Ritorno sui monti naviganti: un viaggio lungo la spina dorsale dell’Italia
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«La nostra è una storia di paracarri e tornanti. Un viaggio fatto di curve nella pancia del paese. Un viaggio di uomini e incontri». Sono queste le parole del giornalista e scrittore Paolo Rumiz, presenti come voce fuori campo all’inizio del documentario Ritorno sui monti naviganti, che meglio descrivono e riassumono il film. Il resoconto di un viaggio lungo la spina dorsale dell’Italia – l’Appennino – in cui Alessandro Scillitani, regista dell’opera, insieme allo stesso Rumiz, ci accompagnano con una Topolino, un’auto che si fa specchio di una parte della nostra penisola che ha scelto di rimanere ancorata al passato. Tappe di un percorso che ci va a mostrare luoghi ormai quasi del tutto abbandonati, ma che continuano a vivere e che pulsano di linfa vitale nuova.
Nel corso del film Ritorno sui monti naviganti ci vengono presentati posti in preda allo spopolamento. Tuttavia, vi è ancora qualcuno che resiste mentre altri, giovani soprattutto, decidono di ritornare, dopo aver viaggiato o dopo aver sperimentato la vita di città. «Il chiasso è diventato l’unico senso della nostra vita», afferma Paolo Rumiz in un passo della pellicola. Andare ad abitare in posti così lontani dalla tecnologia e dalla frenesia del nostro tempo diventa una scelta difficile e coraggiosa, ma sana e in equilibrio con l’ambiente. Una pace che si può facilmente notare attraverso il clima di serenità e armonia in cui vivono i personaggi.
Le tradizioni, la musica, la poesia e l’amore per la terra sono i temi principali che ci portano nel vivo del racconto. Immagini di luoghi incontaminati e suoni della natura portano lo spettatore in una realtà dove la lentezza e la solidarietà sono i veri protagonisti. Questa lentezza però non rende mai noioso il racconto, che scorre veloce per tutti i suoi ottanta minuti. A chiudere il cerchio, uno stile di ripresa semplice ma efficace e un montaggio veloce, scandito da una musica che dona dinamismo, intervallato da una voce fuori campo che guida chi sta guardando l’opera.
«Il titolo, Ritorno sui monti naviganti – ci racconta Alessandro –, si rifà al viaggio realizzato da Paolo nel 2006, intitolato La leggenda dei monti naviganti. È in primo luogo un ritorno alle tematiche che aveva affrontato e raccontato, anche se in realtà si tratta di un nuovo viaggio. In secondo luogo è un ritorno a luoghi a me cari, che mi hanno lasciato qualcosa. Nella mia infanzia andavo a visitare posti abbandonati, amavo sentire la paura e il brivido del rischio. Così ho deciso di tornare là, con occhio più attento, e ho iniziato a domandarmi il perché del loro abbandono, non solo di semplici abitazioni, ma anche di interi villaggi e paesi». È così che il regista ci svela i primi due motivi relativi alla genesi del suo film.
Nel 2010 Alessandro aveva realizzato un altro documentario, sempre inerente al tema dell’abbandono, Case abbandonate, grazie al quale ha potuto conoscere Paolo Rumiz, con cui è nata forte un’amicizia. Ritorno sui monti naviganti prende il via proprio da una città già incontrata nel suo precedente film, Reneuzzi, frazione disabitata del comune di Carrega Ligure, in provincia di Alessandria. È questo il luogo in cui vediamo le prime scene di questo viaggio, una zona in preda allo spopolamento, come molte altre che ci verranno mostrate. A causa del boom economico, dell’ampliamento sempre maggiore delle città e del fatto che il contadino e l’uomo di campagna venivano visti sempre più come cittadini di serie B, sono stati tanti coloro che hanno deciso di lasciare il proprio luogo di nascita per cercare maggiore fortuna.
«Il terzo motivo che mi ha portato a realizzare questo film – presente anche nello stesso titolo, Ritorno sui monti naviganti – sta nel fatto che è vero che molti se ne sono andati, ma è altrettanto vero che altri hanno deciso di tornare indietro. Si tratta di giovani che hanno fatto ritorno nei luoghi dell’infanzia o che hanno deciso di abbandonare anche un lavoro ben pagato per rifugiarsi in una realtà lontana dalle tecnologie e dall’artificiosità. Giovani che hanno avuto il coraggio di reinventarsi, di fare una scelta controtendenza e di seguire non tanto le orme dei padri, che magari già se ne erano andati da quei posti ben prima di loro, ma addirittura quelle dei nonni».
È sempre più difficile che i ragazzi si ispirino ai genitori: attratti dall’ultimo gingillo tecnologico, sono più propensi a continuare la loro vita negli agi della modernità. Ma sono anche vari quelli che decidono, in maniera non imposta ma ponderata, di stravolgere la propria quotidianità e le proprie sicurezze. Una scelta che si è rivelata vincente proprio in questo periodo di pandemia, dove poter uscire e stare in mezzo alla natura e al verde è da considerarsi un privilegio rispetto a chi è rimasto chiuso in un una casa o in un appartamento per mesi e mesi.
Ritorno sui monti naviganti è dunque un documentario di viaggio o semplicemente il racconto di un viaggio, quello percorso da Alessandro Scillitani e Paolo Rumiz, che da Genova sono approdati in Aspromonte. Un tour fra luoghi disabitati e in via di sperato ripopolamento durato circa tre settimane. Per chiudere con le parole di Alessandro, «viaggiare fa entrare dentro le storie, capitano eventi che non avevi previsto e che vanno loro stessi a scrivere la tua storia, come una sorta di sceneggiatura che si completa da sola».
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