15 Lug 2021

Luca Trapanese: vi racconto la mia vita di papà single e innamorato – Amore Che Cambia #16

Scritto da: Paolo Cignini
Intervista di: DANIELA BARTOLINI E PAOLO CIGNINI
Video realizzato da: PAOLO CIGNINI

Luca Trapanese è il primo caso in Italia di genitore single ad aver adottato una bambina down. È omosessuale, ma in relazione a sua figlia non gli sembra un dettaglio così importante. Perché ciò che conta sono l’amore e la consapevolezza delle proprie scelte, non certo le preferenze sessuali. Ecco la storia di un uomo, cattolico praticante, cresciuto con la disabilità in casa, che ha fatto i conti con il suo vissuto trasformando le ombre in opportunità di felicità e che oggi combatte per cambiare la legge sulle adozioni e per dimostrare che ciò che ci spaventa può invece renderci felici.

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Caserta, Campania - Nel presentarvi il nostro viaggio nell’Amore (e nel Sesso) che Cambia, vi avevamo accennato che la disabilità è uno dei temi che ci sta più a cuore e che avremmo cercato di approfondire. Oggi vi raccontiamo la storia di Luca Trapanese e di sua figlia, un’esperienza che oltre alla disabilità affronta molti dei temi che abbiamo finora trattato: sessualità, religione, famiglia e genitorialità.

Luca è un ragazzo originario di Napoli, omosessuale, cattolico, che ha adottato nel 2018 – da genitore single – una bambina down abbandonata di nome Alba. La sua storia è nota, anche per la sua scelta personale di esporsi pubblicamente sui social per mostrare a tutte e tutti che essere padri single di una bambina disabile, oltre che possibile e non lesivo per nessuno, rappresenta anche una meravigliosa possibilità di felicità e di crescita personale.

«La vita non è perfetta e non dobbiamo avere nessuna paura dei nostri difetti, sono essi stessi che ci aiutano, ci caratterizzano e ci rendono unici», sostiene Luca accogliendoci nella sua casa al mare di Minturno, nel sud del Lazio, dove io lo raggiungo insieme alla mia collega e compagna di viaggio Daniela Bartolini.

luca trapanese 2

Alba è con lui ed è un’esplosione di vita e di gioia. Ci accompagna nella sua cameretta, ci fa vedere i suoi giochi e lei e Luca, già a primo impatto, sembrano uniti da un amore che ci scalda l’anima: il papà è premuroso e la segue e la aiuta in ogni sua attività; Alba è interattiva, vivace, serena e molto determinata nella scelta dei giochi da mostrarci. Questa gioia familiare è stata caratterizzata da un percorso, quello di Luca, nel quale la  morte, la rinascita e la vita si intrecciano continuamente fin dal compimento del suo quattordicesimo anno di età, quando la storia che vi raccontiamo oggi ha effettivamente inizio.

Fu allora che Diego, amico del cuore di Luca, si ammalò di un grave tumore e nel giro di un anno morì. Luca gli rimase accanto quotidianamente per tutta la malattia, stringendo la mano dell’amico fraterno fino al suo ultimo respiro. L’esperienza fu traumatica, ma il dolore non ha mai sconfitto Luca. Dentro di lui, nel corso degli anni, si è anzi accesa la fiamma della consapevolezza: tutto quello che apparentemente può distruggerci è, da un altro punto di vista, un’opportunità di rinascita per sé stessi e per altre persone.

«La morte di Diego ha rappresentato allo stesso tempo l’esperienza più bella e più brutta della mia vita. Mi ha cambiato profondamente e ho scelto di portare il mio amico nella mia vita per sempre e non di dimenticarlo, facendo sì che la sua morte non sia stata un evento vano, ma un’occasione per seminare una molteplicità di occasione per le persone meno fortunate».

La svolta decisiva per Luca è stata anche di natura spirituale: insieme a tanti ragazzi disabili ha vissuto l’esperienza del treno bianco per il santuario di Lourdes, «sette giorni in cui dedichi il tuo tempo agli ammalati e alle persone disabili, conoscendone la loro storia. Si formano delle amicizie indissolubili, che poi ti porti dietro per sempre, come è per me tutt’ora», ci spiega Luca.

Le sue guide spirituali a Napoli sono state Don Gennaro Matino e Suor Michelina, che da sempre sono a conoscenza anche della sua omosessualità: «Mi hanno accompagnato in questo cammino e mi hanno sempre ricordato che io sono figlio di Dio e dunque sono a sua immagine e somiglianza, dunque sono perfetto così come sono. La mia fortuna è stato sentirmi dunque accolto nella Chiesa, non discriminato od osteggiato: ho fatto delle esperienze meravigliose insieme alle suore di Madre Teresa in India prima e in Africa poi, nate in un’associazione parrocchiale di cui Padre Gennaro mi aveva reso responsabile. Io mi occupavo dell’organizzazione dei progetti e dei viaggi e l’ho fatto per quasi vent’anni; ogni anno sono stato almeno una volta l’anno in India e in Africa».

Grazie a queste esperienze e al contatto sempre più stretto con diverse persone con disabilità di vario tipo e con le loro famiglie, Luca decide nel 2007 di fondare l’associazione A Ruota Libera, insieme ad Eduardo Savarese, «per colmare il vuoto che le persone disabili vivono in termini di servizi, assistenza e rapporti con la comunità». Nei due video che trovate in questo articolo potete scoprire alcune delle più importanti attività dell’associazione, dal Borgo Sociale (una comunità per ragazzi disabili senza genitori) fino alla Casa di Matteo (una casa famiglia per bambini con gravi malformazioni), solo per citarne alcune.

Il cammino verso la paternità

«Chi mi conosce sostiene che sono padre da sempre. Effettivamente, ho sentito in ogni attimo con forza il desiderio di paternità e di volere un figlio.  Ero anche consapevole di essere pronto per avere un figlio disabile. La disabilità non mi ha mai spaventato, come vi ho appena raccontato fa parte della mia vita».

Così, nel 2017, Luca è venuto a conoscenza della notizia che il Tribunale di Napoli aveva aperto il registro per le adozioni anche ai single. All’interno di questo documento erano presenti alcune categorie di bambini che il Tribunale non riusciva ad affidare nemmeno ai coniugi che erano intenzionati ad adottare: si trattava di bambini con gravi disabilità o vittime di abusi e violenze. «Nel modulo per richiedere l’affido c’è una serie di caselle da barrare in cui si può dichiarare la propria disponibilità ad adottare bambine e bambini con disabilità anche gravi. Io ho barrato tutte le caselle, offrendo la mia totale disponibilità ad accogliere chiunque: ho immaginato che, se io fossi stato incinta, non avrei mai fatto test prenatali, ma avrei accolto quello che sarebbe arrivato, aprendomi a tutte le possibilità. Dopo una vita a stretto contatto con la disabilità, come avrei potuto fare altrimenti?».

Nel giro di circa un anno e otto mesi, dopo un periodo di affido iniziale, Luca è diventato il (felicissimo) papà di Alba, una bambina down che era stata abbandonata dai genitori e che, dopo una serie di rifiuti, rischiava di dover rimanere in ospedale e, successivamente, di essere trasferita in un istituto.

Per trasformare questo sogno in realtà, Luca ha studiato la legge sulle adozioni, la numero 184 risalente al 1983, il cui l’articolo 44, terzo comma, prevede l’adozione anche a persone non coniugate per casi simili a quello di Alba.
Così oggi Luca è un genitore single di una bambina adottata, apertamente omosessuale e cattolico: il primo in assoluto nel nostro Paese. «Sì, è vero: sono stato effettivamente il primo  single, uomo e omosessuale ad adottare qui in Italia – ci racconta Luca – e il fatto che io sia gay e che abbia fatto questa scelta dell’adozione, raggiungendo l’obiettivo, all’inizio ha colto di sorpresa diverse persone».

«La mia decisione di essere molto presente sui social network ha il preciso scopo di raccontare e mostrare la mia e la nostra vita, di testimoniare che la mia è una famiglia a tutti gli effetti e non c’è nulla di strano in quello che facciamo. Alba e io abbiamo una vita comune a moltissime altre persone. Io sono un genitore come tutte e tutti gli altri: commetto gli errori e vivo le paure e le preoccupazioni, gli entusiasmi e le stanchezze, che provano tutti coloro che vivono l’esperienza della genitorialità. Alba è una bambina come le altre, avere un figlio disabile non è affatto una disgrazia, può essere una bellissima opportunità di crescita e di evoluzione personale». 

Attualmente Luca e Alba vivono in un piccolo comune di poco più di duemila abitanti nel casertanese e, per il suo orientamento sessuale, non ha mai vissuto e non subisce nessun tipo di discriminazione; anzi, Alba è perfettamente inserita nella scuola del luogo, ha un bellissimo rapporto con le maestre e tutta la comunità li vede e li vive come una famiglia a tutti gli effetti.

Sui suoi diversi canali social, Luca condivide scene di vita quotidiana insieme ad Alba: solo per citarne alcune, dalla prima colazione in autonomia della bambina alla scelta di un film da vedere insieme o di un gioco da condividere. Lo scopo è duplice: se da un lato uno dei temi sensibili è dimostrare che adottare o avere un figlio disabile non è automaticamente sinonimo di infelicità e tristezza, dall’altro Luca tiene a sottolineare come ci si debba liberare da ogni tipo di pregiudizio, nei confronti sia dell’orientamento sessuale che delle persone che non se la sentono di intraprendere il suo percorso.

«Il tema centrale non è l’orientamento sessuale della persona, come spesso ci piace pensare», spiega. «I giudici mi hanno ritenuto idoneo all’adozione analizzando la mia casa, la mia rete familiare, la mia consapevolezza di voler essere padre e di volere davvero un figlio disabile. Non mi hanno mai chiesto con chi andavo a letto la sera e quali fossero le mie preferenze sessuali. L’adozione da parte dei single è un passo fondamentale secondo me, perché un Paese che si vuole definire civile dovrebbe fornire la possibilità di adottare anche a chi ha deciso di non vivere una relazione di coppia e di non sposarsi. Perché l’unica cosa che conta per davvero è l’amore, i bambini devono sentirsi amati e respirare armonia e serenità in casa».

Luca sostiene che le persone single debbano essere messe in condizione di poter adottare anche bambine e bambini che non soffrono di una qualche condizione di disabilità o che hanno un trascorso di abusi e di violenze: «Fermo restando il principio che in adozione non si sceglie e la proposta è sempre responsabilità dei Tribunali, io ho scelto Alba perché la mia esperienza di vita è fortemente connessa alla disabilità, fa parte del mio DNA e non ho paura di essere padre di una bambina down. Altre persone non hanno affatto la mia stessa esperienza e probabilmente non si sentono all’altezza di essere genitori di un figlio disabile. Però desiderano diventare padri o madri di un bambino normodotato o con problemi più “gestibili” ed è giusto che possano avere la possibilità di farlo. Su questi temi, tutte le persone devono essere rispettate e non giudicate: io lavoro per aiutare a sconfiggere le loro paure e dimostrare che si può essere felici nella mia situazione, ma chi sono per giudicarli?».

luca trapanese 1

Alba nel frattempo scalpita: dopo una giornata di mare si avvicina il momento di tornare a casa e lei vorrebbe fare una passeggiata a Minturno prima di affrontare il viaggio. Mentre ci prepariamo per la domanda finale, Luca aggiunge una dichiarazione che colpisce sia me che Daniela: «Io mi espongo nel dibattito pubblico e metto sotto i riflettori la nostra vita per mia scelta, ma vi assicuro che vorrei tantissimo che non si parlasse più di me e Alba».

«Purtroppo io e lei siamo le “cavie”, la storia da raccontare, ma se la nostra fosse vista come una storia normalissima – e di fatto lo è – vorrebbe dire che la situazione dell’adozione dei single è ormai una prassi consolidata, indipendentemente dalla sessualità di una persona. Invece abbiamo una legge, la 184 del 1983, che nonostante diverse rivisitazioni è a mio avviso palesemente inattuale rispetto al contesto sociale e identitario in cui viviamo. Io sono personalmente molto deluso dalla politica, perché sul versante legislativo l’apertura e lo snellimento delle adozioni sembrano temi dimenticati da tutti. Sono invece piacevolmente stupito dall’accoglienza e dal calore delle persone: la realtà è più avanti della sua rappresentazione».

Con Daniela ci guardiamo e sorridiamo: “La realtà è più avanti” è il nome dello spettacolo teatrale del nostro Daniel Tarozzi, in scena insieme a Fabrizio Bartolucci, Stefano Fucili e Tommaso Baldini. E anche noi, come Luca, speriamo che un giorno il nostro lavoro non sia più necessario e che finalmente i mass media abbiano capito l’importanza del racconto dei cambiamenti positivi in atto nel Paese. Nel frattempo, però, non vediamo l’ora di raccontarvi la prossima storia…

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