Quali sono i tre punti di contatto fra spiritualità e psicologia?
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La Spiritualità del Creato di Matthew Fox si interessa del rapporto dell’uomo con Dio. La Psicologia Analitica di Carl Gustav Jung del rapporto dell’uomo con la sua parte inconsapevole. L’inconscio. Un termine, forse in disuso, che la psicologia del profondo ha coniato per significare il mistero dentro di noi. Sia il mistero disvelabile, sia il mistero non disvelabile, ‘numinoso’.
La tesi di questo contributo è che i due autori si muovono con linguaggi diversi nell’esplorazione di un territorio, in molti tratti, comune. Quali sono dunque i tratti in comune? In quali aree cioè la crescita spirituale e la crescita psicologica di un individuo possono convergere e in quali aree le due ricerche divergono? Ma soprattutto perché è interessante, oggi, rilevarle?
In tre campi, dal nostro punto di osservazione, l’attuale sensibilità nella ricerca spirituale si sovrappone alla sensibilità psicologica. La esaltazione della soggettività, la valorizzazione dell’aspetto “creaturale” – cioè fisico, biologico, ecologico, organico – della vita e il recupero della dimensione femminile. Tre esigenze che caratterizzano il paradigma del post-moderno. Tre connotati di cui si sono fatti carico sia la moderna teologia, a partire dal Concilio Vaticano II, sia la psicologia del profondo, a partire da Jung.
Più specificatamente, nella stanza di analisi ci si accorge subito di una anomalia. Nel rapporto a due fra paziente e analista, secondo l’espressione di alcuni autori, si forma un terzo. Il terzo analitico. Il terzo nasce dalla confluenza, dal lento mescolarsi, dalla contaminazione, dalle diffidenze e anche dalle inconciliabilità della psiche dei due protagonisti. Due universi si pongono uno di fronte all’altro e si raccontano. Uno porta la propria sofferenza, l’altro la propria esperienza. Entrambi sono profondamente legati alla soggettività delle biografie di ciascuno, sono in continuità con la qualità degli incontri reali e dei fantasmi della psiche.
La stanza d’analisi è abitata. I protagonisti dell’incontro analitico sono chiamati a mettersi a nudo. Senza istrionismi. L’analisi è l’acquisto di coraggio nel prendere in mano il materiale vischioso che ci sta infettando, per cercare – alchemicamente – di trasformarlo in oro. Per farlo diventare il tesoro più prezioso che abbiamo. “Ogni nevrosi è un tratto di nobiltà ancora non riconosciuto”, è stato scritto. Ogni nevrosi è la nostra nascosta regalità. Ciò che ci differenzia ma, paradossalmente, ci unisce al resto del mondo.
Credo che il nucleo della attuale spiritualità e della psicologia sia riducibile a questo sforzo. Ridare fiducia al soggetto e alle sue stravaganze. Alle sue esigenze più intime e più inconciliabili con il collettivo. La psicologia analitica chiama questo percorso come processo di Individuazione. La Spiritualità del Creato lo indica come le quattro viae.
Il secondo common field fra Psicologia Analitica e Spiritualità del Creato è la dimensione sensoriale. Secondo Fox esistono due tradizioni all’interno del Cristianesimo. Una si radica nel contemptus mundi, nel disprezzo del mondo. Tanto più profondamente l’uomo rinnega il proprio corpo, tanto maggiore è l’unione con l’Assoluto. I due punti di riferimento teologici sono Agostino e Tommaso da Kempis. A distanza di quasi mille anni l’uno dall’altro, entrambi gli autori sono solidali nella ricerca di una città di Dio che sorga sulle macerie della città dell’uomo.
Fox chiama questa visione del Cristianesimo ‘amartiocentrica’, dal termine greco amartia, peccato. La visione amartiocentrica enfatizza la condanna, ab origine, il marchio indelebile che l’uomo conserva del peccato di Adamo ed Eva. L’uomo possiede una ‘natura lapsa’, decaduta a causa di una colpa originale che – spiega Agostino – si trasmette attraverso l’atto sessuale dei genitori. Nella visione amartiocentrica solo il disgusto per la tentazione sensoriale del mondo ci salva.
Di contro, teorizza Fox, vi è la visione cosmocentrica. La visione cosmocentrica ha la sua più illustre rappresentanza nei libri Sapienziali della Bibbia e in gran parte dei testi evangelici. Ma soprattutto nei mistici del XII-XIII secolo. In particolare Meister Eckhart, Ildegarda di Bingen e Tommaso d’Aquino. La visione cosmocentrica rappresenta al contempo il filo rosso che unisce le esigenze spirituali del nostro tempo alle esigenze spirituali di una ricchissima e saporitissima tradizione di saggezza. Ma è è anche il programma per la creazione di una inedita identità spirituale, organica ed ecologica. Una identità spirituale vicina a ciò che gli uomini oggi cercano, invano, nelle istituzioni religiose. Come nella visione cosmocentrica, anche nella stanza d’analisi ogni elemento di comprensione di sé stessi e del mondo non può mai fare a meno della “esperienza”.
L’ultimo elemento in comune fra la Spiritualità del Creato di Fox e la Psicologia Analitica di Carl Gustav Jung è la valorizzazione dell’orizzonte femminile. Una valorizzazione concreta e simbolica. Cioè? All’interno di una polarizzazione che è forse destinata a mutare, la valorizzazione del femminile non si limita solo a una rivendicazione di diritti. Sia nel campo sociale che in quello teologico (donne-preti, matrimonio dei sacerdoti, teologia femminista…), il recupero del femminile è soprattutto l’apprezzamento di un universo emotivo negletto. Un universo in cui l’ascolto vale tanto quanto la parola, in cui la sosta tanto quanto l’azione, la cura quanto la modifica, l’accoglienza quanto la distinzione. Elementi fondamentali per il buon andamento anche di ogni percorso analitico.
In definitiva Fox e Jung descrivono un medesimo paradigma. Il primo applicato al rapporto dell’uomo con Dio. Il secondo dell’uomo con la ‘questione’ psichica. Gli scenari che le loro teorie descrivono appartengono tuttavia – in molti aspetti – alla pittura di un enorme affresco comune.
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