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Roma, Lazio - Dopo un percorso di studio e di lavoro che l’ha portata dall’economia aziendale al marketing online, dalla programmazione di app all’incubazione d’impresa, nel 2018 Chiara, un po’ stanca dell’innovazione prettamente digitale, apre un hemp-shop nella capitale, a San Lorenzo, la zona dove vive: Zia Maria.
«Sono partita solo due dipendenti part-time, ero piccina – ricorda – ma felice di fare impresa grazie a una pianta dalle mille opportunità. Vivo un po’ di innovazione anche oggi, ma di stampo diverso: ha a che fare con la natura, con le piante, con l’economia reale. Ho scelto di provare a investire in me stessa e in quella che credo essere tutt’ora, nonostante le mille difficoltà, una grande opportunità per il nostro paese: la canapa».
Come sta proseguendo il tuo percorso di studio e di crescita professionale?
Mi sono iscritta di nuovo all’università: frequento la triennale di scienze farmaceutiche applicate per diventare erborista. Il mio sogno è creare e vendere prodotti innovativi, a partire dalle piante. Non so se mai ci riuscirò, ma intanto la strada l’ho intrapresa. Bisogna essere preparati per coltivare e ancor più forse per trasformare e vendere la canapa. Non solo per sentirsi inattaccabili nella giungla normativa che subiamo come nessun altro settore in questo paese, ma anche per essere all’altezza delle domande dei clienti.
I fiori rappresentano per quasi tutti i negozi la maggior parte del fatturato. Il fiore di canapa, praticamente privo di principio attivo stupefacente, ma dalle interessanti qualità fisiologiche, in Italia non è normato per il consumo umano a differenza di tanti altri paesi anche europei che lo classificano come alimento o integratore alimentare (tisana) o al limite come “novel food” (nel caso di cibi con aggiunta di cbd).
Chi sono le persone che frequentano il tuo negozio?
Sin dall’apertura l’età media dei miei clienti è over 30, ma ho anche tanti clienti over 50 e 60. Faccio le spedizioni ad alcuni affezionati che si sono trasferiti in un’altra regione e a volte fanno il passaparola. In negozio ho anche la cosmetica bio e cruelty free a base di olio di canapa e altre piante, i superfood e gli integratori alimentari vegetali, accessori e merchandising. Con il Covid mi è parso che l’attenzione alla natura, la voglia di tornare agli spazi aperti e alla terra, di farsi l’orto anche solo in balcone, sia esplosa. Ho aggiunto quindi tutta la parte grow e giardinaggio; per esempio ho i terricci specifici per i vari i tipi i piante: grasse, orchidee, orto, acidofile, agrumi eccetera. Oltre che, naturalmente, fertilizzanti e ammendanti organici e minerali.
Come ti promuovi?
È difficile nel mio settore, non si possono fare pubblicità a pagamento su google e sui social. A dire il vero non ho nemmeno ancora il mio sito: ho un po’ di ansia da prestazione venendo dal mondo delle startup. A parte gli scherzi le vendite sono buone: uso instagram, senza fare ads a pagamento. E poi c’è sempre il passaparola e mi promuovo magari moderando alcune iniziative come il 420 HempFest di Milano nel 2019 o alcuni incontri online.
Come va l’attività di coltivatrice?
Il primo anno è stato davvero duro, non abbiamo inserito automazioni di alcun tipo, non conoscevamo ancora il luogo e l’impianto. Abbiamo coltivato in vaso, non avevamo ancora fatto le analisi del terreno. Quest’anno le stiamo facendo, ma abbiamo già visto che ci sono tanti lombrichi a soli 20 centimetri di profondità: a occhio sembra essere un ottimo terreno vivo! Mi divido con un’altra azienda una serra di cui occupo solo il 25%, ma il mio sogno è mettere a punto un piccolo laboratorio per la prima trasformazione e la coltivazione indoor in ambiente protetto, magari non occupandomi solo di canapa, ma anche di aromatiche e officinali.
Come vedi il futuro degli agricoltori e dei commercianti di canapa?
Il mercato della canapa industriale oggi in Italia è più efficiente: si stanno riducendo i distributori, la filiera si accorcia, ci sono sempre meno passaggi dalla produzione al cliente. From Farm to Fork è uno dei titoli della nuova strategia europea, speriamo di rientrarci prima o poi. Il mercato potrà finalmente mostrare le sue potenzialità quando in Italia il fiore sarà normato anche per uso umano. Non essendolo, non sono ancora arrivati i grandi colossi che sono presenti altrove. Arriveranno anche investimenti italiani ed esteri. I piccoli imprenditori come me potranno restare in vita se sapranno offrire qualità, magari innovare. Se avranno la possibilità di creare una filiera corta, quindi praticare la vendita diretta o con pochi passaggi, come per esempio già accade con le piccole cantine italiane d’eccellenza.
Essere parte di una comunità ti aiuta, in particolar modo a destreggiarti in ambito legale?
Conosco Canapa Sativa Italia dagli albori, devo al gruppo facebook omonimo tutte le nozioni e le basi iniziali necessarie per avviare l’attività. Mi sono resa conto che anziché destinare tempo alla botanica, dovevo studiare molto molto bene la legge! CSI mi ha dato tante informazioni preziose di cui avevo bisogno, oltre che darmi un luogo dove informarmi su ciò che accadeva alla canapa e alla cannabis nel resto del mondo. Mi sono resa conto col tempo che è fondamentale partecipare ad un’associazione di settore, soprattutto se lavori in un ambito giovane e incerto come il nostro: non solo per informarti, ma anche per difenderti dai preconcetti e quindi particolari interpretazioni della legge.
Come valuti la situazione italiana?
Rivesto di nuovo i panni della piccola imprenditrice: agricoltori e negozianti hanno necessità di certezza normativa oggi. Si tratta di aziende che hanno già investito, anche piccole imprese familiari che dopo la legge 242 del 2016 hanno scommesso su questa pianta. Mentre ormai in moltissime parti del mondo si sta normando la cannabis ad alto tenore di THC, in Italia si fa ancora la guerra a malati come Walter de Benedetto o al fiore di canapa, che praticamente non ha principio attivo. In Sardegna è stata diramata una circolare molto restrittiva e – a parere di CSI – non legittima.
Bisogna capire che, al di là della politica, parliamo di scienza e di lavoro: si tratta di un settore che in Italia si è creato praticamente da solo, che non chiede aiuti economici, solo certezza normativa. Parliamo di tanti giovani, perché il nostro è un comparto con un’età media molto bassa. Con l’avvento della legge 242 del 2016 e grazie al mercato con le sue richieste, negli ultimi 4/5 anni gli operatori hanno acquisito tanto know-how. Siamo italiani, ci piace scoprire, inventare, innovare.
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