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Io, me, me stesso/a. Di solito il termine “ego” viene associato a una caratteristica negativa nell’essere umano, come un nucleo duro di egoismo, di freddezza e di manipolazione. Ci riferiamo all’ego quando accusiamo qualcuno di essere “egocentrico”, “egoico” o “al centro dell’universo” o quando constatiamo che una persona con cui ci interfacciamo ha un “ego smisurato”.
In realtà l’ego rappresenta la nostra individualità: il suo principale scopo è quello di salvaguardare il nostro essere e tenerlo lontano da ogni potenziale pericolo. Possiamo definirlo una costruzione mentale della realtà che ci creiamo per proteggerci dal dolore e dal “non senso”.
Come ci spiega Marie Noelle Urech, la costruzione dell’ego, pezzo dopo pezzo, inizia negli anni più teneri della nostra infanzia. Partecipano le credenze, i diktat della famiglia nella quale cresciamo, le regole imposte dalla società, dalla religione e dall’ambiente. «Tutto ciò contribuisce a creare una immagine di sé e del mondo con la quale ci identifichiamo totalmente e genera anche molto dolore e senso di separazione se gli permettiamo di prendere il totale controllo del nostro essere», spiega Urech.
Come ci viene raccontato, l’ego non va combattuto né demonizzato. «È parte di noi e ha anche una funzionalità indispensabile per la nostra sopravvivenza. La cosa più importante è riuscire a vederlo all’opera, esserne testimoni, accettarlo per poi… prenderne le distanze».
Marie Noelle Urech parla di “ammaestrare l’ego” e ci indica alcune fondamentali tappe che ci permettono di accantonare l’idea di eliminarlo, quanto piuttosto di accettarlo consapevolmente. «La prima tappa è rendersene conto; la seconda è l’accettazione; la terza è la disidentificazione, per indirizzare le sue energie a un livello superiore. In questo livello non c’è più separazione o dolore, ma un profondo senso di connessione con la vita. In questo caso trasformiamo l’ego in un alleato, come ci insegnano le migliori tradizioni sciamaniche».
Quello dell’ego sarà uno dei temi centrali su cui verterà la formazione per diventare Facilitatori con il metodo CCMS – Connessioni corpo, mente, spirito guidato da Marie Noelle Urech in associazione con Viriditas di Viterbo, che studia e divulga nuovi approcci che uniscono la medicina orientale con la psicologia umanistica e transpersonale. Come vi abbiamo raccontato in un precedente articolo, il corso si svolgerà per 12 weekend distribuiti nella durata di un anno e, indirizzandosi a un gruppo di futuri facilitatori, affronterà un ampio ventaglio di tematiche: migliorare la consapevolezza di sé e l’ascolto e approfondire tecniche comunicative, energetiche e abilità relazionali, per trovare applicazioni in un vasto campo, dal personale al sociale, dal sanitario all’aziendale.
Il percorso formativo, approfondito in questo articolo, sarà strutturato in tre tappe: migliorare la consapevolezza di sé e la presenza nella propria realtà relazionale (famiglia d’origine, famiglia attuale) estendendole a tutta la sfera relazionale in generale; fare poi pratica su noi stessi e sugli altri e infine, sotto supervisione, applicare le conoscenze apprese su persone esterne. Durante la formazione CCMS impariamo, ad esempio, a riconoscere i vari giochi dell’ego, per trasformarlo in alleato.
“Per cambiare il mondo, cambia te stesso” disse Gandhi. Come ci spiega Marie Noelle Urech, cambiare noi stessi non vuole dire diventare diversi di ciò che siamo, ma capovolgere la percezione che abbiamo di noi, accettandoci senza riserve, imparando a conoscere e riconoscere il nostro ego, aumentando la nostra consapevolezza. «La Formazione CCMS nasce con l’intento ambizioso di riportare gli esseri umani a quello che sono profondamente e non a quello che sono diventati o vogliono diventare. Chi ha già seguito la formazione ha avuto la conferma di quanto i cambiamenti positivi avvenuti nelle loro relazioni, nelle famiglie, nelle loro comunità siano stati resi possibili grazie alla loro trasformazione personale. Per questo il motto della formazione CCMS è “conosci te stesso per creare un mondo più bello”».
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