28 Set 2021

Il cambiamento è già nei nostri mari: un anno di “Mare Caldo”

Scritto da: Redazione

Il riscaldamento globale sta causando un rapido aumento delle temperature del mare con serie conseguenze anche sugli ecosistemi marini italiani. Il progetto “Mare Caldo” di Greenpeace, in collaborazione con il DiSTAV (Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita) dell’Università di Genova, ha riportato alcuni dati che testimoniano l’attuale situazione dei nostri mari.

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Genova - Un anno di “Mare Caldo”. Così Greenpeace denuncia gli effetti dei cambiamenti climatici che stanno portando a un cambiamento delle temperature dei mari, ma anche alla morte di alcune specie chiave e dell’invasione di altre che meglio si adattano a un mare sempre più caldo, con una grave perdita di biodiversità. 

Mare Caldo è anche il nome del progetto che l’associazione ha avviato in sinergia con i ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DiSTAV) dell’Università di Genova: i dati analizzati per il primo anno di progetto, provenienti dalle stazioni situate presso l’Area Marina Protetta di Portofino in Liguria, l’Isola d’Elba in Toscana e quella del Plemmirio in Sicilia, evidenziano come da Sud a Nord vi siano dei cambiamenti in atto legati all’aumento delle temperature che stanno fortemente modificando gli equilibri dei nostri mari.

Mare Caldo
Foto di Hermanshyah tratta da Unsplash

Le osservazioni satellitari mostrano che negli ultimi quarant’anni si è verificato un aumento costante e significativo delle temperature superficiali del mare, con un incremento di ben 1,7-1,8°C a Portofino e all’Isola d’Elba. In queste due aree, tramite sensori posti in mare fino a quaranta metri di profondità, il progetto “Mare Caldo” ha rilevato come il calore superficiale si traferisca lungo tutta la colonna d’acqua: l’estate scorsa, in giugno e in agosto, due ondate di calore hanno causato un aumento repentino delle temperature, arrivate a 20°C perfino a 20-25 metri di profondità.

Il riscaldamento del mare non avviene però senza conseguenze. In tutte le aree di studio sono stati osservati chiari fenomeni di mortalità su colonie animali e organismi vegetali, riconducibili all’effetto dell’aumento delle temperature. Le gorgonie sono tra le specie più sensibili: all’isola d’Elba tra il 20 e il 30 per cento delle colonie monitorate di gorgonie bianche (Eunicella singularis) e gialle (Eunicella cavolini) presentava segni di necrosi, con una loro significativa diminuzione nei primi 20 metri di profondità in tutte le aree oggetto di studio. L’aumento della temperatura sta inoltre mettendo a rischio la biodiversità locale favorendo l’espansione di specie aliene, come l’alga Caulerpa cylindracea, a scapito delle specie native, e l’insediamento di specie termofile un tempo confinate a latitudini inferiori. All’Elba le specie termofile rappresentano ormai il 13 per cento delle specie della comunità di scogliera e al Plemmirio il 19 per cento, con specie come il pesce pappagallo (Sparisoma cretense) o il vermocane(Hermodice carunculata) in continuo aumento.

Mare caldo1
Foto di ELG21 tratta da Pixabay

«I dati raccolti evidenziano come da sud a nord siano in atto dei cambiamenti, spesso irreversibili, legati al riscaldamento del mare, anche in profondità, che stanno fortemente modificando la biodiversità dei nostri mari. Ci auguriamo che gli studi in corso attraverso il monitoraggio delle temperature e degli impatti sugli organismi bentonici in varie aree dei nostri mari servano a sviluppare le conoscenze necessarie per fronteggiare le attuali sfide ambientali», ha dichiarato Monica Montefalcone, responsabile del progetto “Mare Caldo” per il DiSTAV dell’Università di Genova.

Il progetto “Mare caldo” è iniziato a fine 2019 con una stazione pilota installata da Greenpeace nel mare dell’Isola d’Elba e già durante il primo anno di ricerca ha visto l’adesione di quattro AMP: Portofino, in Liguria; Plemmirio, in Sicilia; Capo Carbonara e Tavolara-Punta Coda Cavallo in Sardegna. Negli ultimi mesi si sono aggiunte l’AMP di Torre Guaceto, in Puglia; Miramare in Friuli-Venezia-Giulia; Isola dell’Asinara in Sardegna e Isole di Ventotene e Santo Stefano, nel Lazio. Oggi sono dunque nove le aree di studio comprese nella rete di monitoraggio, di cui otto sono aree marine protette.

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Foto tratta da Greenpeace

Dai monitoraggi è emerso inoltre come aree virtualmente prive di pressioni antropiche locali, come l’Isola di Pianosa, mostrino ambienti costieri molto più eterogenei e minori impatti dell’aumento delle temperature, mostrando che gli ecosistemi marini protetti possono fronteggiare meglio i cambiamenti in atto.

«L’ecosistema marino, già sotto pressione, è messo ancora più a rischio dalla crisi climatica. Se da un lato sono urgenti azioni coordinate e globali per tagliare le emissioni di gas serra, dall’altro sono fondamentali investimenti per rafforzare e ampliare la rete di aree marine protette: solo tutelando le aree più sensibili potremo permettere ai nostri mari di adattarsi a un cambiamento che è già in atto», ha concluso Giorgia Monti, responsabile della campagna mare di Greenpeace.

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