19 Mag 2021

Il ruolo cruciale della medicina territoriale ai tempi del covid

Scritto da: Veronica Tarozzi

La medicina territoriale è un presidio fondamentale per essere vicini ai cittadini e ottimizzare il sistema dell'assistenza sanitaria italiana, alleggerendo gli ospedali ed evitando i sovraccarichi. L'emergenza covid ha però evidenziato gravi carenze in tal senso, frutto di una politica sanitaria lacunosa. Ne parliamo con uno dei pionieri della terapia domiciliare precoce per il Covid-19, il Dott. Andrea Mangiagalli, che commenta anche la decisione del Consiglio di Stato di continuare a mantenere in vigore il protocollo ministeriale che prescrive "vigile attesa e tachipirina".

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Portiamo alla vostra attenzione l’ultimo appuntamento, in ordine di tempo, del ciclo di “Conferenze a cielo aperto”, organizzato da un gruppo di instancabili attiviste/i, ConsapevolMenti, in collaborazione con il Comitato liberi cittadini Milano, che da tempo sono impegnati nell’arduo compito di portare all’attenzione della cittadinanza milanese argomenti importanti e poco dibattuti, quali, tra gli altri, quello delle cure domiciliari precoci per il Covid-19.

Ora, quest’ultimo tema è anche al centro di un recente caso giudiziario, ovvero il ricorso del Ministero della Salute e dell’Aifa contro l’ordinanza cautelare del Tar del Lazio che chiedeva la sospensione immediata del protocollo ministeriale Covid di “vigile attesa e tachipirina”, immediatamente accolto dal Consiglio di Stato. Di questo recente aggiornamento e del ruolo della medicina territoriale nell’ambito dell’emergenza covid abbiamo parlato con il dottor Andrea Mangiagalli.

Dott. Mangiagalli, ci racconti cosa è successo l’anno scorso durante le prime fasi del Covid.

Risuonano ancora nelle nostre orecchie telefonate di decine e decine di minuti con parenti e famigliari di persone spaventate che non sapevano cosa fare: i pazienti Covid venivano – e vengono tuttora – abbandonati a loro stessi a casa, senza alcuna cura. Una volta peggiorati venivano – e vengono – trasportati d’urgenza in ospedale. Passato il primo mese a vedere gli ammalati che andavano in ospedale e spesso non tornavano più a casa, grazie ad alcuni referti autoptici che erano arrivati dai colleghi dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo1, avevamo cominciato a capire che il problema non era solamente di polmonite interstiziale come ci era stato raccontato inizialmente, ma di una malattia completamente diversa con eventi trombotici e microtrombotici e, anche grazie a ciò che ci aveva detto il Prof. Pierluigi Viale del Policlinico Sant’Orsola di Bologna riguardo alla tempesta citochinica che scatenava un’infiammazione colossale all’interno dell’organismo, avevamo cominciato a ragionare su quella che è la fisiopatologia della malattia.

mangiagalli medicina territoriale
Il dottor Andrea Mangiagalli.

Così abbiamo cominciato a capire quali armi avevamo a disposizione, che peraltro conosciamo molto bene da tanti anni, a partire dall’idrossiclorochina, un farmaco che nasce come antimalarico, ma che è stato studiato per tanti anni anche nelle malattie reumatiche, il quale ha una capacità immunomodulante e antinfiammatoria. In questo modo si è aggiunto un tassello a una cura che era composta anche di farmaci a base di eparina e poi, successivamente, di antibiotici e cortisone. In questa malattia ci sono persone che si sono “opposte” a quello che è stato il pensiero corrente: la prima è stata l’anestesista di Codogno, che ha fatto il test PCR al cosiddetto “paziente 0”, poi ci sono stati gli anatomopatologi di Bergamo (di cui sopra, ndr), che hanno disatteso il limite di non fare le autopsie. In seguito ci siamo stati noi che abbiamo deciso di usare l’idrossiclorochina. Ci sono state persone che hanno deciso di fare qualcosa di diverso, nell’ambito delle loro possibilità: nulla di sconvolgente, ma semplicemente prendendo delle decisioni sulla base di un buonsenso clinico. Quindi il 27 marzo abbiamo incominciato a curare i pazienti a casa insieme a due colleghi, il Dott. Antonio Gobbi e il Dott. Giovanni Moretti: un cardiologo esperto e un medico esperto in medicina cinese che aveva contatti con colleghi di Wuhan.

Come vi siete organizzati?

Per combattere l’isolamento culturale dei medici di famiglia, abbiamo subito pensato che mettere insieme l’esperienza, le orecchie, gli occhi di molti più colleghi sarebbe stato importante per acquisire informazioni e capire come gestire per la prima volta una malattia che nessuno conosceva. Il gruppo che ho fondato, che si chiama “ Medici in prima linea”, è nato come una banalissima chat su Whatsapp che ha radunato prima tutti i colleghi della zona di Milano in cui esercito e poi si è esteso a molti colleghi nel resto d’Italia.

Abbiamo iniziato con un intervento molto selettivo su pazienti ad elevato rischio di evoluzione non favorevole della malattia. Bisogna aggiungere che in 14 mesi li abbiamo trattati a domicilio, senza alcun supporto strumentale e diagnostico, ma esclusivamente sulla base di sintomi clinici, abbiamo fatto quello che i nostri predecessori hanno sempre fatto: visitare un ammalato, cercare di capire quale sia la situazione e trovare una cura. Questa è stata la vera forza del nostro gruppo: abbiamo fatto di necessità virtù e ci siamo messi insieme, l’intelligenza collettiva che ha creato questa chat ha portato ognuno a discutere casi clinici, anche complessi, a trovare un aiuto, un confronto, un suggerimento.

Diversi medici ci chiamano perchè hanno saputo di questa nostra esperienza attraverso i loro pazienti e si uniscono a noi. Adesso siamo arrivati a oltre 240 colleghi. Credo che questo sia l’esempio di quanto è mancato un coordinamento fra medici, sulla base delle conoscenze che abbiamo oggi; non chiediamo molto di più, soprattutto perché nel frattampo abbiamo curato veramente tanti pazienti a casa, senza creare nessun danno. Se avessimo avuto la sensazione che il nostro operato arrecasse qualche danno ai nostri pazienti avremmo smesso già molto tempo fa. Siccome però i risultati positivi continuano ad arrivare, evidentemente ci confermano l’efficacia del nostro modo di agire. Questa credo sia la cosa più importante. Poi, sulla base di questa nostra esperienza, ne sono nate molte altre, come il gruppo Facebook dell’Avv. Grimaldi, Terapia domiciliare Covid e anche un gruppo di colleghi del Friuli Venezia Giulia, gestito dal Dott. Paolo Baron, Medici FVG, con cui collaboriamo e ci sentiamo settimanalmente con webinar di aggiornamento, senza che nessuno ci chieda cosa stiamo facendo. Ormai da 6 mesi, tutte le settimane abbiamo argomenti nuovissimi, dall’ecografia toracica, al confronto con gli infettivologi e con i rianimatori su ciò che è successo e che si può fare: ci siamo auto-organizzati e autoprodotti un aggiornamento interdisciplinare.

medicina territoriale 2
Un momento del ciclo di “Conferenze a cielo aperto” tenutosi a Milano

Come si spiega la recente decisione del Consiglio di Stato di accogliere il ricorso del Ministero della Salute e dell’Aifa contro la sospensiva del Tar per il protocollo basato su “tachipirina e vigile attesa”?

Credo che sia una linea che ormai sono costretti a tenere, perché è chiaro che, dopo 14 mesi, ammettere che si poteva fare diversamente non sarebbe convenuto, poiché molti avrebbero cominciato a domandarsi come mai non è stato fatto prima. Credo che su questa cosa si continuerà a dibattere2.

Ovviamente la decisione del CdS l’abbiamo accolta male, perché era semplicemente richiesto di cambiare alcune cose: passare da questa tremenda dicitura “vigile attesa” a una “attenta sorveglianza”, già avrebbe cambiato molto: era fattibile trattare i pazienti in fase precoce della malattia con alcuni farmaci che vengono correntemente usati tutti i giorni, spiegare ai medici quando usare il cortisone e quando l’antibiotico, visto che ci hanno accusati di usare il cortisone troppo presto, di usarlo male, di usarlo inutilmente. Poi di fatto, chi come noi cura da oltre un anno il Covid, sa esattamente quando usare il cortisone e quando l’antibiotico. La strategia, secondo me, è stata sempre quella di dire: “Facciamo tutto negli ospedali”. Sapendo che anche il più grande ospedale alla fine si riempie a fronte di numeri che sono nell’ordine delle centinaia di migliaia di persone, non c’è nessuna struttura grande abbastanza e quindi l’idea di non pensare a una strategia ragionando fuori dagli schemi, cosa che noi abbiamo fatto, e questo è stato il danno più grave.

Al contrario, le cure precoci o comunque adottate tempestivamente, hanno evitato che la malattia creasse un danno ulteriore. Il concetto che io non accetto e che credo che nessuno di noi abbia accettato fino ad oggi, è che si debba aspettare. L’attesa è accettabile se si tratta di di malattie croniche – ipertensione, diabete, quelle in cui dobbiamo convincere i pazienti a cambiare il loro stile di vita –, ma nelle malattie acute in medicina l’attesa non è mai stata ragionevole.

Qual è l’importanza della medicina territoriale?

Si è scelto di non avere un esercito disponibile sul territorio e non fidarsi, sia nella prima fase che nella seconda, di noi medici territoriali, che avremmo potuto collaborare con quelli ospedalieri nella cura dei malati meno gravi, con alcune consulenze tempestive senza portare in affanno e a volte al collasso le terapie intensive. Non si è capito per quale motivo questa sinergia non sia stata messa a regime, è veramente sorprendente!

La Lombardia non aveva neanche più un’idea di cosa volesse dire governare il territorio, avendolo desertificato negli ultimi quindici anni di riforme sanitarie e questo forse è il risultato che ha condotto al disastro che abbiamo visto3. Quello che abbiamo scoperto però è veramente importante: abbiamo capito che si può fare dell’ottima medicina semplicemente sulla base della clinica, della conoscenza del paziente che molti di noi hanno nei confronti di persone che curano da tanti anni e sulle quali hanno informazioni preziose nei loro archivi e nelle cartelle cliniche, sapendo quali sono le fragilità di quel paziente o i problemi specifici con alcuni farmaci.

Il fatto è che la medicina generale è in grado di fare molto più di quello che le si chiede oggi, come ad esempio stampare ricette od occuparsi di burocrazia: questo non è il nostro lavoro. Noi siamo nati clinici, anzi, devo dirlo: i pazienti si stupiscono che un medico possa fare una diagnosi senza un esame, senza una tecnologia di alta gamma. Noi siamo in grado ancora di operare in maniera artigianale, un mestiere che bisogna imparare anche sul campo, che non si può pensare di conoscere alla fine di sei anni di università. Purtroppo in Lombardia – e non solo in questa regione – nel giro dei prossimi 4-5 anni sparirà una grande quantità di medici di medicina generale, e non solo loro, per cui molti rimarranno senza un medico di famiglia. Non ci saranno nemmeno specialisti – già adesso non se ne trovano più – quindi l’emergenza che ci lascerà il Covid sarà ancora più grande! Avremo tanti pazienti senza medico, l’età media dell’Italia, nonostante il Covid, rimarrà comunque elevata, con tante malattie che nessuno saprà come gestire.

medicina territoriale 3

Un messaggio e un auspicio per i nostri lettori…

Il Covid ci ha insegnato che si è cercato di portare tutto all’interno dell’ospedale, lasciando completamente sguarnito il territorio. Questo è un messaggio importante che dovete ricordarvi: chiederne conto ai vostri amministratori, perché avere una medicina territoriale in questo momento è veramente una risorsa.

Ognuno di noi è una piccola monade che porterà questo messaggio ad altri amici, ad altre persone. Immagino che ognuno farà il suo pezzettino di strada per diffonderlo. Aldilà del Covid – che speriamo ormai passi e ci consenta di tornare al nostro lavoro ordinario – occorre rendersi consapevoli che la medicina territoriale dev’essere sostenuta e valorizzata per le capacità che ha saputo dimostrare fronteggiando una malattia nuovissima, che ha preso in contropiede tutti, ma che nonostante questo, ci ha consentito di fare un ottimo lavoro. Questo lo testimoniano i tantissimi pazienti che ci chiamano e continuano a ringraziarci per quello che abbiamo fatto per loro.

1 – Ricordiamo ai lettori che le autopsie sono state eseguite da alcuni medici che hanno disobbedito alla raccomandazione da parte del Ministero della Salute di non eseguirne.

2 – Attendiamo il giudizio nel merito del Tar previsto per il 20 luglio.

3 – Per un approfondimento sulla “demolizione controllata” della sanità pubblica: https://www.youtube.com/watch?v=m0z34OoP0yc&t=32s

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