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Savona - Da anni viviamo circondati da fotografie di ogni genere: i social catturano secondo per secondo la nostra attenzione, i nostri smartphone sono pieni di foto scattate a noi stessi, a piatti, a paesaggi, a persone. Ogni momento della nostra vita viene scandito da frammenti di immagini e ogni notizia che leggiamo viene impressa nella nostra mente grazie a fotografie che, essendo parte della narrazione, danno una forma a ciò che non riusciremmo a immaginare da soli.
Ma quanto influisce tutto ciò su di noi? Quanto la nostra percezione della realtà viene influenzata dalla tipologia di immagini che ci vengono proposte? E come può coesistere il lavoro di fotografo – che per definizione ha necessità di un suo tempo e spazio per poter lavorare – con l’accelerazione del tempo in cui siamo immersi? Possono stare insieme frenesia e fotografia? Da queste domande parte il viaggio di Silvio Massolo, di professione fotografo.
LE ORIGINI
«Tutto è iniziato quando circa 30 anni fa mi è capitato di sfogliare l’edizione francese di una rivista fotografica: sono rimasto molto colpito da un servizio sui fari bretoni. Se dovessi individuare un momento nel quale è scattata la scintilla della fotografia, è stato quello». Silvio ha così iniziato a formarsi e dopo pochi anni è andato a bussare alla porta di diverse riviste di turismo, trovandosi in poco tempo a collaborare con alcune di esse, tra cui Bell’italia, Bell’Europa e Specchio de La Stampa. Per circa dieci anni ha girato il Italia, Francia e Spagna per fotografare vie, paesaggi, cittadine.
«Amo il mio lavoro, mi ha permesso di incontrare nuove persone, condividendo con loro un pezzo di vita. Si ha infatti il privilegio di poter accedere alle vite di persone sconosciute e, per quanto il fotografo cerchi di porsi con attenzione e sensibilità, rimane il fatto che si entra spesso nello spazio intimo di chi si ha davanti. In alcune parti del mondo – come ad esempio in alcuni stati dell’Africa, del Sud America, in India ed altri – c’è ha la credenza che chi scatta una fotografia ha il potere di rubare l’anima della persona che ritrae. Coloro che si rendono disponibili a farsi ritrarre mi fanno un grande dono, lo apprezzo ogni volta».
In parallelo però, altri aspetti hanno creato dubbi importanti in Silvio. Tra questi le tempistiche con cui il settore dell’editoria lavora, con le quali è molto difficile riuscire a stare al passo. Essendo questa una professione che richiede il contatto e la conoscenza di ciò che si va a raccontare, è necessario avere spazio e tempo per poter vivere e studiare bene il luogo e le persone prima dello scatto. Ma questo è spesso incompatibile con i tempi frenetici con cui si muove il campo editoriale.
CAMBIARE PER RIMPADRONIRSI DEL TEMPO
Dopo dieci anni Silvio decide quindi di lasciare il lavoro per le riviste e di aprire un suo studio fotografico, riprendendo in mano il proprio tempo, assumendo la lentezza come valore alla base della sua professione e allenando la consapevolezza del qui e ora, sempre. Come? Cambiando le regole con cui solitamente altri professionisti si muovono nello stesso settore. «In ogni lavoro che seguo, sia quelli su committenza che progetti che nascono da interessi personali, mi piace prendermi il giusto tempo per conoscere chi ho davanti, quali sono i suoi sogni, le sue aspettative. E cerco di lavorare solo con persone che comprendono questa mia filosofia e la condividono».
I MATRIMONI SLOW
L’ambito dei servizi fotografici matrimoniali sembrerebbe andare in una direzione opposta alla lentezza, eppure Silvio è riuscito in questi anni a trasmettere la sua “diversità” professionale e a trovare persone che condividono con lui gli stessi principi, tanto da portarli anche nelle scelte fatte per il loro grande giorno, attraverso il progetto Slow Wedding Photography. «Riesco a raccontare le storie e gli stati d’animo delle persone se sono in sintonia con loro. Spesso il matrimonio viene vissuto come una prestazione di servizio: in realtà è qualcosa di più. La consapevolezza da parte di fotografo e sposi aiuta a cogliere e trasmettere le emozioni attraverso gli scatti».
In questi anni Silvio ha quindi studiato e creato un “protocollo” con cui creare un contatto più profondo con i futuri sposi, che passa da un semplice questionario e una chiacchierata di persona e solo se ci sono i presupposti si passa allo step successivo che è un’esperienza prematrimoniale, ovvero un paio d’ore insieme in un luogo significativo per la storia dei futuri sposi, in cui scatta qualche fotografia. Se la sintonia viene confermata si inizia a discutere con loro anche dei dettagli organizzativi ed economici. Un percorso lento e profondo quindi, che non prevede la frenesia.
I PROGETTI DI PIÙ AMPIO RESPIRO
In parallelo Silvio porta avanti progetti di approfondimento di diverse tematiche attraverso la fotografia. Sono progetti che nascono da suoi interrogativi interiori e proprio grazie alle immagini possono essere espressi a voce alta per essere condivisi con altre persone. Tra i grandi temi su cui Silvio ha lavorato c’è l’inquinamento (Mira–Mare), il rapporto con sua madre, il ruolo della televisione, il ruolo del padre.
Ed è proprio quest’ultimo tema che approfondisce con me: «Sono diventato papà molto giovane e qualche anno fa guardando mio figlio mi sono chiesto che tipo di padre sono stato per lui. Ho iniziato un viaggio di introspezione, ma non era sufficiente per me. Ho pensato quindi di imparare per differenza. Così sono andato a trovare altri papà nel loro spazio, nella loro casa, per porre loro domande su cosa significasse per loro essere padri e cercare di cogliere anche attraverso le immagini ciò che la mente da sola non comprendeva».
I RITRATTI INTERNI
Tra le varie cose Silvio propone anche ritratti, attraverso il progetto “Sweet Memories”, una nuova avventura dedicata al recupero e alla valorizzazione di un’abitudine che fino a pochi decenni fa era considerata usuale, ma che nel tempo si è andata perdendo. Anche in questo caso la lentezza e la relazione con la persona committente sono gli elementi che stanno alla base del suo lavoro.
«La pratica del ritratto, di fatto, esiste da quando esiste l’uomo, che si è sempre confrontato con l’immagine di sé nel processo di narrazione della propria identità. Credo sia molto importante stampare i propri ricordi per salvarli da un potenziale oblio che caratterizza l’epoca digitale. Penso sia un gesto di cura e generosità verso sé stessi, i propri cari e la comunità di appartenenza. Questo ancora di più nel periodo incerto che stiamo vivendo, che sta ricordando a tutti noi quali sono le cose importanti, il valore delle relazioni e l’importanza di vivere pienamente il presente e, al contempo, di custodirne la memoria.»
Quando chiedo a Silvio cosa sia la bellezza per lui mi risponde così: «Ci ho riflettuto molto e credo che sia la possibilità di essere noi stessi». Ringrazio dunque Silvio per la bellezza che ha portato nel suo mondo, riscrivendo nuovi paradigmi di una professione che sembrava essersi persa nella schizofrenia del mondo contemporaneo che lascia poco spazio al tempo lento e alla piena espressione dell’unicità.
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