispetto a tutte le possibili cause».

«Un ruolo importante, nelle ricerche che stiamo conducendo è rappresentato dall’alimentazione», spiega Stephanopoulos. «A tale scopo, stiamo studiando i prodotti alimentari dell’epoca preistorica in questa area della Sardegna. Dalle nostre ricerche è emerso un aspetto sorprendente: l’uomo non era affatto prevalentemente carnivoro, come le immagini più comuni che conosciamo lo rappresentano. Al contrario, era tendenzialmente vegetariano e lo poteva essere anche grazie alla profonda conoscenza delle piante spontanee delle donne sarde, che le usavano anche come metodo di cura».

L’alimentazione assume così un ruolo molto importante: nelle ricerche in corso in Sardegna e durante il convegno emerge quanto un’alimentazione semi-vegetariana sia dimostrata essere la più idonea per il raggiungimento di una sana longevità, con un consumo il più moderato possibile di carne: «Dai nostri studi storici sui centenari sardi, abbiamo scoperto che la carne veniva consumata in media una o massimo due volte al mese, non tutti i giorni», ci spiega Stephanopoulos.

«Di fatto, lo stile di vita dei centenari sardi ha anticipato il concetto contemporaneo di sostenibilità, sostiene Claudia Porcu, dell’Osservatorio sulla Longevità Sardinia Blue Zone. «Mangiavano stagionale, senza l’utilizzo di prodotti chimici. Oltre all’alimentazione, dalla ricerca sono emersi altri fattori che sono fondamentali per una sana longevità: la qualità dell’aria che si respira, delle acque, lo stato di salute del suolo e del sottosuolo che si abita e una sana e costante attività fisica, solo per citare quelli più importanti».

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Stefania Demurtas e Salvatore Marongiu

Durante l’incontro (di cui trovate la video ripresa integrale qui) la scrittrice Gisella Rubiu ha presentato il suo libro “I saggi raccontano. I segreti della longevità per migliorare il mondo”. Il libro, partendo dall’umanità e dalle tradizioni del popolo sardo, vuole tessere e rinsaldare quel legame tra alimentazione, stili di vita e genetica che il convegno ha cercato di delineare: «Approfondendo il segno caratteristico dell’umanità dei sardi, mi sono accorta che uno dei più importanti è proprio la longevità», spiega Gisella. «Dai racconti che ho raccolto emerge come le cause di una vita lunga e serena sono da attribuire a un ambiente sano e pulito, un’alimentazione mediterranea o comunque attenta alla qualità delle materie prime e che pone l’attenzione nel ridurre il più possibile il consumo di carne».

«Secondo me – prosegue Gisella –, considerando che veniamo da una pandemia, non stiamo dando la necessaria attenzione all’alimentazione. È necessario mettere al centro dell’agenda politica la produzione di cibo sano. Bisogna incentivare il ritorno alla terra dei giovani, continuare a lavorarla e a prendersene cura e mi sembra che una buona parte dei giovanissimi siano pronti a recepire questo messaggio. C’è un rapporto inscindibile tra natura, uomo e salute che non può più essere ignorato».

Durante il convegno, alle pareti della sala erano esposte alcune delle fotografie che caratterizzano il progetto DNA100 dell’artista e fotografa Andrea Spina. Andrea, energia pura e autentica, ha realizzato una serie di scatti dei centenari ogliastrini, concentrandosi sul volto e sulle mani dei soggetti. Un progetto iniziato nel 2017 «per dare una connotazione specifica ai centenari sardi» ci spiega l’autrice.

«I loro visi sono segnati da una vita intesa e piena, a me piace entrare nelle loro case, parlarci e provare a rappresentarli al meglio. Sono persone che, apparentemente, hanno vissuto una vita molto semplice, legata al lavoro della terra e al sostentamento degli animali. Ma conservano una fiamma che spesso la nostra società opulenta ha spento: quella della felicità. Tutte e tutti mi hanno raccontato di quanto siano felici della vita che hanno vissuto e questo mi fa riflettere ogni giorno su quanto il turismo responsabile, oggetto di questi incontri, non possa fare a meno dei ritmi lenti e del valore sacro della semplicità e della quotidianità».

Simbolicamente, la mostra si chiude con la fotografia di una bambina, Giulia, che «rappresenta il patrimonio genetico e delle tradizioni che lei raccoglierà dai suoi nonni e tramanderà ai suoi nipoti. È il ponte tra il passato e il futuro, l’emblema di DNA100».

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Tra gli aspetti che favoriscono la longevità, il professor Pes ha parlato anche del vino. Durante il suo intervento Pes ha spiegato come quasi tutti i centenari studiati siano bevitori, moderati, di vino rosso e quanto questo utilizzo responsabile sembri contribuire ad aumentare le aspettative di vita.

Nei vari incontri proposti da I.TA.CA’, essendo l’Ogliastra la patria del Cannonau, non potevano mancare le visite a due aziende del territorio, in questo caso gli Antichi Poderi Jerzu e la Cantina Sa Pruna. Il territorio di Jerzu ha un legame particolare con il vino, essendo buona parte dei sui abitanti produttori dello stesso.

Nel dopoguerra, uno dei più grandi produttori di uva nel territorio era il medico condotto del paese, dottor Miglior Josto, un medico di famiglia di origini venete che aveva sposato la più grande proprietaria terriera di Jerzu. Ragionando sulla frammentazione delle varie attività commerciali che producevano vino, Josto decise insieme ad altri produttori di dare vita alla cantina sociale Antichi Poderi Jerzu. All’atto di fondazione dell’azienda, erano presenti ventinove soci, nei primi anni Cinquanta. Nel 1985 l’azienda contava nel conferimento di 850 soci.

Nel 1983 la produzione toccò la quota di sette milioni e mezzo di litri di vino prodotto, prevalentemente Cannonau.
Oggi l’azienda prosegue la sua attività, con alcune difficoltà legate ai cambiamenti climatici: «In questi tempi avvengono alluvioni e gelate perfino ad aprile e questo per noi rappresenta una novità senza precedenti. Il clima cambia e noi cerchiamo di adattarci a questi cambiamenti posticipando l’inizio delle attività, evitando la germogliatura della pianta ad aprile e magari spostandola di alcuni giorni. Come si fa? Posticipiamo la potatura della pianta. Inoltre cerchiamo di cambiare i sistemi e i tempi di concimazione, sempre orientati al biologico, ma che ritardino anch’essi la germogliatura della pianta».

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Dopo la visita alle aziende si avvicina il momento della nostra partenza. C’è ancora tempo per una intervista, indirettamente collegata al festival, con Salvatore Marongiu e Stefania Demurtas, che in collaborazione con Sardinia Fair Travel) stanno dando vita a una Food Forest finanziata dal contributo dei turisti e dei viaggiatori che visitano la Sardegna: un progetto che vi racconteremo a breve con un video e un articolo dedicati.

«Il festival sta andando bene e siamo molto contenti, c’è una partecipazione importante anche da parte delle persone del luogo alle conferenze e diversi operatori stranieri stanno manifestando interesse nello sviluppare esperienze turistiche qui in Ogliastra», ci racconta Jean Luc Madinier. «Vogliamo assolutamente metterci al lavoro per ripeterlo il prossimo anno, allargando la rete delle imprese che vogliono partecipare, sempre nello spirito di un turismo responsabile e di una promozione del territorio che accompagni cultura, natura e autenticità, per contrastare i cambiamenti climatici».

«In questi giorni abbiamo vendemmiato insieme a persone provenienti da varie parti del mondo, che cantavano in diverse lingue mentre pigiavano insieme l’uva» ci racconta entusiasta una delle organizzatrici del Festival, Francesca Busalla. «Abbiamo inoltre assistito a conferenze molto interessanti, che hanno stimolato un dibattito e una consapevolezza maggiore rispetto ai tantissimi legami che il turismo responsabile può tessere con il territorio. Infine, il coinvolgimento di numerosi operatori turistici europei ci fa ben sperare, già nell’immediato futuro, in una possibile ricaduta diretta di tutte queste attività nell’economia del territorio, che è un altro degli obiettivi specifici del festival I.TA.CA’ da sempre».

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