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Nome: Nulewa Sylvie
Villaggio: Dilefwe
Età: 37 mesi
Il vestitino di tela beige venuto da chissà dove sembra scivolarle via dalle spalle ossute a ogni passo, tanto sono sottili. Cammina piano, traballante sulle gambe magre come fili di lana, mentre si avvicina per prendere la sua razione nutrizionale. La mamma la spinge decisa da dietro, quasi a indicarle la direzione. Gli occhietti piccoli come semi si muovono poco, lenti, disegnando curve leggere nello spiazzo riempito dai colori di tutto il villaggio riunito.
Prima di consegnarle la bottiglia ripiena di olio di palma le chiedo il nome. Non risponde, sembra assente. Rimane per qualche secondo con le labbra aperte a metà fissando un punto distante oltre l’orizzonte dei tetti di lamiera delle capanne. Sembra rapita da quel punto, lo cattura e ci gioca con gli occhi, senza muoverli, indolente. Le richiedo il nome con quelle poche parole di swahili imparate nelle settimane precedenti. Questa volta sembra sentirmi: con tutta la calma del mondo ruota la testa verso la mia ma la bocca non risponde, rimanendo aperta appena. Interviene allora la mamma: “Sylvie, si chiama Sylvie!”, mi dice accennando un leggero sorriso imbarazzato.
Sylvie continua a fissarmi come si fissa un orizzonte lontano e sfocato. Sulle guance gonfie ci ritrovo appoggiati dei colori chiari e sbiaditi che male si intonano con gli occhi scuri e cerulei. I capelli sono radi e rossicci, sintomo chiaro di una grave carenza nutrizionale. Allunga piano le mani per prendere la bottiglia di olio di palma. Quando se la ritrova tra le mani pare abbracciarla per paura di farla cadere. Mi chiedo se le braccia così esili e molli riescano anche solo a sostenere il peso di quei 75 ml di liquido.
Quando arriva il tempo di consegnare anche la busta di plastica piena di farina di soia e mais, la nutrizionista Karyl e io ci avviciniamo alla mamma di Sylvie per farci raccontare come siano state le ultime settimane. Rubando sillabe di swahili qui e lì, capisco che il marito, scappato per andare in città più di due mesi prima, non è ancora tornato. La donna comincia a credere che si sia trasferito dalla seconda moglie e si sarebbe rifatto vivo nel villaggio solo al tempo del raccolto.
Lei è costretta ad andare al lavoro nei campi ogni mattina presto e tornare quando il sole si fa ocra e basso. Di Sylvie si occupano le tre sorelle di poco più grandi, responsabili di preparare la colazione e una manciata di bukari per il pranzo. I due fratelli maggiori rinunciano alla scuola secondaria per abbrustolire rami secchi e venderli come carbone al mercato della Katuba di Lubumbashi, distante una ventina di km di marcia dal villaggio. Senza la presenza della madre, la preparazione della “bouille”, la razione nutrizionale fatta di soia, arachidi e farina di mais, diventa compito delle piccole sorelle di Sylvie. La più grande ha dieci anni.
Spesso la fame vince sull’urgenza e condividono la razione insieme. Spesso, ancora, la cottura è frettolosa e non vengono seguiti i consigli della nutrizionista. Tutto questo fa sì che le condizioni di Sylvie non siano per nulla migliorate nel corso delle ultime settimane. La malnutrizione è il barometro di una condizione sociale disastrata, la misura e conseguenza di un insieme di cause che, sommate, formano drammi quotidiani senza nome. Sylvie ha sulla sua pelle il segno di questa situazione, le ferite di una povertà in cui l’unica via di uscita è rappresentata dalla sostenibilità finanziaria.
Per questo con AMKA puntiamo moltissimo sui progetti di empowerment femminile e micro-credito. Attraverso la creazione di un sistema virtuoso di emancipazione economica si possono affrontare le conseguenze più urgenti di una rete assistenziale pressoché assente.
Diamo appuntamento alla mamma presso il nostro centro nutrizionale a Kanyaka. Saluto allora la piccola Sylvie scuotendo piano le mani. Con mia grande sorpresa, la sento sussurrare piano un flebile saluto. “B-a-y-o…”. L’ultima lettera resta sospesa qualche secondo nell’aria, poi si gira e se la porta via insieme alla bottiglia di plastica piena di olio di palma. Ancora traballante torna tra le braccia della mamma. La vedo accennare un sorriso breve. Ricambio con un bacio da lontano e la promessa silenziosa di tornare per vederla aprirsi in un sorriso finalmente pieno di luce. Bayo Sylvie.
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