Alluvioni in Germania: quanto siamo vicini al punto di non ritorno?
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«C’è bisogno di una politica che tenga più in considerazione la natura e il clima, di quanto abbiamo fatto negli ultimi anni. Vediamo con quanta violenza la natura possa agire. Noi contrasteremo questa violenza della natura, nel breve, ma anche nel medio e nel lungo periodo», ha dichiarato Angela Merkel durante una visita a uno dei luoghi colpiti dalle alluvioni in Germania.
Anche il mainstream politico europeo – quello rappresentato dalla cancelliera tedesca – non può più mettere la testa sotto la sabbia davanti agli eventi estremi provocati dai cambiamenti climatici, che stanno alterando in modo sempre più sensibile e tragico il nostro modo di vivere.
Non si tratta certo di ingaggiare una lotta con la natura come ha detto la Cancelliera, bensì di rendersi conto del fatto che per provare a invertire il trend che ha innescato e che sta aggravando la crisi ambientale è necessario modificare sin da ora il nostro stile di vita, anche attraverso un’assunzione di responsabilità da parte della politica. «Il cambiamento climatico deve essere considerato giuridicamente come una missione comune dell’esecutivo federale», ha dichiarato a questo proposito la ministra dell’ambiente tedesca Svenja Schulze.
In Germania il tema è particolarmente delicato, poiché il 26 settembre sono in programma le elezioni politiche. Appena due giorni dopo lo sciopero globale per il clima indetto da Fridays For Future per invitare l’occidente del mondo a ridurre drasticamente le emissioni disinvestendo dai combustibili fossili, a saldare il proprio debito climatico con i paesi del sud del mondo, a riconoscere giuridicamente la pericolosità per il genere umano della crisi climatica e a impegnarsi a tutelare le popolazioni indigene che svolgono attualmente il fondamentale ruolo di difensori della terra e dell’ecosistema.
Ma le alluvioni in Germania, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Svizzera e Austria sono state accompagnate nei giorni scorsi da altri eventi climatici estremi, più lontani e quindi emotivamente meno impattanti per noi rispetto al disastro dell’Europa centrale, ma altrettanto preoccupanti sul piano globale. In Canada ad esempio si è registrata la temperatura più alta della storia: 49,6 °C nella British Columbia – quasi il doppio rispetto alla media del periodo in questa zona – e il caldo ha provocato decine di morti per i malori conseguenti..
Nella parte meridionale dell’emisfero, in sud America, si stanno registrando invece temperature bassissime, inferiori di circa 15 °C rispetto alla media stagionale. Forti nevicate sono avvenute anche nel Brasile meridionale, con conseguenze gravissime sulla vita della popolazione e sull’attività agricola.
Il meteorologo Luca Lombroso si chiede se questi eventi estremi non siano un segnale di superamento del tipping point, ovvero il punto di non ritorno oltre il quale il cambiamenti degli ecosistemi e del sistema climatico fisico diventano irreversibili. Dallo scioglimento del permafrost siberiano alla corrente del golfo, dallo scioglimento dei ghiacciai alpini a quello della calotta artica, Lombroso ha individuato alcune mutazioni che sembrerebbero confermare questa ipotesi.
«Il problema climatico interviene amplificando l’intensità e la frequenza di fenomeni che già esistono per loro conto», ricorda il meteorologo Luca Mercalli riferendosi a problemi tristemente noti anche in Italia, come la cementificazione e il dissesto idrogeologico. «Il riscaldamento globale li sta intensificando perché immette più acqua e più energia nel sistema atmosferico».
«Questo è solo l’inizio e nei prossimi decenni saremo noi ad avere in mano la manopola del termostato del pianeta. Non c’è più possibilità di tornare indietro, il danno climatico che è stato fatto nell’era industriale è ormai irreversibile, verrà riparato in tempi non umani con processi naturali che dureranno centinaia di migliaia di anni. Però possiamo ancora evitare di seguire la traiettoria più catastrofica, che è quella di un ulteriore aumento nel corso di questo secolo della temperatura nell’ordine di 4 o 5 °C. Se applichiamo l’accordo di Parigi siglato nel 2015, ma non ancora entrato in vigore, possiamo ancora limitare l’aumento delle temperature entro i 2 °C», conclude Mercalli.
Naturalmente non possiamo esimerci dal fare la nostra parte. Se da un lato è necessario che la politica comprenda il problema e metta in atto le misure necessarie ad affrontarlo, dall’altro è altrettanto imprescindibile che chiunque – cittadini, imprenditori, studenti, insegnanti, attivisti, decisori, persone comuni – si assuma la responsabilità di compiere quelle piccole ma fondamentali azioni che, sommate, possono fare la differenza. Il mondo si è (giustamente) fermato per contrastare una pandemia: mettiamo lo stesso impegno profuso per proteggerci dal covid-19 nella lotta alla crisi climatica e qualcosa cambierà.
Per saperne di più e scoprire cosa puoi fare a partire da ora per contribuire a combattere i cambiamenti climatici consulta il nostro tavolo della Visione 2040 dedicato al clima.
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