25 Ago 2021

Mariana: “La mia vita di educatrice al servizio di infanzia e disabilità”

Scritto da: Elena Rasia

Educatori ed educatrici che lavorano nel campo della disabilità sono professionisti come tutti gli altri, ciò che li cambia è l'esperienza di vita e relazionale che vivono. Ne è convinta Mariana Berardinetti, educatrice professionale socio pedagogica e, fra le altre cose, promotrice di un'iniziativa a sostegno delle persone affette da autismo e delle loro famiglie.

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Pisa, Toscana - «Preferisco il sorriso di un bambino che aver milioni in tasca». Mariana Berardinetti – “Dotty” per i piccoli pazienti che segue – è l’ideatrice di Bollino Blu. Si tratta di un segnale ufficiale per garantire, durante gli acquisti, un’attenzione specifica alle famiglie di persone con autismo e alle persone con autismo stesse.

Mariana è anche una consulente pedagogica familiare e un’educatrice professionale socio pedagogica. Ha 37 anni, è pugliese d’origine e vive a Pisa, la città che le ha dato i natali professionali, «ma quando ho bisogno di rigenerare cuore e anima – racconta – mi rifugio a Castelmauro, un piccolo paese del Molise, dove sto scrivendo il mio primo saggio sull’autismo intitolato “Guardare oltre lo spettro”».

Nella vita Mariana ha dedicato tantissimo tempo allo studio e tra un esame e l’ altro è diventata mamma per ben quattro volte e anche educatrice professionale socio pedagogica. «Ho iniziato approfondendo i miei studi e poi, attraverso il master in psicopatologia dell’età evolutiva, il master in gestione dei comportamenti dei disturbi dello spettro autistico e dei disturbi oppositivo provocatori, mi sono specializzata nella gestione delle disabilità intellettive-sensoriali e cognitive diventando Terapista Aba – Tecnico del comportamento».

mariana berardinetti disabilita 3

Come ti sei avvicinata “all’altra parte del mondo” – come la definisci tu – e a che età?

Ho conosciuto la disabilità sin da bambina: la mia compagna di banco alle elementari era autistica e con lei avevo un rapporto meraviglioso, non l’ho mai dimenticata. A 14 anni ho iniziato il mio primo percorso di volontariato per una piccola associazione del mio paese, dove inizialmente mi occupavo di anziani malati di Alzheimer. Qui ho scoperto la vulnerabilità della mente umana e ho imparato a far diventare il mio tocco “invisibile”, apprendendo anche che l’empatia è alla base di ogni relazione.

Com’è proseguito il tuo percorso di volontariato e professionale?

Questa esperienza mi ha spinta a continuare il volontariato e così mi sono spostata a svolgere questa attività all’interno di una basilica, dove mi occupavo dell’accoglienza e dell’accompagnamento delle persone affette da ogni genere di disabilità durante il loro momento di preghiera. Quel silenzio mi ha aperto la mente e ho imparato ad ascoltare con gli occhi. Poi sono approdata in università e ho svolto il mio primo tirocinio a sostegno delle neo mamme tossicodipendenti. Ho imparato che non c’è distanza se si ama. Il tirocinio è proseguito nel reparto di neuropsichiatria infantile e infine in quello di igiene, dove mi sono ritrovata a contatto con moltissimi bambini di circa 18 mesi con “sospetto spettro autistico”.

Il tuo approccio alla vita è cambiato dopo le tante esperienze professionali che vivi?

Le mie giornate sono scandite da tanti impegni lavorativi. Mi occupo di autismo, ma anche di coppie di genitori in difficoltà nel loro ruolo, di donne o uomini con fragilità, passo da un campo all’altro dell’educazione abbracciando tutto quello che è “l’altra faccia del mondo” e questo modifica ogni giorno la mia vita. Ringrazio le persone che seguo perché mi regalano la possibilità di sostenerle, perché si fidano e si affidano, perché ogni volta che superiamo insieme un ostacolo o raggiungiamo un obiettivo, “vinciamo”. Per rispondere alla tua domanda sì, il mio approccio alla vita cambia ogni giorno e ogni giorno le esperienze che vivo trasversalmente mi fanno comprendere quanto sia grande il privilegio che ho a godere di tanta fiducia.

mariana berardinetti disabilita 2

Nel 2021 ci sono ancora molte persone che non riescono a dare un ruolo preciso alle figure educative. Cosa significa per te essere un’educatrice? Come racconteresti questa professione?

Essere educatrice vuol dire essere una professionista che si occupa di educazione. Il nostro mandato ha un inizio e non ha una fine. L’educatore è colui che “tira fuori” il meglio dagli altri e che esercita l’arte della maieutica. In Italia è una figura spesso scambiata per assistente sociale, benefattore o altro, ma la verità è che noi siamo professionisti che si formano e studiano come tutti, poi sono le esperienze umane alle quali veniamo esposti che ci mettono nella condizione di divenire empatici, accoglienti, sorridenti, pronti ad accarezzare, ma anche a rimproverare. L’educatore è colui che prende la vita dell’utente e la rimette nelle sue mani.

Parlaci dei tuoi progetti futuri.

Il mio futuro vorrei investirlo a combattere ancora e ancora per i diritti delle persone con disabilità e di tutti i bambini del mondo e proprio per questo sono diventata volontaria Unicef. Sogno di creare un grande girotondo globale in cui le voci dei bambini di ogni razza e colore gridino “grazie” alle persone per aver garantito loro uguaglianza. Un sogno che forse ha solo remote possibilità di avverarsi, ma voglio crederci lo stesso. Sogno anche di esportare il Bollino Blu in tutta Italia, mantenendo integro il principio educativo per il quale l’ho ideato e sperando che non venga mai contaminato da speculazioni.

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