Tassare l’economia del distanziamento, per un mondo d’incontri
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La pandemia e le conseguenti restrizioni hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere e di relazionarci. Lo hanno fatto da tanti punti vista, compresi quello sociale e quello economico. Lockdown e zone rosse hanno colpito in maniera indiscriminata, dimenticando che spesso, in una concezione di un’economia a misura di persona che ancora si rifà alla sua radice etimologica, le attività commerciali rappresentano un luogo di incontro e di socialità ancora prima che un servizio presso cui effettuare acquisti.
Stefano Reyes è una vecchia conoscenza di Italia Che Cambia, un architetto bolognese da sempre sensibile ai temi della relazione e dell’inclusione, che ha ideato diverse iniziative in passato volte a ridisegnare il volto delle nostre città per favorire l’incontro. Stimolato dalla situazione attuale, Stefano ha lanciato una petizione per intervenire sul grande divario che si è creato – o meglio che si è ulteriormente ampliato, dato che esisteva già – fra le piccole attività locali e le grandi multinazionali del commercio online, le quali hanno dalla loro parte non solo numeri esorbitanti che consentono vantaggiose economie di scala, ma anche una legislazione e una fiscalità studiate su misura per loro.
Al di là del “comprare locale”, hai qualche idea su iniziative normative o economiche più specifiche che potrebbero favorire i piccoli commercianti minacciati dal mercato online?
Le monete complementari sono strumenti che possono incentivare gli acquisti nelle reti locali, ma chiaramente implicano il mettere in piedi un organizzazione più grande e complessa e nota solo ad alcuni.
È convinzione diffusa che acquistare online sia più conveniente oltre che più comodo: pensi che sia vero questo?
Diversi oggetti acquistati on-line possono avere un costo monetario minore per le nostre tasche nel breve periodo, ciòè possono avere un prezzo di listino più basso. Ma un acquisto ha un valore che va al di là di quello monetario e include molte altre cose importanti per la nostra vita a cui spesso diamo poco peso ritenendole ovvie.
Puoi farci qualche esempio?
L’elenco purtroppo è lungo: penso alla possibilità di provare/indossare/assaggiare l’oggetto, cosa essenziale per scegliere se comprarlo; spesso il costo della prova viene fatto pagare al negoziante da cui alla fine non si compra. Se pensiamo al mondo in cui ci piace e ci piacerebbe vivere, la le implicazioni sono ancora di più: spostarsi per fare acquisti è una delle principali cause che rendono le città vivaci e sicure (Ghel J., 1996), oltre a dare a noi stessi motivo di incontrare altre persone anche sconosciute, permettendoci di affacciarci su altre parti della nostra società. Inoltre, avere intorno a noi una varietà di negozi, di proprietari e di gestioni diverse favorsice il pluralismo del commercio, dell’espressione umana e del luogo in cui viviamo. E ancora: i negozi locali alimentano un indotto economico sul territorio che ci circonda, che permette di avere più ricchezza e benessere intorno a noi e, nei casi di zone che soffrono di spopolamento, di combattere questo trend negativo.
Dunque è davvero necessario chiedersi cosa c’è dietro al semplice gesto dell’acquistare.
Assolutamente sì. Quando compriamo qualcosa dovremmo sempre pensare che oltre all’oggetto che entra in casa nostra ci succedono anche altre cose, per esempio conosciamo qualcuno che magari prima non conoscevamo. Ma dobbiamo essere consapevoli anche del fatto che con l’acquisto stiamo investendo nel mondo che desideriamo, finanziandolo. Chiediamoci dunque: “È quello in cui vorrei vivere o ne vorrei uno diverso? Preferisco comprare dodici cose e abitare in un posto senza negozi, con gente povera, in cui incontro meno persone o mi piace di più avere qualche oggetto in meno ma contribuire a creare un mondo più vivace, in cui incontro negozi e persone diverse e che vivono meglio?”.
Pensi che la “cultura del distanziamento” che oggi sta condizionando gravemente i rapporti sociali permarrà anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria?
Già da anni il commercio locale è colpito dall’iniquità della tassazione insieme al dilagare del pensiero che l’unica cosa rilevante di un acquisto sia quanti soldi costa. La situazione attuale sta solo accelerando una dinamica già scorretta, aggravandola tramite chiusure imposte a negozi che già prima erano tartassati economicamente. Credo che i rapporti sociali verranno condizionati in base a come si configureranno nei prossimi tempi le strutture che ci permettono di incontrarci. Per fare un esempio grossolano, se un cinema/un negozio su dieci avrà chiuso e Netflix o Amazon saranno più sviluppati, probabilmente ci incontreremo con il mondo pubblico che ci circonda una volta su dieci in meno.
Cosa pensi dell’iniziativa della sindaca di Parigi che, per sostenere le attività locali durante il lockdown, ha suggerito di acquistare libri nelle piccole librerie anziché su Amazon?
Non la conoscevo. Penso sia semplicemente sensato: la ricerca urbanistica e sociologica è concorde nel sostenere che la vita di quartiere dipende dalla presenza del piccolo commercio.
Pensi che sia possibile/utile/giusto tentare anche di pensare e attuare un utilizzo “etico” di piattaforme come Amazon, senza considerarle aprioristicamente il male assoluto?
Quando ero bambino, negli anni ’90, ricordo che studiando i faraoni egiziani sembrava un’ingiustizia che un popolo di schiavi dovesse faticare infinitamente per le ricchezze di pochissimi. Rispetto a oggi, che differenza c’è? In più, se nel mio quartiere un negoziante molto ricco riuscisse a comprare le botteghe di tutti gli altri, l’autonomia d’impresa e di pensiero si ridurrebbe di molto. I “mali” delle forme di commercio/intrattenimento/comunicazione on-line sono due: il primo è l’eccessiva centralizzazione della ricchezza e del potere che queste tecnologie permettono ai loro proprietari; il secondo è la trasformazione del mondo reale in un luogo meno equo, sociale, espressivo e rappresentativo dei suoi abitanti. Un mondo sempre più asettico e sterile, il contrario del mondo vivace e socialmente unito in cui ognuno di noi vorrebbe vivere.
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