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Reggio Calabria - È una mattinata insolitamente afosa, l’ultima del mese di settembre, quella che stringe Mimmo Lucano e altri venticinque imputati del processo “Xenia” dentro al Tribunale di Locri, in provincia di Reggio Calabria. Amici, solidali, giornalisti e avvocati: siamo tutti qui per ascoltare la lettura del dispositivo della sentenza di primo grado che arriva dopo quasi tre anni dall’inizio della vicenda giudiziaria di Lucano nel 2018.
Il vociare diffuso si blocca quando i giudici entrano in aula e il presidente del tribunale Fulvio Accurso inizia a snocciolare una dopo l’altra le sentenze: condanne a 3, 4, 5, 8 anni. Per ogni capo d’accusa che viene confermato – o, come in alcuni casi, aumentato – immagino due mani che tirano una corda invisibile, fino a che non arriva il momento di Mimmo Lucano. E quella corda si spezza. La condanna è di 13 anni e 2 mesi di carcere e viene chiesto inoltre il risarcimento di 731mila euro. L’accusa aveva chiesto 7 anni e 11 mesi.
Improvvisamente lo spazio nell’aula sembra restringersi: la sentenza lo occupa tutto con quelle sue parole così ben scandite e sicure di sé, mentre continua la lettura del giudice. Nessuno immaginava un esito del genere, primo fra tutti Domenico Lucano, che una volta fuori dal tribunale ha dichiarato che si aspettava «una formula ampia di assoluzione, e invece ho avuto una sentenza pesantissima», mentre «ho speso la mia vita per gli ideali, immaginando di contribuire al riscatto della mia terra».
I reati che gli vengono contestati sono 16 in totale, fra cui associazione per delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il Tribunale di Locri li ha considerati tutti “avvinti dal vincolo della continuazione” e cioè volti a realizzare il medesimo disegno criminoso. Entro 90 giorni dovranno uscire le motivazioni che hanno portato i giudici a questa scelta.
Quello che noi sappiamo, per ora, è che negli anni in cui è stato sindaco di Riace Domenico Lucano ha costruito un’alternativa per la sua terra. Ha portato avanti un modello di accoglienza diffuso, che ha dato lavoro ad abitanti della zona e che ha favorito l’interazione fra le varie comunità presenti a Riace; ha ideato un sistema di raccolta differenziata dei rifiuti attraverso gli asini, dando lavoro ad una cooperativa di calabresi e immigrati; ha fatto rivivere un paese dell’area interna calabrese, uno dei tanti che ha visto giovani partire per non tornare più. E ha sempre sognato in alto: acqua come bene comune, riscatto degli ultimi, uguali opportunità per tutti, «perché non può esistere giustizia se non c’è uguaglianza sociale», come ha ripetuto più volte nei suoi incontri pubblici.
Negli occhi di chi lo riaccompagna a Riace, dove Mimmo non rimane solo neanche un attimo dopo l’uscita dal tribunale, c’è proprio questa luce: quella di chi ha visto concretizzarsi ideali di solidarietà, riscatto degli ultimi e giustizia sociale in un piccolo paese di Calabria. Per questo molti di loro non esitano a definire questa una sentenza «che certifica la natura politica di questo processo e che non tiene neanche conto dei pronunciamenti di altri organi di giustizia, quali il Tar, il Consiglio di Stato, la Cassazione e il Riesame, che precedentemente avevano demolito l’impianto accusatorio della Procura». Anche gli avvocati difensori Pisapia e Daqua si sono espressi in una nota affermando che «non solo la condanna, ma anche l’entità della pena inflitta a Mimmo Lucano sono totalmente incomprensibili e ingiustificate».
C’è silenzio su a Riace e si parla a bassa voce, si cerca di capire cosa fare. Squillano tanti cellulari e, uno dopo l’altro, arrivano i comunicati di solidarietà. È iniziato un tam tam inarrestabile: associazioni, collettivi, singoli individui si dichiarano solidali con Mimmo Lucano e città di tutta Italia annunciano presidi per la giornata di sabato. Anche Riace farà la sua parte: l’appuntamento è per le 16.00 al Villaggio Globale, luogo simbolo da cui è partito tutto. «Mimmo, tu sei la soluzione, non il problema!», gli aveva detto una donna appena fuori dal tribunale. Oggi, a ribadirlo, non ci sarà solo lei.
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