La storia di Carlotta: dall’amore per la natura alla nudge theory e all’economia circolare
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Un percorso di studio e di vita che lega le prime uscite con gli scout nella natura dietro casa a un progetto di consapevolizzazione dei consumatori, l’amore per l’ambiente e il rispetto per chi lo tutela con la nudge theory – per chi non sapesse cos’è dopo ne parleremo in modo più approfondito.
Attraverso il racconto di Carlotta Bergamelli, ricercatrice che collabora con il progetto SUSFLO – di cui abbiamo parlato pochi giorni fa in questo articolo – parliamo di alcuni aspetti variegati e apparentemente distanti che però riconducono tutti alla grande idea di sostenibilità.
Ti puoi presentare?
Mi chiamo Carlotta e sono nata e cresciuta in un paesino nella provincia di Bergamo. Ricordo fin da piccola di essere stata sempre a contatto con la natura. A otto anni ho iniziato a frequentare il gruppo scout della mia zona: questo mi ha formato molto al rispetto e amore nei confronti del territorio e della natura. Il motto degli scout è “Lascia sempre il posto in cui vai migliore di come lo hai trovato”. Credo che sia nata proprio da qui la mia passione per l’ambiente e la sua salvaguardia.
Spesso durante le uscite fatte nei fine settimana incontravamo persone del mestiere: ricordo una guardia forestale che ci ha portati per due giorni in giro in lungo e largo per i terreni facenti parte del Parco dei Colli di Bergamo a osservare le peculiarità naturalistiche che lo caratterizzano e per cui esso è nato (ci sono più di 126 specie di orchidee selvatiche nei boschi del parco). Ed è proprio qui che circa dieci anni dopo ho svolto il mio tirocinio di laurea triennale. Questo è stato il primo passo che mi ha permesso effettivamente di avvicinarmi ad un ambito specifico del mondo agricolo.
Di cosa ti sei occupata durante il tirocinio?
Il mio lavoro consisteva nello studio delle figure presenti nel Parco che collaborano per mantenere il territorio integro e per la sua promozione: impiegati, guardie forestali e aziende agricole. Conoscere tutti gli aspetti e gli attori che costituiscono questo ente mi ha permesso di comprendere la sua importanza, sia per quanto riguarda la salvaguardia della natura in tutte le sue forme, sia come figura promozionale e di supporto per le aziende agricole.
Hai continuato a seguire questo filone anche nel prosieguo degli studi?
Sono stata molto fortunata anche per quanto riguarda la mia tesi magistrale perché ho potuto continuare il percorso iniziato in triennale: ho avuto la possibilità di approfondire il legame tra istituzioni e aziende agricole presenti in territori particolari. In questo caso mi sono spostata in Valle Camonica. La Valle Camonica è una delle valli più ampie e antiche della Lombardia orientale, con una lunghezza di circa 100 km e una superficie poco superiore di 1270 km2.
Si tratta di un’area svantaggiata, così come definita dal PSR 2014-2020 della Regione Lombardia, caratterizzata prevalentemente da territori boscati e ambienti semi-naturali, con una straordinaria ricchezza naturalistica e paesaggistica oltre alla presenza di numerose aree protette. In questo luogo particolare, la presenza di aziende agricole risulta importante per la salvaguardia dell’ambiente, la conservazione e il mantenimento di beni naturali presenti oltre che per la diffusione e la valorizzazione delle risorse della valle.
Qual è stato l’oggetto della tua testi?
Il lavoro di tesi è stato svolto a partire da una collaborazione tra il CREA-PB, responsabile del Working Package 5 del progetto “Il Biodistretto come modello di policy per lo sviluppo sostenibile”, e l’Università degli studi di Milano.
Puoi raccontarci nel dettaglio cos’è e cosa fa un biodistretto?
Il biodistretto è un ente nato per diffondere il metodo biologico e supportare le piccole aziende agricole, ma oggi ha assunto diverse funzioni anche nella valorizzazione ambientale e nel supporto dello sviluppo locale territoriale. Lo scopo della mia tesi è stato quello di analizzare le caratteristiche del Biodistretto della Valcamonica e l’impatto della sua adozione sulla soddisfazione degli agricoltori e sulla sostenibilità dell’agricoltura biologica di montagna.
In che modo sei poi entrata in contatto con il mondo dell’economia circolare e, in particolare, con il progetto SUSFLO?
In seguito alla laurea mi si è aperta una nuova possibilità nel mondo accademico: quella di studiare realtà presenti nel territorio e impegnate a livello di sostenibilità ambientale grazie al progetto SUSFLO-Sustainable Flowers. Questo progetto coinvolge diversi enti e organizzazioni Fondazione Minoprio, Distretto Florovivaistico Alto-Lombardo e i centri vivaistici Agricola Home & Garden, Idealverde, Viridea Garden Center, Flover Garden, Azienda floricola Donetti dislocati in Lombardia, oltre ovviamente all’Università degli studi di Milano, nella figura della Dott.ssa Chiara Mazzocchi.
Il progetto SUSFLO-Sustainable Flowers vuole spingere per un cambiamento del comportamento di acquisto del consumatore attraverso l’applicazione e la valutazione delle tecniche di comunicazione della nudge theory, proponendo un nuovo packaging compostabile venduto nei garden e, parallelamente, spingere il consumatore al recupero e riutilizzo delle confezioni in plastica dei prodotti tradizionali.
Che cos’è la nudge theory?
È un concetto che, nel campo dell’economia comportamentale e della filosofia politica, sostiene che “stuzzicando”, ”pungolando” con messaggi positivi il consumatore questi possa assumere comportamenti virtuosi. Nel nostro caso riguardo la riduzione dell’acquisto di vasi in plastica e l’aumento del loro riutilizzo.
Com’è strutturato il percorso?
Nel dettaglio il progetto si divide in tre fasi: la prima prevede che attraverso cartellonistica “nudge” sul punto vendita si promuova l’acquisto di un ECOPOT, cioè un vaso completamente biodegradabile nel terreno. Questa fase è basata sulla comunicazione diretta ai consumatori legata al richiamo delle norme sociali, al senso di appartenenza ad una comunità virtuosa, che permettono il miglioramento dell’ambiente.
La seconda si basa su un altro pannello associato a un bin, che vuole stimolare il consumatore alla riconsegna di vasi in plastica acquistati precedentemente con all’interno piantine di basilico, prodotte appositamente per il progetto. In questo caso la comunicazione si basa sulla fornitura di informazioni relative al consumo di vasi in plastica e promossa dal claim: vuoto a rendere.
La terza fase si avvale della tecnica dei Choice Experiments: raccoglieremo interviste agli acquirenti dei garden che partecipano al progetto. Il questionario sarà incentrato sulla predisposizione del consumatore a rinunciare al vaso in plastica, anche a costo dell’aumento di prezzo del prodotto di acquisto.
A che punto siete adesso?
In questo momento ci troviamo nel pieno della seconda fase del programma. Già da ora posso dire di aver imparato moltissime cose nuove, sia a livello pratico di partecipazione a un progetto multi-ente e quindi di gestione e organizzazione delle fasi, sia a livello accademico/teorico riguardo l’utilizzo di particolari software e tecniche di raccolta e analisi dei dati.
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