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Bologna, Emilia-Romagna - «Serve impegno e nel futuro ci immaginiamo proiettati in questa dimensione: dare voce a chi a volte è invisibile o viene solo guardato male. Servono tanti nuovi ‘’altro’’ spazio». È il 2015 e ci troviamo a Bologna. Qui, da un’idea di Nunzia Vannuccini e Jascha Blume, nasce l’Altro Spazio.
Questo è un luogo dove la parola inclusione non solo viene servita tra un cocktail e una birra, ma viene vissuta e fatta vivere quotidianamente. Negli eventi organizzati in collaborazione con Arte Migrante Bologna, nelle serate di Aperitivi Dal Mondo (dove il ricavato viene donato alle associazioni che sostengono i rifugiati) e nell’inclusione lavorativa di persone con disabilità o, come ama dire Nunzia, «persone con sfida (sociale)».
Tra i tanti eventi organizzati da l’Altro Spazio ci sono anche le cene al buio, dove si scoprono nuove sensazioni e dove le persone non vedenti possono partecipare alla pari, e i corsi di Lis, durante i quali si impara una lingua che disegna parole e storie. È un bar culturale, un luogo accessibile, un’art gallery che consente di uscire dalla routine, di allontanarsi da determinati schemi, di imparare la lentezza e avvicinarsi all’altro. Nunzia mi ha raccontato la storia di questo progetto, di cui anch’io da pochissimo faccio parte come social media manager, partendo dalla nascita, salutata in città come una grande novità.
Com’è nata l’idea di un locale inclusivo a Bologna?
L’articolo 3 della nostra Costituzione ci ricorda che è compito della Repubblica eliminare gli ostacoli verso l’uguaglianza, quegli ostacoli che nella vita delle persone con disabilità impediscono ancor più il pieno sviluppo della persona umana e ne limitando la libertà. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. L’Altro Spazio nasce dunque dalla volontà di fare un esperimento, creare luoghi per tutta la comunità in cui nessuno senta quelle barriere inaccettabili che purtroppo esistono e questo vale per lo staff così come per la clientela. L’aggregazione, oltre che dalla musica, nasce dalla conoscenza dell’altro, delle diversità.
Da quanto tempo avete aperto l’attività e come avete iniziato?
Nel 2015 ha aperto ufficialmente l’Altro Spazio, ma noi eravamo già attivi nel 2010 con progetti di riqualificazione urbana come il Mercato delle Erbe o il Senza Nome, per poi passare a locali immaginati accessibili per tutti. Il parco 11 settembre era abbandonato al degrado, così ci siamo decisi a dare una nuova luce a questo parco e adesso gestiamo qui le attività estive e contribuiamo a renderlo un luogo aperto e accogliente.
L’Altro Spazio: mi racconti la storia di questo nome?
L’Altro. Ciò che è diverso da me. Spesso capita che nuovi clienti non sappiano non solo la lingua dei segni, ma come comunicare con una persona sorda o con una persona autistica. Anche il nome per noi doveva richiamare quell’idea di scoperta dell’altro, di educazione all’altro e all’affetto.
Cosa significa per voi l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità?
Significa la possibilità di emanciparsi, di apprendere un mestiere mentre si viene contaminati da melodie che provengono da tutte le parti del mondo. Significa vedere il proprio valore riconosciuto. Significa che la legge è davvero uguale per tutti.
Progetti per il futuro?
A Bologna manca ancora tanto lavoro per diventare la città accessibile ed europea che immaginiamo. Mancano investimenti su temi fondamentali, l’inserimento al lavoro delle persone con disabilità, il sostegno ai progetti di indipendenza, ai condomini solidali, al co-housing, giardini di comunità. Manca impegno sulle barriere architettoniche, sull’accessibilità della cultura e quindi del turismo.
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