Sensuability: per uscire vivi, gioiosi e gaudenti dalla morsa dei tabù – Amore Che Cambia #18
Seguici su:
Roma, Lazio - Con il camper arriviamo a Roma, nella mia Roma. Ci accolgono scrosci di pioggia estiva (monsoni direi ormai) e l’emozione di visitare da giornalista la città in cui sono cresciuto. Parcheggiamo il camper in un punto imprecisato di Roma Nord e cominciamo una lunga giornata sui mezzi per realizzare tre video-interviste in tre diversi quartieri della capitale (una vera e propria impresa).
È ormai pomeriggio inoltrato quando arriviamo a casa di Amanda Salvucci e prima di iniziare l’intervista dal vivo ci riguardiamo il cortometraggio che ha realizzato con la sua associazione Nessuno tocchi Mario.
Il corto è ironico, brillante, spiazzante e in pochi minuti mette in luce l’ottusità umana e gli stereotipi che sono costretti a sopportare le persone affette da qualche disabilità. Guardandolo si stenta a credere che le esperienze riportate con tanta ironia siano davvero accadute alla protagonista… e invece, scopriremo poco dopo che sono tutte vere.
Stiamo per scendere dal camper e io tentenno. Mi piace ritenermi un giornalista e una persona consapevole, matura e aperta, ma come tutti ho dei lati ombra, delle debolezze, delle paure, delle goffaggini. Devo ammettere con profonda vergogna che prima di conoscere Armanda mi sentivo un po’ a disagio: non sapevo bene come mi sarei dovuto comportare, come non far pesare le sue “problematiche”, come muovermi nello spazio accanto a lei.
Ribadisco, è una cosa sciocca e goffa, ma visto quanto lei ci ha poi raccontato ho deciso di mettere in piazza la mia fragilità, perché questo è quello che Armanda mi ha poi trasmesso: non trattare le persone con qualche disabilità come una lampada da cristallo, timorosi di romperla o pronti a inneggiarla. «Siate voi stessi e relazionatevi con noi per quello che siamo».
E in effetti Armanda è una persona magnifica, simpatica, ironica, diretta. Amo quel modo romano che ha di riceverci e dopo pochi secondi io e Paolo siamo nel suo giardino ad allestire il “set” per la ripresa. Il mio disagio completamente dimenticato. Lei ci raggiunge, posa le stampelle, si siede e inizia l’intervista mentre i suoi cani cercano incessantemente la nostra attenzione.
Sensuability: per uscire vivi, gioiosi e gaudenti dalla morsa dei tabù
Partiamo dall’inizio, dal suo progetto – Sensuability –, dalla sua storia. Dopo pochi minuti che la ascolto ho completamente dimenticato le mie paure. Non solo: la sua “diversità” è scomparsa e io mi diverto, empatizzo, mi arrabbio, apprendo. Ho voglia di lavorare con lei.
Ma partiamo dall’inizio e veniamo finalmente al progetto di oggi: Sensuability – ci racconta Armanda – nasce nel 2016 «per contrastare e abbattere gli stereotipi su sessualità e disabilità. La sessualità è stato il tema portante di tutta la mia vita, ma l’episodio che ha fatto traboccare il vaso e mi ha spinto ad agire è stato il casting di un regista che ha dichiarato che cercava “un nano che facesse tenerezza”. Sono andata su tutte le furie – e come me molte persone che hanno disabilità –, perché questa rappresentazione rafforza lo stereotipo principale che vogliamo combattere: le persone con disabilità devono fare tenerezza».
Armanda decide quindi di agire in prima persona e di costruire un diverso immaginario su sessualità e disabili partendo da sé stessa, dalla sua esperienza, dal suo corpo e facendo tutto ciò attraverso l’ironia. «Mi sono detta: decido io che rappresentazione devo dare di me stessa. Abbiamo quindi realizzato il cortometraggio, che attraverso un linguaggio leggero abbatte una serie di tabù e in cui si assiste ad alcuni episodi reali della mia vita accompagnati però da una possibile risposta spiritosa e dalla mia successiva rivalsa».
«Abbiamo scelto l’ironia perché l’ironia avvicina. Se io ti faccio pesare chi sono tu ti allontani. Vogliamo alleggerire una situazione complessa. Io non prendo in giro qualcuno, ma prendo in giro me stessa. Gli stereotipi sono creati dall’ignoranza e dalla paura di approcciarmi a qualcosa che non conosco. Quando per strada qualche bambino chiede perché sono bassa, vorrei che invece di strattonarlo e portarlo via, gli parlassero. In questo modo crescerebbero adulti liberi».
Per affrontare una sfida così grande come la destrutturazione di un immaginario non poteva bastare solo un cortometraggio: il cambiamento doveva avvenire attraverso tutti i linguaggi artistici. Gli stereotipi infatti sono ovunque e vanno combattuti con tutti i mezzi possibili. Occorre lavorare sull’immaginario.
Per andare oltre all’immagine dei disabili rappresentati come vittime o come super-eroi a cui hanno partecipato anche vignettisti famosi come Milo Manara o Frida Castelli. «C’è questa idea che il disabile è poverino e deve fare tenerezza. Ma il disabile è altro. Spesso ti dicono: quanto sei bravo, forte e intelligente. E invece possiamo essere cattivi come buoni, possiamo essere simpatici o odiosi, possiamo essere tutto. Non vogliamo essere ingabbiati in etichette che restringono tantissimo».
Il fumetto ha permesso di raggiungere persone che non avevano mai riflettuto su questa tematica permettendo loro di fare una riflessione e una rielaborazione di quanto letto e vissuto. Nella narrazione corrente della disabilità manca completamente la dimensione del piacere. La disabilità è sempre legata al dolore e alla sofferenza. E questo è uno di quegli stereotipi che Sensuability vuole abbattere.
Gli stereotipi sulla sessualità
Se le persone con disabilità sono vittime di stereotipi un po’ in tutte le situazioni infatti, quando si parla di sessualità viene raggiunto l’apice. Queste persone sono spesso immaginate come asessuate, viste come “angeli”, in grado di avere una normale vita affettiva ma non certo una normale vita sessuale di coppia. Figuriamoci poi, una sessualità occasionale.
«E questa è una cosa che uccide», ci confida Armanda. «Altri decidono cosa tu non puoi fare. Chiariamoci: la sessualità non è un diritto, nel senso che nessuno può pretendere che qualcun altro vada a letto con lui o con lei, ma io ho diritto di avere le stesse opportunità di chiunque altro di relazionarmi con il mondo».
Questa problematica non riguarda solo la disabilità. L’immaginario mainstream ci propone modelli irraggiungibili: «Si pensa che possa fare sesso solo chi è fisicamente un dio o una dea. In questo modo escludi il 90% della popolazione. Per questo il nostro slogan è “la prima volta siamo tutti disabili”. Chiunque la prima volta si è sentito inadeguato».
In effetti la sessualità è un tabù per tutti. Non a caso stiamo facendo questo viaggio nell’amore e nel sesso che cambia e stiamo incontrando così tante resistenze nei commenti sui social. Se ci fosse una corretta educazione sessuale nelle scuole, non ci sarebbero adulti con tabù enormi. «Se io sono qui a parlare di sessualità è perché ci sono giovani uomini e giovani donne pieni di stereotipi».
Se gli stereotipi sono forti verso chi ha qualche disabilità fisica, il problema diventa ancor più grande rispetto a chi ha disabilità mentali. In realtà queste persone hanno fortissimi impulsi e desideri sessuali, ma la maggior parte di noi continua a rappresentarli come “bambini”. Secondo Armanda – e noi ci sentiamo di concordare – in questi casi diventa fondamentale la figura dell’assistente sessuale, che può aiutare queste persone a incanalare questi impulsi anziché negarli.
Nessuno tocchi Mario
L’associazione nasce nel dicembre del 2017 e, oltre a portare avanti il progetto di Sensuability, si occupa di comunicazione, formazione alle scuole di fumetto e cinematografia, pubblicità, fundraising e counseling. I servizi sono rivolti a tutte quelle associazioni che si occupano di diversità e che vogliono cambiare il linguaggio.
«Il primo passo – ci spiega Armanda – è cominciare a utilizzare un linguaggio che non sia ghettizzante. Cominciamo a pensare ai progetti con le persone anziché sulle persone. Ci rifacciamo a un famoso slogan: “Niente su di noi senza di noi”». Purtroppo ancora oggi molte associazioni di settore non comprendono questo passaggio fondamentale.
Rimango particolarmente colpito da un concetto tanto semplice quanto drammaticamente reale: è la società che ti rende disabile. Per questo oggi si tende a parlare di società disabilitante anziché di persona disabile. «Se ci fosse una società senza barriere architettoniche, dove non mi devo chiedere se ci siano scale per entrare, o per andare in bagno, sarei infinitamente più libera. E invece viviamo in una società in cui l’Università Sapienza di Roma è costellata di barriere. Non puoi parlarmi di cultura accessibile e poi mettermi degli scalini. Una volta mi hanno invitata a tenere una docenza e ho dovuto cambiare aula».
Un’Italia che non cambia…
«Quando andavo all’università mi dicevano che non avrei mai fatto sesso», ci racconta Armanda. «Il mio primo fidanzato mi lasciò perché la mamma non voleva che stesse con me. Lui mi scrisse una lettera di sei pagine per raccontarmi cosa era l’acondroplasia [la malattia genetica che ha colpito Armanda, ndr]. A me… per giustificare quello che stava facendo. Per fortuna però ho avuto relazioni anche con persone sane di mente».
Questi stereotipi e questa chiusura sono problemi particolarmente forti in Italia. A Londra infatti Armanda ha trovato un’atmosfera completamente diversa: «Nel ’95 – ci racconta – ero in Inghilterra e rimorchiavo un sacco. In giro c’erano le “coppie miste”. Se queste provano a uscire qui in Italia si girano tutti. A Londra non le considerava nessuno. L’Italia è provinciale e non ci rendiamo conto di quanto».
…e una che cambia
Per fortuna non tutti sono così: «Nel corto ho raccontato episodi terribili che ho vissuto in prima persona. Per fortuna, la mia quotidianità non è così. Oggi posso dire determinate cose perché ho fatto un lavoro personale interiore che mi permette di ironizzare su questi temi. In un altro momento quelle cose mi avrebbero ucciso. Sono cresciuta tantissimo in questi cinque anni di attività. Quando ho iniziato pensavo di essere sola e invece ho avuto un riscontro sorprendente. Ho scoperto che ci sono tantissime persone disposte a combattere gli stereotipi».
«A un certo punto mi sono iscritta a un sito di appuntamenti – conclude Armanda – e ho avuto incontri tranquillamente. Io non voglio più sentirmi rifiutata perché disabile. Voglio essere rifiutata perché ho un caratteraccio, voglio essere libera di agire la mia tenerezza, ma anche di mostrare i miei lati peggiori, senza timore di essere ingabbiata. Voglio uscire dalla gabbia».
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento