9 Set 2021

Elena e il Disturbo dello Spettro Fetale Alcolico: “La mia battaglia per capirmi ed essere capita”

Scritto da: Elena Rasia

Si stima che in Italia siano più di 25000 i bambini che soffrono delle conseguenze dell’esposizione all’alcol nel grembo materno. La nostra Elena è una di loro. Oggi, nella giornata di sensibilizzazione su questa malattia, ci racconta il suo percorso, le difficoltà che ha incontrato in un contesto sociale impreparato a prendersi cura di chi ne soffre e la speranza derivata dalla consapevolezza di non essere sola.

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“È svogliata”, “sono tutte scuse”, “potrebbe dare molto di più se solo si impegnasse”, “è viziata perché l’avete adottata”. Sono tutte frasi che si sono sentiti dire i miei genitori adottivi e che mi sono sentita dire io nel corso degli anni, da quando ho iniziato ad andare a scuola, a incontrare medici, specialisti e tutte le persone che, da quando sono nata, mi hanno seguita. Sono tutte frasi che mi hanno fatta sempre soffrire e che mi fanno soffrire tuttora.

Sono nata prematura al quinto mese all’ospedale Maggiore di Bologna: mia mamma era tossicodipendente e alla nascita ho avuto un’emorragia che mi ha causato una paralisi cerebrale. Sono stata adottata quando ero piccola e, sin da quel momento, hanno iniziato a vedersi le mie difficoltà, che vanno oltre quelle motorie – non cammino perché non ho equilibrio –: ero sempre molto arrabbiata, urlavo spesso, avevo difficoltà a ricordarmi le cose, non riuscivo a rimanere concentrata molto a lungo, non riuscivo a capire una cosa se uno me la diceva solo a voce perché la dovevo vedere, motivo per il quale ho sempre avuto difficoltà nei compiti scolastici.

Elena Disturbo dello Spettro Fetale Alcolico 2

Erano situazioni che, giorno dopo giorno, non mi facevano stare per niente serena. Dentro di me ho sempre creduto che le mie difficoltà andassero oltre il livello fisico, anche perché frequentando bambini e ragazzi con disabilità diverse ho sempre avuto modo di notare le differenze con me, a eccezione delle persone più gravi, che magari stavano fuori dall’aula scolastica. Ma io non mi sentivo gravissima e non riuscivo a capire da dove venissero tutti questi problemi e, soprattutto, perché capitassero tutti insieme.

Ho iniziato a farmi un’idea quando ho saputo che la mia mamma naturale faceva uso di droghe e alcol in gravidanza, com’era scritto nel mio certificato di nascita. Senza conoscere altre storie simili alla mia, ho iniziato a pensare che se un bambino nasceva da una mamma con questi problemi doveva nascere per forza con qualcosa che non andava.

Negli anni io e i miei genitori abbiamo sempre combattuto affinché si capisse che le mie difficoltà non erano legate solo alla carrozzina, ma non siamo mai stati creduti, né dalla scuola né dalle altre persone con cui avevamo a che fare, e questo solo perché non avevamo un pezzo di carta che lo dimostrasse.

Ad esempio, alle scuole superiori ero in classe con altre due ragazze con disabilità in apparenza più gravi delle mie, che però facevano molta meno fatica di me nelle attività scolastiche. Io dopo nemmeno un’ora di lezione ero costretta a uscire dall’aula perché perdevo la concentrazione oppure non riuscivo a prendere appunti – o ascoltavo o scrivevo – o ancora non riuscivo nelle interrogazioni perché non avevo memoria. Queste cose che non capitavano ad altri ragazzi con disabilità, se non a quelli molto gravi. Tutto ciò mi ha sempre fatto sentire fuori posto.

Parlavo bene – ho incominciato a farlo da molto piccola – e scrivevo bene: perché allora tutta questa fatica? A lungo non ho mai trovato una risposta, fino a quando, qualche anno fa, mi sono imbattuta su Facebook nella storia di Claudio Diaz e di Aidefad.

Claudio è il presidente di Aidefad, l’Associazione Italiana Disordini da Esposizione Fetale ad Alcol e/o Droghe, ed è stato adottato anche lui quando era molto piccolo. Come me, ha sempre ricercato cosa non andasse nei suoi comportamenti perché aveva delle difficoltà che non venivano comprese, se non etichettandole nel modo sbagliato. Ha iniziato a fare ricerche sulle proprie origini e ha scoperto che la sua mamma faceva uso di sostanze stupefacenti in gravidanza.

Elena Disturbo dello Spettro Fetale Alcolico 1

Ecco che, leggendo questo racconto, mi sono illuminata: “Claudio mi assomiglia – mi sono detta –, la sua storia mi ricorda tanto la mia!”. Così ho deciso di contattarlo e lui, una sera di due anni fa, mi ha chiamata e ha iniziato a parlarmi di sé, della sua storia e di quella dell’associazione. E io ho iniziato raccontargli di me.

Aidefad è nata il 9 settembre di tre anni fa: allora, come oggi, era la giornata internazionale della consapevolezza FASD, il Disturbo dello Spettro Fetale Alcolico. L’associazione si occupa di supportare e sostenere tutte quelle persone o famiglie, per la maggior parte adottive, che vivono i disordini da esposizione ad alcol e droghe (Defad).

I Defad sono disturbi del neurosviluppo. Quando una donna in gravidanza beve alcol, fuma o si droga, anche il suo bambino lo fa con lei. In Italia non sono ancora molto conosciuti né presi in considerazione come in altre parti del mondo e l’associazione lavora proprio per questo, per far sì che chi vive questa disabilità possa riconoscersi, non sentirsi più invisibile o non capito, e che riesca a trovare il giusto percorso di cura.

Da quando ho conosciuto Claudio e sono socia di Aidefad ho sentito una liberazione, perché tutte le difficoltà che mi hanno fatto soffrire per anni hanno trovato una risposta. Settembre è il mese dedicato alla consapevolezza FASD e oggi, 9 settembre, è la giornata internazionale su questo tema. Io spero che se ne parli sempre di più: come diciamo sempre infatti, +conosci + proteggi + vivi.

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