Siamo alla frutta: la natura non è una catena di montaggio!
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È proprio il caso di dirlo: siamo alla frutta! Nel senso che stiamo raschiando il fondo del barile di un modello produttivo e distributivo innaturale, studiato per sfruttare le risorse e generare lauti guadagni per pochi, scaricando sul resto del mondo le esternalità negative.
Ma siamo alla frutta anche nel senso che è il momento di parlare di frutta e verdura e di come vengono “trattate” dalla grande distribuzione, che è fra i principali responsabili delle oltre 5 milioni di tonnellate di cibo buttato ogni anno nel nostro paese, per un valore economico che supera i 10 miliardi di euro.
Francesco Paniè dell’associazione Terra! ci racconta della campagna lanciata dalla sua associazione e battezzata emblematicamente “Siamo alla frutta“. Appunto.
Cosa chiedete al ministero con la vostra petizione?
Attraverso “Siamo alla frutta” chiediamo l’adesione delle aziende agricole per dimostrare al Governo – in particolare al Ministro dell’Agricoltura – che gli agricoltori sono stanchi di dover rispettare la richiesta assurda della grande distribuzione, che vuole solo frutti perfetti, grandi e lucidi. La natura non è una catena di montaggio, i suoi prodotti sono diversi fra loro, ma non per questo la qualità di un frutto più piccolo è inferiore.
Quali sono a tuo avviso gli effetti più gravi, sia dal punto di vista economico che da quello ambientale, delle politiche commerciali della GDO?
I supermercati oggi assorbono quasi tre quarti dei nostri acquisti alimentari. Quindi rappresentano uno sbocco sul mercato quasi obbligato per tanti agricoltori. Il problema è che – lo abbiamo dimostrato in passato – spesso la grande distribuzione tende a comprare i prodotti dalla parte agricola tirando sul prezzo in maniera esasperata e costringendo i produttori a svendere piuttosto che perdere un canale commerciale importante. Oltre agli sconti fuori contratto, alle aste al doppio ribasso e a tante altre pratiche sleali, abbiamo da poco scoperto quanto incide la mania di voler acquistare solo frutti esteticamente perfetti.
Cosa dice la normativa in merito?
I grandi marchi della GDO si basano su rigide regole europee che classificano alcuni tipi di frutta e verdura in base alle dimensioni, alla colorazione e ai “difetti”. Queste regole dividono i prodotti in due grandi gruppi: le categorie Extra e I e poi la categoria II. Quest’ultima comprende i cosiddetti prodotti di “seconda scelta”, perché più piccoli e meno omogenei, ma non c’è nessuna prova che non siano ugualmente buoni. In un momento in cui la crisi climatica colpisce duramente le coltivazioni rendendo sempre più arduo produrre frutta perfetta, riteniamo che queste regole non dovrebbero essere applicate con una simile rigidità. Per questo con “Siamo alla frutta” chiediamo agli agricoltori di unirsi a noi per scrivere al governo.
Come valuti le iniziative di valorizzazione dei prodotti che presentano difetti estetici (come la campagna “Brutti ma buoni”) o di recupero del cibo in scadenza (ad esempio i Last Minute Market o l’app Too Goo To Go)?
Sono sicuramente attività che, nel sistema dissipativo e inefficiente che abbiamo costruito, servono a limitare i danni, a stimolare la solidarietà e a sensibilizzare i consumatori. Tuttavia, secondo noi è fondamentale superare il livello delle buone pratiche per agire anche sulle norme e le politiche che regolano il sistema alimentare.
Ritieni che sia importante modificare la normativa in materia, oggi tarata sull’agroindustria, in modo che tuteli di più la piccola agricoltura di sussistenza?
Non solo è importante, ma è fondamentale e urgente riformare in profondità l’intero sistema alimentare, dalla produzione alla distribuzione. Il settore agricolo, non solo in Italia, è oggi il più esposto al cambiamento climatico, ma ne è anche una causa scatenante. Più la produzione si intensifica, più la filiera si allunga, più dipende dalla chimica e dalle grandi imprese, più la situazione peggiorerà. Potremmo invece rendere l’agricoltura alleata del clima rilocalizzando produzioni e consumi, ancorando le diete alla stagionalità delle produzioni e riducendo l’attività dell’industria alimentare.
Per ottenere questa profonda trasformazione, però, abbiamo bisogno di cambiare le norme italiane ed europee che promuovono un’agricoltura insostenibile, oltre che spostare grandi flussi di denaro verso l’agroecologia. Ci aspetta una lunga battaglia, ma speriamo che i primi alleati in questo percorso siano proprio gli agricoltori. La campagna “Siamo alla frutta” è un primo, importante passo.
Potrebbe esistere a tuo avviso un modello di produzione e distribuzione capace di rendere il comparto agroalimentare davvero sostenibile, anche su larga scala?
Non è semplice da immaginare: di solito le grandi produzioni sono geneticamente omogenee, privilegiano la standardizzazione alla biodiversità, devono ricorrere alla chimica per mantenere alta la produttività e per difendersi da erbe infestanti e insetti. Questo è il tipo di agricoltura che generalmente viene incanalato nella grande distribuzione. Tuttavia c’è anche il biologico, che cresce da anni e spesso viene adottato da grandi aziende. Sicuramente con queste tecniche si guadagna in sostenibilità ecologica, ma non si attua fino in fondo quella trasformazione del sistema alimentare di cui parlavamo prima.
Oltre a “Siamo alla frutta”, quali sono le iniziative in cui è impegnata in questo momento Terra!?
Ci stiamo battendo per una riforma della PAC, la politica agricola comune dell’Unione europea, cercando di renderla più equa ed ecologica. Fino a ora hanno prevalso gli interessi dell’agroindustria, che purtroppo hanno una forte influenza sulle istituzioni nazionali e internazionali. Tuttavia l’alleanza che abbiamo costruito con i movimenti per il clima e le altre organizzazioni ambientaliste ci fa sperare che nel tempo sarà possibile ottenere il cambiamento di cui abbiamo urgente bisogno.
Oltre al lavoro di pressione e sensibilizzazione, abbiamo alcuni progetti che ci rendono orgogliosi. Abbiamo avviato una cooperativa agricola sociale di comunità a Lampedusa, l’Agricola Mpidusa, che sta vendendo i suoi prodotti coltivati nel rispetto dell’ambiente rivitalizzando un territorio in desertificazione. Anche la nostra Orchestra dei Braccianti ha ripreso le attività, con alcuni concerti nei prossimi giorni. L’orchestra riunisce musicisti, contadini e lavoratori di varie nazionalità uniti dal legame con l’agricoltura. Tramite le sue performance, l’Orchestra vuole sensibilizzare il pubblico sui temi del caporalato e dello sfruttamento lavorativo, oltre che offrire a donne e uomini, italiani e stranieri, una via di uscita da condizioni di indigenza e precarietà.
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