26 Ago 2021

Educazione ambientale a 2650 metri di altitudine: benvenuti al rifugio Pagarì!

Scritto da: Valentina D'Amora

In Valle Gesso, su un piccolo promontorio roccioso, sorge un rifugio gestito da un uomo che ha deciso di ridurre il più possibile l'impatto della propria struttura. Oggi il Rifugio Pagarì fa scuola ed è un modello di educazione ambientale per gli escursionisti e gli studenti della zona.

Salva nei preferiti

Cuneo - Ci troviamo in valle Gesso, tra le Alpi Marittime. Salendo da San Giacomo d’Entracque, ci si avvia lungo un cammino di circa quattro ore che attraversa pascoli di camosci e stambecchi e affianca cascate, ruscelli e torrenti e dopo un primo tratto più dolce entra progressivamente in ambienti sempre più rocciosi e selvaggi.

Proprio quando la montagna si fa più severa, incastonato in una conca rocciosa, aspra ma ricca di fascino, si incontra il rifugio Pagarì, gestito da un uomo pragmatico e dotato di una profonda sensibilità ambientale. E anche se la gestione di un rifugio in alta quota non può essere interamente a impatto zero, Aladar fa di tutto per ridurre al massimo le emissioni della sua attività.

Ho deciso di intervistarlo per farmi raccontare i principi della sua gestione sostenibile, che riesce a mettere in pratica anche a 2650 metri di altitudine.

Aladar, parlaci del rifugio Pagarì e dell’approccio ecologico che lo contraddistingue.

Il rifugio non è sempre stato gestito così. Ho iniziato questo lavoro nel 1992 e per i primi anni questa esperienza è stata soprattutto legata alla mia sfera personale. Poi però è successo qualcosa. Se ci riflettiamo, i cambiamenti più importanti della nostra vita sono accaduti perché ci si è accesa una fiammella dentro il petto: se la ascoltiamo, quella fiammella nel tempo si trasforma poi in un fuoco ardente che non si può più fermare. 

Rifugio Pagari ridim
Cima della Maledia

Qual è stata la tua fiammella?

La sensibilità in ambito ambientale che mi ha portato a una consapevolezza a tutto tondo, attirando a sé tante altre cose. Si inizia dai prodotti ecologici per le pulizie e per l’igiene personale, passando per gli ingredienti dei piatti che cucino e si arriva al trattamento delle acque reflue. Pensando e scegliendo con cura tutte le materie prime, prevalentemente biologiche, che propongo per i pasti in rifugio, ho spostato poi l’attenzione sullo zucchero e sul cacao e ho realizzato che non potevo servire dolci preparati con un cacao che deriva dallo sfruttamento del lavoro minorile. Non avrei mai scelto prodotti di marchi che pagano talmente poco i braccianti da costringere i loro figli a lavorare, negando loro l’accesso all’istruzione. Questo è, a mio parere, ciò che fa la differenza tra chi ha un vero interesse e chi invece va avanti senza farsi domande.

Nel rifugio cerchi di tradurre questa tua sensibilità in un’attenzione a 360°, che va dall’ecologico all’equosolidale?

Sì, ho iniziato ad analizzare dati e informarmi da fonti autorevoli sull’impatto ambientale di una struttura come la mia. Desideravo che un ente terzo certificasse quello che stavo facendo e il mio impegno in ambito ambientale, così ho deciso di richiedere la certificazione eco-label e l’ho ottenuta nel 2007. Cerco anche di diminuire gli imballaggi dei prodotti che acquistiamo, preferendo confezioni da servizi catering, come farine e pasta da 5/10 kg. 

E l’energia?

Dopo la scelta dei prodotti per la pulizia, ho puntato l’attenzione sulle energie rinnovabili: ho installato una microturbina idraulica e ho creato un grosso parco di impianti fotovoltaici che sopperiscono a tutti i bisogni quotidiani del rifugio, dalle docce calde alle lavatrici e lavastoviglie. Ho trovato poi un sistema che mi consentisse un buon smaltimento delle acque reflue, con suddivisione tra le acque bianche della cucina e quelle nere dei servizi, che finiscono nella fossa imhoff, nutrita di batteri appositi affinché lavori al meglio. A fine stagione filtriamo il prodotto finale e dalle analisi chimiche dei liquami i risultati sono altamente al di sotto della soglia consentita. 

Aladar cucina
Aladar in cucina – Rifugio Pagarì

Come arrivano i rifornimenti in rifugio?

Per quanto riguarda il trasporto in loco dei materiali, dopo aver sperimentato altri mezzi, utilizzo l’elicottero. Consuma carburante, ma cerco ottimizzare il servizio, riempiendo il mezzo fino all’orlo. Inoltre lo prendo in condivisione con altri soggetti, ammortizzando quell’inquinamento tra più persone. 

Chi viene nel tuo rifugio è consapevole del tuo approccio?

Ho da subito cominciato a spiegare ai miei ospiti quello che facevo e perché, così il rifugio è diventato anche una scuola e un modello di educazione ambientale. Allo scopo di portare avanti una sensibilizzazione “in alta quota”, l’ente parco delle Alpi Marittime ha allestito qui un percorso didattico a pannelli fotografici sui cambiamenti climatici in atto in questo territorio. Perché i ghiacciai stanno recedendo? Quale vegetazione sta crescendo in quota in ambienti dove non era mai vissuta prima? Comunichiamo così, anche attraverso le immagini, i principi dell’educazione ambientale a tutti coloro che si avvicinano a questi luoghi. 

E il birrificio?

Dal 2007 ho dato vita a un microbirrificio in rifugio. A inizio stagione, prima dell’apertura, produco il numero di bottiglie necessario al fabbisogno stagionale. Fondamentale è quantificare bene e non sovrastimare il consumo, poiché le rigide temperature invernali farebbero esplodere le birre eventualmente rimaste invendute. Da quando ho imparato a fare la birra per me, ho trovato carino somministrarla anche agli ospiti e dopo aver accuratamente studiato l’iter per ottenere licenza della somministrazione della birra, sono riuscito a dare vita alla “birra pagarina”, che si può bere solo qui, in quota.

Porti la tua esperienza nelle scuole: cosa racconti ai ragazzi?

Mi contattano insegnanti di scuole medie o superiori, prevalentemente nella zona del cuneese. Il taglio degli incontri è sempre molto pratico: racconto di come gestisco la struttura e della mia attenzione all’ambiente. Parliamo anche di cosa si può fare a casa per iniziare a ridurre il proprio impatto. Uno “starter kit” alla portata di tutti per una quotidianità più sostenibile. Qualche esempio? Non far partire una lavastoviglie semi-vuota, sostituire lampadine a led e ridurre o magari eliminare l’uso del motorino e questo è un tasto sensibile, soprattutto per i ragazzi più grandi.

Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento

Articoli simili
Il turismo outdoor? Se non è davvero sostenibile non può esistere
Il turismo outdoor? Se non è davvero sostenibile non può esistere

Cammini e sentieri: ecco come custodire e valorizzare un tesoro lungo 150mila chilometri
Cammini e sentieri: ecco come custodire e valorizzare un tesoro lungo 150mila chilometri

Paolo Signorelli: le piante raccontano la storia dell’umanità
Paolo Signorelli: le piante raccontano la storia dell’umanità

Mappa

Newsletter

Visione2040

Mi piace

Il boom dei fast food e la fine dell’identità – INMR Sardegna #58

|

Smartphone, pc, elettrodomestici: ripararli è possibile con “The Restart Project” – Soluscions #4

|

Terapie psichedeliche: una soluzione ancestrale ai disturbi mentali?

|

Il futuro del vino tra crisi climatica e innovazione

|

Dalla crisi ecologica alla disumanizzazione delle guerre, l’amore è la risposta

|

Lo storyteller dell’acqua Zach Weiss e il nuovo paradigma per mitigare clima, siccità e alluvioni

|

Tyrrhenian Link: “La nostra lotta continua oltre lo sgombero del presidio degli ulivi”

|

Luana Cotena e il suo concetto rivoluzionario di capo d’abbigliamento

string(8) "piemonte"