17 Mag 2021

Jonida Xherri e la sua arte partecipata che unisce i popoli

Scritto da: Salvina Elisa Cutuli

Jonida Xherri è un'artista albanese da anni residente in Italia, fra la Sicilia e la Toscana, dove ha studiato. Jonida è conosciuta per il suo modo di creare aperto e condiviso e per le sue opere, in cui intreccia le storie delle persone che incontra per parlare di accoglienza, ospitalità, relazioni tra le persone e le culture, rispetto e uguaglianza.

Salva nei preferiti

Jonida Xherri è un’artista albanese che da anni vive in Italia, tra Modica e la Toscana. Da piccola sognava di vedere con i propri occhi cosa ci fosse dall’altro lato del mare. Un sogno diventato realtà che si tinge di arte e di azione civile con un grande tema di fondo, l’emigrazione. Giovane, appassionata, determinata e sognatrice, ci ha raccontato come è nata la sua arte e come riesce a intrecciare le storie, i fili e le perline di tutti coloro che incontra sul suo percorso di vita e artistico

Jonida, come mai hai scelto l’Italia?

Quando avevo cinque anni ho disegnato la mia prima barca. Sono di Durazzo e ricordo bene quando nel 1991 la nave Vlora da Valona si diresse a Bari con a bordo migliaia di albanesi. In quegli anni furono tantissimi i viaggi del genere, alcuni fortunati, altri no. Io sognavo di venire in Italia per vedere cosa c’era dall’altra parte del mare. Sono cresciuta con l’idea che prima o poi sarei venuta qui e in effetti a 22 anni ci sono riuscita. A Durazzo si parlava tanto dell’arte fiorentina e il mio sogno era studiare all’accademia di Firenze. Così sono partita dall’Albania per venire a Modica, dove ho raggiunto mia mamma, e poi mi sono spostata in Toscana per studiare. Adoro tanto quella regione, Firenze in particolare, l’unica cosa che mi manca è il mare. Negli ultimi anni ho scelto come base Modica, dove adesso ho la mia casa.

Jonida Xherri 4

Cosa crei attraverso la tua arte?

Ogni nuova residenza d’arte è un racconto che arricchisce la mia ricerca artistica, come un libro pieno di incontri di persone che intrecciano le proprie vite fino a costruire un racconto fatto di tante piccole storie. Considero la mia arte come una trama di fili intrecciati e ricamati che vogliono raccontare le storie di chi non ha voce, un’arte pubblica e partecipata. Opere realizzate collettivamente unendo fili e vite di chi partecipa, vite simili e diverse allo stesso tempo che si fondono attraverso l’arte.

Qual è il tema principale della tua arte?

Con le mie opere cerco di comunicare dei messaggi importanti che parlano di accoglienza, ospitalità, incontro tra le persone e le culture, rispetto, uguaglianza. Il primo progetto di arte partecipata risale al 2013, quando realizzai una barca di cioccolato con gli ospiti delle prime case di accoglienza di Pozzallo. La barca è il mezzo di comunicazione e migrazione per eccellenza. Conservo sempre il primo disegno fatto da bambina che, tra l’altro, avevo anche dimenticato e ho ritrovata quando sono arrivata in Italia. Tutte le barche che ho realizzato, ricamate o di cicoccolato, sono collegate a questo disegno. La barca di cioccolato è legata all’Africa, da dove arrivano molte delle materie prime che noi utilizziamo. Il cacao è un esempio. In Africa, oltre ai luoghi, vengono sfruttati soprattutto i bambini. Avrei potuto scegliere qualsiasi altro materiale, ma avendo preso come tema il mio disegno realizzato da bambina e i bambini adorano il cioccolato, ho voluto collegare le due cose. Con l’immagine della barca ho voluto portare l’attenzione sul fatto che le persone viaggiano in modo insicuro e spesso non arrivano a destinazione, mentre le materie prime viaggiano in modo molto sicuro e arrivano sempre a destinazione. Quando realizzai la barca di cioccolato nel 2013 si era verificato un naufragio drammatico nel Mediterraneo e mi venne in mente la mia prima barca realizzata in Albania. Era come tornare indietro nel tempo. La stessa cosa succede in paesi diversi in momenti diversi.

Jonida Xherri 2

Il tema delle migrazioni è dunque centrale per te?

L’emigrazione non ha un inizio né una fine, appartiene alla natura quindi ci sarà sempre. Con i miei lavori voglio sottolineare proprio questo. Un altro episodio personale mi ha spinta a parlare di questi temi. Nel 2015 ero ricercata erroneamente dalla questura di Ragusa e avrei dovuto lasciare l’Italia nel giro di quindici giorni. All’epoca ero impegnata con il servizio civile in Toscana, frequentavo l’accademia con una borsa di studio completa e avevo anche un contratto di lavoro part time. Se fossi rientratata in Albania mi avrebbero timbrato il passaporto e non sarei più potuta uscire per i cinque anni successivi. Il mio sogno dell’Italia si stava trasformato in un gesto di rifiuto, facendomi sentire per la prima volta straniera/extracomunitaria. Così da quel momento nella mia ricerca artistica, che già all’epoca aveva iniziato ad avvicinarsi ai temi dell’immigrazione e dell’accoglienza, il tema è diventato un elemento fondamentale per la mia arte e la mia vita. Non ci si può schierare a priori contro i migranti. La provenienza non è qualcosa che ci cambia. La politica attuale ci ha divisi tra pro e contro l’emigrazione, in realtà l’accoglienza e l’ospitalità fanno parte del nostro DNA. Accoglienza vuol dire essere umani, non riguarda solo i migranti. La natura ci accoglie ogni giorno.

Mi racconti qualcuna delle tua opere?

Tra i lavori che porto avanti c’è un tappeto di 250 metri che si intitola “Perle di accoglienza”, dipinto e ricamato di perline da tutte le persone che hanno deciso di far parte del progetto. È un’opera in continua evoluzione, infatti quando il tappeto è stato presentato a Modica era lungo 190 metri. Poi è stato esposto a Scicli, a Borgo San Lorenzo, a Vicchio e a Lampedusa e di volta in volta è “cresciuto”. Continuerà a fare il giro in tante altre città e in ogni presentazione si aggiungeranno altri pezzi invitando associazioni e cittadini di partecipare.

Sempre a Modica ho realizzato un arazzo con la frase di Emanuel Cannavale – un poeta e migrante italiano di ritorno in Italia ai primi del ‘900 – “O Italia, o Grande Stivale, non cacciarmi di nuovo a pedate”. Anche in questo caso ho invitato tramite le varie associazioni tutta Modica a partecipare. Ho organizzato dei workshop accessibili a tutti, semplici dal punto di vista tecnico anche per chi ha problemi di manualità o di altro genere, durante i quali si intrecciavano i fili che poi andavano a costruire la frase. Nello stesso momento ho inaugurato uno spazio a Modica, “Miëserdhët”, dall’albanese “benvenuti”, un progetto legato al tema dell’accoglienza e scambio, che sono le vere ricchezze che le persone hanno bisogno di ritrovare. Nel corso dei dieci mesi in cui è stato aperto, che ho legato simbolicamente ai dieci anni necessari per avere la cittadinanza, ho accolto all’interno di questo spazio più persone offrendo thè o caffè albanese. E ogni mese ho realizzato un tappeto che poi ho esposto all’interno dello spazio.

A proposito di accoglienza, come è stata accolta la tua arte in Sicilia?

Le associazioni hanno sempre partecipato con grande piacere e collaborazione. Il periodo dei dieci mesi mi ha fatto conoscere altri aspetti. L’Italia ha vissuto e sta vivendo un periodo politico che ha diviso molto le persone. Quando aprii lo spazio, alcuni dei passanti entravano e mi dicevano «devono tornare tutti a casa propria». Ho capito che lavorare su questi temi era una necessità.

Jonida Xherri

Dove sono esposte le tue opere?

All’interno delle collezioni di alcuni musei. A Gibellina, ad esempio, è esposto un tappeto con 700 mattonelle di ceramica, il numero delle persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo nel 2015; sono state dipinte dagli ospiti della casa di accoglienza di Pozzallo, della Toscana e del Belice. Ho voluto trasformare questo numero in un sentimento per dare identità alle persone. Sempre a Gibellina c’è un’arazzo realizzato l’anno scorso durante una mia residenza artistica a Salemi. Altre opere sono esposte a Modica, al museo MULA+ di Latronico. In generale cerco di esporre le mie opere in piazza, così il messaggio è visibile a tutti.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sto lavorando a un arazzo che vuole essere un omaggio alle donne siciliane che si sono battute per il riconoscimento di alcuni diritti attraverso il movimento delle gelsominiane durante il secolo scorso. Queste donne, mamme lavoratrici, raccoglievano il gelsomino durante la notte per guadagnare uno stipendio che non bastava neanche a comprare un filone di pane. I bambini piccoli dormivano nelle ceste, quelli più grandi aiutavano le mamme a raccogliere. A Milazzo le gelsominiane sono riuscite a farsi raddoppiare lo stipendio. Lo sfruttamento, purtroppo, anche se in maniera diversa, continua anche ai nostri tempi, tra di noi, nei campi dove spesso le persone sono senza identità, negli uffici, nel mondo dell’arte. C’è tutta una realtà sbagliata nel mondo attuale e quella lotta per i diritti del lavoro non è ancora finita. Tra i nuovi progetti c’è anche la didattica, Da poche settimane ho iniziato dei laboratori nelle scuole di Scicli e Modica all’interno del progetto Movi-Menti. È un lavoro a cui credo molto, perchè un messaggio che viene da un figlio è sempre più forte. I bambini hanno un potere enorme: spiegano molto bene.

Cosa insegni nei laboratori didattici nelle scuole?

Da marzo 2020, dovendo stare chiusa in casa e non potendo fare i miei workshop, ho iniziato un lavoro personale che parla dell’emigrazione delle piante. Ho pensato di parlare alle persone dei processi di migrazione tramite la bellezza delle piante. La bellezza aiuta ad avvicinarci. Sto realizzando un tappeto che avrà la forma di un labirinto in cui verranno ricamati i fiori. Con le scuole stiamo facendo una ricerca storica sulle piante: dove sono nate, chi le ha portate da un paese all’altro, dove vivono oggi. Gli uccelli, gli animali, le piante, le persone sono ospiti di questo pianeta e viaggiano oltre i confini creati dalle persone. I fiori parlano una lingua universale. L’opera si propone quindi come progetto didattico da realizzare con le scuole e, infine, sarà protagonista di un’esposizione in piazza. Con questo progetto sono stata selezionata per partecipare al festival “Science on stage festival” di Faenza a settembre 2021.

Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento

Articoli simili
Marika Camposano e il “silent reading”: la lettura come momento intimo di connessione con se stessi
Marika Camposano e il “silent reading”: la lettura come momento intimo di connessione con se stessi

Ad Acireale al via la 23° edizione di Magma, il festival internazionale di cinema breve
Ad Acireale al via la 23° edizione di Magma, il festival internazionale di cinema breve

In Sardegna non è Halloween, ma Is Animas, quando bambini e bambine chiedono doni per le anime
In Sardegna non è Halloween, ma Is Animas, quando bambini e bambine chiedono doni per le anime

Mappa

Newsletter

Visione2040

Mi piace

Il mandato d’arresto internazionale per Netanyahu e Gallant e gli effetti che avrà – #1025

|

Eolico, fotovoltaico, pompe di calore: quanta e quale energia produrremo in futuro? – Io non mi rassegno + #23

|

Rinascita verde a Gragnano: il nuovo Parco del Vernotico tra storia e innovazione

|

Agricoltura di precisione: quali sono i vantaggi delle tecnologie al servizio dei produttori?

|

È arrivata l’era della cura: finisce l’antropocene, inizia il curiamo-cene

|

La biblioteca su due ruote KORABike regala storie in giro per le strade

|

Educare al biologico: serve più consapevolezza verso salute e ambiente

|

Promemoria Auschwitz, perché davvero non accada mai più

string(7) "sicilia"