Pat Patfoort incontra Extinction Rebellion: la lotta per il cambiamento deve essere nonviolenta
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Cos’hanno in comune nonviolenza e lotta ai cambiamenti climatici? Molto più di quanto non possa sembrare a prima vista. Ed è per questo che due nomi in prima linea in ciascuno di questi due campi – Pat Patfoort ed Extinction Rebellion – si incontreranno a giorni per confrontarsi, contaminarsi reciprocamente e unire le forze per portare avanti le lotte comuni.
Lo scopo? Condividere esperienze e necessità di approfondire gli strumenti della resistenza nonviolenta, traendo spunti utili dai movimenti storici. Sarà importante riflettere su come l’attitudine personale alla nonviolenza influisce nelle azioni di protesta e sul benessere degli attivisti.
Ma andiamo con ordine. La storia di Extinction Rebellion è ormai nota e anche sulle nostre pagine ne abbiamo parlato diverse volte, dando spazio alle iniziative del movimento nato per fare pressione sui Governi al fine di bloccare la sesta estinzione di massa e il collasso della società e per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla crisi ambientale e sui cambiamenti climatici. Il modus operandi di Extinction Rebellion è fondato sulla disobbedienza civile nonviolenta di massa e su principi che pongono un equilibrio tra imperativo morale (efficacia) e coerenza etica.
Ed è qui che entra in gioco Pat Patfoort. La formatrice belga è infatti una delle maggiori teoriche viventi della nonviolenza e ha sviluppato un metodo adottato in molti paesi del mondo per la gestione dei conflitti (MmE), dal livello interpersonale alle negoziazioni tra paesi in guerra.
«Nessuna cultura è totalmente nonviolenta, trovi sempre degli elementi di Maggiore – minore e di Equivalenza», spiega Pat facendo riferimento al modello che lei stessa ha elaborato. «Penso inoltre che non si debba confrontare le differenti culture perché, così facendo, ci si presta al modello Maggiore – minore. Tuttavia mi rendo conto che nella cultura occidentale si trova enormemente il modello Maggiore – minore. Il sentimento di superiorità, la fatica di ammettere quando si fanno gli errori, la mancanza di fiducia in se stessi che è alla base di queste difficoltà; ma questa non è la colpa dell’occidentale».
Pat Patfoort ha partecipato negli anni ’80 a diversi training con il Pastore Harky Klinefelter, former press officer di Martin Luther King. Negli stessi anni ha preso parte ad azioni contro siti militari nel suo paese che utilizzavano armi nucleari. In questa lotta si occupava di verificare che gli accordi con le autorità venissero rispettati e che non ci fosse violenza. Era nel servizio d’ordine di grandi manifestazioni con centinaia di migliaia di persone.
«La brutalizzazione oggi non coinvolge solo i mezzi di comunicazione – prosegue Pat Patfoort –, ma è anche nel modo proprio di parlare. Ad esempio i giovani tra di loro si dicono delle cose incredibili, ma è ancora più incredibile quello che i genitori dicono ai propri figli. Li insultano senza nemmeno pensare a quello che dicono. Se vuoi arrivare al modello dell’Equivalenza – uno dei punti del metodo MmE – ci sono tanti vocaboli da eliminare; non è sufficiente non usarli, non devono nemmeno essere pensati».
Sul piano dell’Equivalenza si possono trovare soluzioni che evitano la violenza e possono soddisfare i nostri “fondamenti”: «Non si deve credere che qualcuno sia un imbecille, un incapace. In Equivalenza tutto ciò non esiste. Ad esempio al posto d’incapace si potrebbe dire “ho l’impressione che tu non riesca a fare questo…”, ed è normale, ognuno di noi ha delle cose che non sa fare. Bisognerebbe essere capaci di vedere le qualità e i limiti di una persona evitando di giudicare o di etichettare. Noi invece abbiamo la tendenza a fare il contrario», sostiene Pat Patfoort.
Ma quale potrebbe essere lo spazio che la nonviolenza trova nella metodologia di Extinction Rebellion? Il movimento riconosce il valore strategico delle tecniche di resistenza nonviolenta introdotte da Gandhi e poi perfezionate, nel contesto della cultura occidentale, da Martin Luther King. Queste tecniche hanno portato a grandi risultati nel novecento, purtroppo poco documentati dalla storiografia “ufficiale”. Nello stesso tempo gli attivisti cercano di portare all’interno dell’organizzazione e nei momenti di protesta un atteggiamento rigenerativo che utilizzi la comunicazione nonviolenta.
Usare anche gli strumenti del metodo MmE di Pat Patfoort aiuta a distinguere gli elementi che contribuiscono ad aumentare la violenza del sistema tossico in cui viviamo. La comunicazione è solo una parte di questo processo che va verso la profondità della relazione. Migliorare la consapevolezza nei conflitti e gestirli in modo costruttivo, riconoscendo e rispettando i valori e le credenze delle persone che abbiamo di fronte, ci aiuta a incanalare la rabbia (giusta indignazione) nei confronti di un sistema che ci opprime e che ci sta portando al collasso ecologico e sociale. Inoltre, ci aiuta a sfruttare quel sentimento per sostenere la crescita della forza interiore, per unirci e per rafforzare le nostre convinzioni e proposte.
Per chi vuole approfondire e mettere in pratica queste idee, l’appuntamento con XR e Pat Patfoort è quindi fissato per giovedì 9 settembre dalle ore 17.30 alle ore 21 circa alle Baracche Verdi, in via degli aceri 1 a Firenze (c/o la Piccola Scuola di Pace). Alla fine ci sarà la possibilità di rimanere per una cena condivisa (ognuno porta qualcosa).
L’incontro inizierà con un racconto di Annaluisa Leonardi L’Abate, sulle battaglie nonviolente della fine anni ’70 contro il nucleare civile in Maremma e degli anni ’80 a Comiso (RG) contro i missili a testata nucleare. La partecipazione è gratuita e ci sarà un servizio di traduzione. Causa misure anti-Covid la prenotazione è molto consigliata entro domenica 5. In caso fosse necessario riunirsi all’interno della struttura verrà richiesto il Green Pass.
Per info: Irene L’Abate – irenelabate64@gmail.com e Daniele Quattrocchi – daniele.quattrocchi@gmail.com.
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